Dossier vittimeMediterraneo e Canarie

2019 Mediterraneo – secondo semestre

“Meno partenze, meno morti”. E’ quanto sostiene il Governo italiano, con il sostanziale avallo dell’Unione Europea, a giustificazione del “muro” eretto nel Mediterraneo per bloccare i flussi di migranti. Non da oggi. E’ una linea inaugurata ormai da anni e che ha registrato via via una escalation terribile, fino agli accordi volti a esternalizzare i confini dell’Europa sempre più a sud, lungo il margine settentrionale del Sahara. Decisivi si sono rivelati passaggi come il Processo di Khartoum e le intese che ne sono seguite. In particolare quella voluta, nel 2017, con la Libia, dall’allora ministro degli interni Marco Minniti, che si è rivelata il terreno di coltura, se non il viatico, della linea di respingimento totale e chiusura dei porti decisa dall’attuale responsabile del Viminale, Matteo Salvini, arrivato ad affermare che, quest’anno, grazie alla sua politica, ci sarebbero state due sole vittime lungo la via di fuga dei migranti che porta in Italia dalla Libia. Ma altroché due vittime! Dal primo gennaio al 30 giugno sulla rotta del Mediterraneo centrale di morti ce ne sono stati 406 su un totale, in tutto il Mediterraneo e sulla rotta delle Canarie, di 682: il 59,53 per cento, quasi uno su tre. E in questo conto di morte non sono comprese le vittime a terra, lungo le piste del Sahara o alle frontiere esterne dell’Europa (come quella dell’Evros, in Grecia) e, soprattutto, nei lager libici: almeno 131, per un totale complessivo di ben 813 vite spezzate. Vite di persone, quasi sempre molto giovani, in fuga da guerre, dittature, terrorismo, disastri ambientali, carestia e fame, miseria endemica o, comunque, da situazioni di crisi estrema, dove non c’è prospettiva di futuro e meno che mai di una sia pur minima condizione di “sviluppo umano”. Queste cifre, non i “due soli morti” vantati da Salvini, sono lo specchio di quanto sta accadendo davvero. Lo dimostra il tasso di mortalità. Quello generale, nel primo semestre di quest’anno, è di un migrante morto ogni 48/49 arrivati, più elevato di quello degli ultimi due anni (1 ogni 53) e più ancora rispetto agli anni precedenti: 1 ogni 67 nel 2016 e 1 ogni 256 nel 2015. Ma l’indice appare ancora più drammatico, da autentica strage, si si scinde il dato generale nelle tre rotte del Mediterraneo. E il “primato” spetta, non a caso, alla rotta libica. Era già evidente nel 2018: un morto ogni 193 arrivi in Grecia, uno ogni 75 arrivi in Spagna, uno ogni appena 18 in Italia, la “rotta libica” appunto. Nei primi sei mesi di quest’anno va molto peggio: un morto ogni 365 arrivi in Grecia, ma uno ogni 57 in Spagna e addirittura uno ogni 6 in Italia. La speranza, nella seconda parte dell’anno, è che questo tremendo bilancio subisca uno stop o quanto meno un rallentamento. Ma non se ne vedono le premesse.

Libia (Abu Salim), 1 luglio 2019

Un giovane profugo eritreo, prigioniero nel centro di detenzione di Abu Salim, è morto di malattia e di stenti. Si chiamava Tsegazeab Gebrekidan, aveva solo 20 anni. Catturato poco dopo essere entrato in Libia dal Sudan e rimasto per mesi nelle mani di una banda di trafficanti, dopo aver pagato il riscatto per essere rilasciato, è finito ad Abu Salim. All’arrivo al campo – secondo quanto hanno riferito alcuni compagni – era già malato e molto debilitato ma nei mesi di detenzione non ha praticamnete ricevuto alcuna assistenza medica. I maltrattamenti,la promiscuità, il cibo scarso e pessimo, la mancanza persino di acqua da bere ne hanno aggravato ulteriormente lo stato di salute. Solo nell’ultima setttimana di luglio le autorità del campo lo hanno trasferito in un ospedale. Era ormai tardi: Tsegazeab è morto dopo sei giorni di ricovero. I familiari e i compagni, oltre a denunciare quanto è accaduto, hanno chiesto di diffondere la sua ultima foto fatta ad Abu Salim, quasi come una forma di denuncia per quanto sta accadendo. Dall’inizio di aprile a fine giugno, prima di Tsegazeab, altri due giovani eritrei sono morti ad Abu Salim: l’undici aprile un diciassettenne si è suicidato e il 14 maggio un ragazzo poco più che ventenne è morto per sfinimento.

(Fonte: testimonianze raccolte dal Coordinamento Eritrea Democratica)

Italia (Gela), 2 luglio 2019

Il cadavere mutilato di un uomo è stato trascinato dal mare su una spiaggia di Gela, in località Rccazzelle: l’ipotesi più accreditata dalla Procura e dalla polizia è che si tratti dei resti di un migrante annegato nel tentativo di raggiungere l’Europa dalle coste africane. Il corpo recuperato, in avanzato stato di decomposizione, era ridotto quasi soltanto a un busto, privo della testa e degli arti, tranne un braccio. Proprio questo fa pensare che fosse in acqua da mesi. Lo confermerebbero anche gli abiti pesanti, in particolare un giubbotto invernale, che lo coprivano e nei quali comunque non sono stati trovati documenti o oggetti che possano aiutare a risalire all’identità o almeno alla provenienza della vittima. Viste le circostanze, la Procura non ha ritenuto necessario procedere all’autopsia.

(Fonte: Tpi News, Repubblica, il Messaggero, Giornale di Sicilia, La Sicilia)   

Libia (Zawiya), 2-3 luglio 2019

Persa ogni traccia di un gommone con 60 persone al largo di Zawiya, a ovest di Tripoli. L’allarme è scattato nella notte tra il 2 e il 3 luglio, alle 23,12, quando uno dei migranti a bordo ha contattato la centrale di Alarm Phone per chiedere aiuto. Ha usato non un telefono satellitare ma un comune cellulare, con un numero libico. Ne consegue che il battello non era molto lontano dalla costa, tanto da trovarsi ancora sotto la “copertura” della rete di telefonia libica. Lo stesso migrante che ha lanciato l’Sos ha specificato che erano partiti meno di due ore prima, intorno alle 21,30, e che si vedevano ancora le luci della costa, ma che il gommone minacciava di affondare da un mmento all’altro: uno dei tubolari pneumatici si stava sgonfiando e già imbarcavano acqua. “Abbiamo chiesto la loro posizione Gps per poterli localizzare – ha riferito la Ong – ma quell’uomo non ha saputo fornircela. Per di più, poco dopo la comunicazione si è interrotta e non siamo più riusciti a riattivarla. Pur non avendo la posizione Gps, si è deciso di allertare tutte le autorità competenti: alle 23,41 sono state inviate delle mail a Roma, a Malta e alla Guardia Costiera libica. Quest’ultima abbiamo cercato di contattarla anche per telefono, senza ricevere però risposta”. L’unico riscontro è arrivato alle 23,53 dalla centrale Mrcc di Roma, con la garanzia che avrebbe preso contatto con Tripoli. Il mattino dopo, alle 7,45 del giorno 3, la stessa centrale Mrcc di Roma, di fronte alle insistenze della Ong, ha di fatto chiuso le comunicazioni: “Non possiamo scambiare informazioni con voi…”. Alarm Phone non ha desistito: oltre a diffondere la notizia e a tentare più volte di agganciare il cellulare dell’uomo sul gommone, ha telefonato più volte ai recapiti della Guardia Costiera libica. Finalmente, alle 12,47, Tripoli ha comunicato di aver inviato sul posto una motovedetta e che un’altra stava per partire. Circa un’ora e mezza più tardi, alle 14,11, ha confermato che erano in corso le ricerche ma di non aver trovato traccia del gommone. Da allora, più nulla. Senza esito anche i successivi tentativi di Alarm Phone di rintracciare telefonicamente il battello. Non risulta che quelll 60 persone siano riuscite a sbarcare con i propri mezzi o che siano state rintracciate e soccorse. L’Oim le considera disperse, vittime di uno dei tanti naufragi fantasma.

(Fonti: sito web Alarm Phone, rapporto bimestrale luglio-agosto di AlarmPhone, rapporto annuale Oim)     

Libia (Tajoura, Tripoli), 2-3 luglio 2019

Almeno 53 profughi morti e più di 130 feriti nel centro di detenzione di Tajoura, nei sobborghi orientali di Tripoli, colpito in piena notte da un pesante bombardamento delle forze aeree del generale Khalifa Haftar, nel contesto della battaglia per il controllo della capitale libica. Inizialmente si è parlato di 44 vittime, ma il bilancio comunicato da rappresentanti delle Nazioni Unite quasi 24 ore dopo è salito a 53 in seguito al ritrovamento di altre salme e soprattutto al decesso di alcuni dei feriti più gravi. L’attacco è stato sferrato intorno alla mezzanotte. Gli aerei della Libyan National Army (Lna) avevano probabilmente come obiettivo la base di una delle milizie fedeli al governo di Fayez Serraj, quasi adiacente al campo dei migranti. In particolare, puntavano a distruggere un grosso deposito di armi e automezzi militari, distante poche decine di metri da uno degli hangar del centro di detenzione, dove erano alloggiati quasi duecento dei 616 ospiti totali. Le bombe hanno centrato in pieno questa struttura, facendo una strage. Già nei primi minuti dopo il raid sono stati individuati decine di corpi senza vita, alcuni dei quali orrendamente mutilati e sfigurati. Il conto è poi salito progressivamente a 44 e infine a 53. “Alcuni dei feriti più gravi – è stato riferito la notte stessa da un paio di compagni superstiti – hanno perso le braccia o le gambe”. La Mezzaluna Rossa e personale delle Nazioni Unite li hanno trasferiti in vari ospedali di Tripoli. La maggior parte delle vittime sono sudanesi del Darfur e marocchini. Quasi la metà delle strutture del campo sono distrutte o comunque inagibili. “E’ una tragedia annunciata e ampiamente prevedibile – hanno denunciato alcuni profughi contattati la notte stessa dal Coordinamento Eritrea Democratica – Già nel mese di maggio il campo di Tajoura è stato sfiorato da alcuni missili lanciati da aerei che volevano colpire la vicina base dei miliziani schierati con il Governo di Tripoli”. Anche il portavoce dell’Unhcr in Libia, Charlie Yaxley, ha fatto notare come l’agenzia, appena due mesi fa, abbia segnalato con forza che i detenuti del centro di Tajoura correvano gravissimi rischi per la battaglia che si svolge nelle vicinanze, come dimostra un precedente bombardamento che ha provocato due feriti tra i migranti. Il 21 giugno scorso, appena dieci giorni prima della strage, inoltre, ci sono stati un tentativo di fuga represso, seguito da una protesta dei rifugiati, proprio per chiedere di essere trasferiti lontano dalla linea del fuoco. Nessuno ha scoltato questi appelli. “E questo massacro – hanno detto alcuni profughi eritrei – rischia di non rimanere isolato: altri campi sono in grave pericolo, nei sobborghi e alla periferia di Tripoli, come quello di Tajoura”.

(Fonti: Associated Press, Reuters, Te Guardian, Al Jazeera, Repubblica, La Stampa, Corriere della Sera, Libya Observer, sito web Unhcr Libya, Tg2 Rai e Tg La 7 delle 13,30, Agenzia Ansa, Address Libya)     

Libia-Tunisia-Italia (al largo di Zarzis), 4 luglio 2019

Ottantatre vittime: 82 migranti dispersi in mare e uno morto poco dopo essere stato portato a riva in gravi condizioni nel naufragio di un gommone al largo della Tunisia. Soltanto tre i superstiti. Nei giorni successivi, fino al 12 luglio, tra Zorzis e l’isola di Djerba sono stati recuperati, in mare o spiaggiati, i corpi senza vita di 72 dei dispersi. Il battello era partito prima dell’alba dalla Libia, prendendo il largo dalla costa di Zuwara, a poche decine di chilometri dal confine con la Tunisia. Nel pomeriggio era ormai in acque tunisime, nove miglia circa al largo del porto peschereccio di Zorzis, quando una delle camere stagne laterali si è sgonfiata e lo scafo ha cominciato a imbarcare acqua, affondando rapidamente. La parte finale della tragedia è stata ricostruita da Chamseddine Marzoug, il pescatore di Zarzis che da anni si occupa di assistenza ai migranti, in contatto anche con Alarm Phone, famoso tra l’altro per aver realizzato un piccolo cimitero per le vittime senza nome recuperate in mare nella zona. “I primi soccorsi – ha raccontato ad Alarm Phone, ripetendo poi tutto anche all’agenzia Ansa – sono arrivati da alcune barche di peascatori a cui si è poi aggiunta la Guardia Costiera. Quando sono arrivati sul posto, però, più di 80 maufraghi erano stati portati via dalle correnti e non ne è stata trovata traccia. Gli altri sono stati fatti sbarcare a Zarzis”. Uno di questi, privo di conoscenza e con evidenti sintomi di annegamento, è stato trasferito immediatamente in ospedale, ma i medici non sono riusciti a rianimarlo. E’ morto poco dopo il ricovero: era originario della Costa d’Avorio. Le ricerche dei dispersi sono sono protratte sino al tramonto.

(Fonte: Associated Press, Reuters, Halarm Phone. Agenzia Ansa, Repubblica, La Stampa, Il Messaggero, Il Fatto Quotidiano, Agenzia Agi, Globalist)

Marocco-Spagna (Nador-Malaga), 5-6 luglio 2019

Un giovane migrante subsahariano è stato ucciso su un gommone dallo scafista perché aveva bevuto il suo succo di frutta. L’omicidio è stato denunciato dai compoagni appena sono arrivati in Spagna. Il battello era partito dalla spiaggia di Kariat Akmane, nei pressi di Nador, nel nord del Marocco, il pomeriggio del 5 luglio. A bordo erano in 17, tutti subsahariani, incluso lo scafista, indicato come Oumar Diallo, originario della Guinea. A ciascuno, prima di salpare, era stato consegnata una busta con un po’ di cibo e un succo di frutta, per affrontare la traversata verso l’Andalusia, attraverso il Mare di Alboran. Dopo dodici ore di navigazione sono arrivati nelle acque spagnole. E’ qui che, secondo il racconto dei compagni della vittima, si è consumato l’omicidio. Quando si è accorto che il ragazzo, vinto dalla sete, stava bevendo il suo succo di frutta, lo scafista ha estratto un pugnale e si è avventato contro di lui colpendolo alla gola. Poi lo avrebbe decapitato e gettato la testa in mare. Il corpo è rimasto ancora per quasi un’ora sul battello, finché lo stesso scafista lo ha fatto scivolare in acqua. Choccati e terrorizzati, gli altri non hanno avuto il coraggio di reagire. Quando, intercettati dal Salvamento Marittimo nella ntte tra il 5 e il 6 luglio, sono stati condotti a Malaga, però, la prima preoccupazione è stata quello di denunciare tutto agli operatori della Croce Rossa che li stavano assistendo. La notizia è rimasta riservata fino a quando ne sono venuti a conoscenza alcuni cronisti del Mundo, che l’hanno pubblicata. L’Organizzazione Marocchina per i Diritti Umani conosce lo scafista per averlo denunciato più volte per traffico di esseri umani. “Individua le persone in Guinea, suo paese d’origine – ha raccontato Omar Naji, presidente della Ong – e le convince a partire chiedendo in cambio 3 mila euro. La polizia marocchina lo ha fermato più volte, Ma è stato sempre scarcerato”. Dalla vittima e dai suoi compagni si era fatto dare 2.500 euro a testa per la traversata.

(Fonte: Il Fatto Quotidiano del 19 luglio, che cita El Mundo”)

Libia-Tunisia (Ras Jedir), 12-13 luglio 2019

Un profugo eritreo muore di fatica e sfinimento vicino al posto di confine di Ras Jedir, dopo aver tentato di entrare in Tunisia dalla Libia. Si chiamava Filmon Temesgen ed aveva 28 anni. A Ras Jedir Filmon era arrivato dopo mesi di terribile detenzione in Libia, nelle mani prima della polizia e poi di una banda di trafficanti: una foto che lo ritrae incatenato, diffusa dagli stessi predoni che lo tenevano prigioniero per indurre i familiari a pagare il riscatto, è stata a lungo sul web. Sottoposto a torture, violenze, lavoro schiavo, quando è riuscito a riscattare il rilascio ha cercato di lasciare la Libia via terra, attraversando il confine con la Tunisia. Da Zuwara ha raggiunto la linea di frontiera, distante una sessantina di chilometnri, ed è riuscito anche a passare, puntando verso Ben Gardane, 30 chilometri più a ovest, ma è stato intercettato da una pattuglia della polizia tunisina, che lo ha espulso verso il centro di detenzione per rifugiati di Ras Jedir, dove è morto pochi giorni dopo. La notizia della sua morte è stata ripresa dai siti web di numerosi profughi eritrei in Europa. “E’ stato stroncato – hano scritto – da mesi di maltrattamenti, torture, lavoro schiavo…”.

(Fonte: siti web Meron Estefano e Martin Plaut, Coordinamento Eritrea Democratica)

Marocco-Spagna (Mare di Alboran), 16-17 luglio 2019

Trovato il corpo senza vita di una giovane subsahariana su uno dei tre gommoni soccorsi nel mare di Alboran, al largo di Almeria, dal Salvamento Maritimo spagnolo, al termine di una intensa giornata di operazioni di soccorso nello Stretto di Gibilterra. L’allarme è scattato nelle prime ore del mattino, quando la Ong Caminando Fronteras ha ricevuto una serie di richieste di aiuto da parte di familiari degli oltre 200 migranti a bordo delle barche che, salpate dalla costa marocchina tra Tangeri e Nador, avevano perso la rotta verso l’Andalusia. Le ricerche sono state condotte per l’intera giornata ma verso sera ancora nessuno dei  tre natanti era stato individuato. La situazione, per una delle barche, si è fatta particolarmente critica poco dopo le 16, quando i migranti hanno segnalato che il motore si era bloccato e lo scafo stava imbarcando acqua. In serata e nella prima parte della notte, poi, sono iniziati gli avvistamenti. La donna morta era sulla seconda barca individuata, con a bordo altre 73 persone (50 uomini e 23 donne): il salvataggio è stato condotto dalla salvamar Spica, che nelle ore successive ha intercettato anche il natante in avaria, con 75 migranti, tutti in salvo. In precedenza la salvamar Caliope aveva trovato l’altra barca, con 71 naufraghi. La  vittima, che si chiamava Hanatah Soumah, è morta annegata. I compagni hanno raccontato che, avendo constatato che il gommone si stava sgonfiando, facevano tutti dei turni in acqua per alleggerirlo. Quando è toccato ad Hanatah, deve aver perso la presa dallo scafo ed è stata trascinata via dalle onde, prima che gli altri potessero afferrarla: sono riusciti solo a recuperarne il corpo. Almeria il porto di sbarco.

(Fonte: Europa Press, siti web Helena Maleno e Ong Caminando Fronteras)

Turchia (Ozalp, provincia di Van), 18 luglio 2019

Quindici profughi morti e 51 feriti (di cui una ventina in gravi condizioni) in un pullmino finito fuori strada. Alle vittime va aggunto anche l’autista, portando il totale a 16. L’automezzo veniva dalla zona vicina al confine con l’Iran. I profughi a bordo devono aver varcato la frontiera attraverso strade e in tempi diversi ma è presumibile che avessero già un contatto con l’organizzazione di trafficanti che ha organizzato la “spedizione” verso ovest, per raggiungere il confine con la Grecia o la Bulgaria: 67 persone (in maggioranza provenienti da Afghanistan e Pakistan ma anche dal Bangladesh), incluso il conducente, su un piccolo bus abilitato al massimo per 17-18 posti. La strage è legata direttamente a questo incredibile sovraccarico. Dalla fascia frontaliera il pullmino ha raggiunto Van, proseguendo in piena notte lungo la superstrada che conduce a ovest. Poco dopo aver superato la città di Ozalp, l’autista ha perso il controllo della guida e il bus, lanciato a forte velocità, è volato fuori strada, capottandosi in una scarpata laterale. Quasi tutti i profughi sono rimasti incastrati all’interno. I soccorritori hanno contato subito numerose vittime, salite via via con il passare delle ore perché molti di quelli estratti feriti dalle lamiere non ce l’hanno fatta. Il bilancio finale – 16 morti e 51 feriti – è stato comunicato dal governatore della provincia di Van, Emin Bilmez, dopo un colloquio con il direttore sanitario provinciale, Mahmut Sunnetcioglu. La polizia ha aperto un’inchiesta per cercare di individuare l’organizzazione di trafficanti.

(Fonte: Hurriyet Daily News, Anadolu Agency, Associated Press) 

Spagna (Ceuta), 23 luglio 2019

Un migrante algerino di 27 anni è annegato mentre tentava di raggiungere a nuoto il territorio di Ceuta dal Marocco. Tre suoi compagni risultano dispersi. Nessuno si è accorto di nulla: l’allarme è scattato solo quando il suo corpo senza vita è affiorato sulla spiaggia del Tarajal, la linea di frontiera lungo la quale si spinge per diversi metri in mare l’alta barriera metallica che divide l’enclave spagnola dalla parte marocchina. Allertati da alcuni passanti, sul posto sono intervenuti diversi agenti della Guardia Civil, che hanno recuperato la salma e avviato le indagini per l’identificazione. L’esame medico ha confermato che la morte, avvenuta poche ore prima del ritrovamento,  è dovuta ad annegamento. L’ipotesi più accreditata è che il giovane abbia tentato la traversata durante la notte, con il favore del buio e spingendosi piuttosto al largo  per eludere la sorveglianza. Le forze devono averlo abbandonato quando era ormai all’altezza del confine ma ancora distante da terra. Nelle prime ore del mattino, poi, le correnti ne hanno trascinato il corpo a riva, nei pressi del Tarajal.

I tre dispersi. La vittima è stata identificata ufficialmente il 10 agosto. Grazie ai familiari che hanno  riconosciuto il cadavere e ad alcuni compagni, è stato possibile ricostruire l’intera vicenda. Erano quattro  i giovani algerini che hanno cercato di arrivare a Ceuta a nuoto dal Marocco la notte tra il 22 e il 23 luglio. Uno è, appunto, il giovane il cui corpo senza vita è approdato al Tarajal. Un altro dovrebbe essere quello, di nome Saber, di cui è stata denunciata la scomparsa il 25 luglio e mai ritrovato. A segnalare che se ne erapersa ogni traccia è stato un amico, quando ha saputo che la mattina di due giorni prima era stato trovato il corpo di un migrante sulla battigia al confine tra Ceuta e il territorio marocchino. Gli accertamenti condotti dalla Guardia Civil hanno escluso che si trattasse della stessa persona proprio sulla base delle indicazioni fornite dall’amico del giovane sparito. “Siamo arrivati insieme in Marocco dall’Algeria 10 mesi fa – ha detto il ragazzo – Abbiamo tentato più volte senza fortuna di arrivare in Spagna. Abbiamo anche pagato 700 euro a testa a una organizzazione di trafficanti, che ci ha truffato, abbandonandoci in Marocco senza più un soldo. Saber era disperato, ma non voleva rassegnarsi. Lunedì 22 mi ha detto che, a questo punto, voleva tentare di arrivare a Ceuta a nuoto, anche a costo di rischiare la vita. Da allora non lo ho più visto”. Ha aggiunto che Saber ha un grosso tatuaggio su tutto l’avambraccio sinistro e proprio questo particolare ha fatto escludere che sia lui la vittima recuperata al Tarajal la mattina di martedì 23 luglio, perché sul cadavere composto all’obitorio di Ceuta non ce n’è traccia. Resta il fatto che da lunedì 22 non si è avuta più alcuna notizia di lui. “Se fosse arrivato me lo avrebbe fatto sapere”, ha insistito l’amico. Quanto agli altri due, non se ne è saputo più nulla e sono anch’essi considerati dispersi.

(Fonte: El Faro de Ceuta, edizioni del 23 luglio, del 25 luglio e dell’11 agosto)

Turchia-Grecia (Bodrum-Kos), 23 luglio 2019

Um bambino è annegato nel naufagio di una barca carica di profughi al largo della Turchia. Il battello, un piccolo scafo in vetroresina, era partito durante la notte tra il 22 e il 23 luglio dalle spiagge di Bodrum, nel sud ovest della provincia di Mugla, puntando verso Kos. A bordo erano in nove. Navigavano a vista, poiché l’isola greca è distante solo poche miglia dalla Turchia. Erano ancora nelle acque territoriali turche, a ovest di Akyayar, quando, forse a causa del sovraccarico, la barca si è rovesciata. I soccorsi sono arrivati dalla Guardia Costiera turca, che ha recuperato 8 naufraghi nei pressi del relitto. I superstiti hanno subito segnalato che mancava un bambino. Le ricerche si sono protratte senza esito per l’intera giornata.

(Fonte: Anadolu Agency, Aegean Boat Report, sito web Alarm Phone)

Turchia (Ankara), 24 luglio 2019

Centosedici profughi hanno perso la vita in Turchia, nei primi sei mesi del 2019, durante la loro fuga “via terra”, nel tentativo di entrare o di attraversare il paese verso ovest o in prossimità della frontiera con la Grecia. In particolare, 52 sono morti assiderati e 64 sono rimasti vittime di incidenti stradali. E’ quanto emerge dal rapporto pubblicato, in collaborazione con la polizia, dalla Direzione Generale del Dipatimento per l’Immigrazione, ripreso tra il 23 e il24 luglio da Anadolu Agency e dal quotidiano Hurriyet Daily News. E’ un bilancio ancora più pesante di quello emerso dalle notizie di cronaca e riportato in questo stesso dossier.

Morti assiderati. Nel rapporto di polizia precedente, pubblicato a metà maggio, i profughi vittime di congelamento e assideramento risultavano 34, di cui 32 alla frontiera orientale con l’Iran e 2 al confine greco. La maggior parte erano stati trovati all’inizio del disgelo. Ora, con il terreno totalmente libero dalla neve, le salme recuperate risutano 18 in più: altre 7 in prossimità del confine orientale (per un totale di 39) nella provincia di Van e altre 11 (per un totale di 13) nella provincia di Edirne, a breve distanza o lungo la linea di confine con la Grecia.

Incidenti stradali. Secondo le notizie attinte dai giornali, fino al 18 luglio risultava un totale di 30 vittime, oltre a decine di feriti, anche molto  gravi. In particolare, 5 a Tusba (Van) il 16 maggio; 10 a Meric (Edirne) il 26 giugno, 15 a Ozalp (Van) il 17 luglio. Il rapporto del Dipartimento Immigrazione ne conta ben 34 in più, anche se non specifica le circostanze precise e non fornisce particolari sui singoli episodi o sugli eventuali decessi dei feriti più gravi: si limita a specificare che “gli incidenti.sono avvenuti mentre i migranti privi di documenti stavano tentando di entrare illegalmente in Turchia o di attraversare il paese, da una provincia all’altra”. Sia per gli incidenti stradali che per i morti assiderati il bilancio 2019 è molto più pesante di quello del 2018.

(Fonte: Hurriyet Daily News, Anadolu Agency)

Libia (Homs), 25 luglio 2019

Almeno 150 vittime tra morti e dispersi, al largo della Libia, nel naufragio di un barcone con a bordo 300 migranti. I primi soccorritori e i sovravvissuti dicono di aver visto galleggiare più di 70 cadaveri mentre i dispersi sarebbero non meno di 80 ma forse anche di più. Intorno a 140 i naufraghi tratti in salvo. “Si tratta della tragedia più grande avvenuta quest’anno nel Mediterraneo”, hanno denunciato Filippo Grandi e Charlie Yaxley, dell’Unhcr, che per primo ha dato la notizia. Inizialmente si è parlato di due barche naufragate, anche sulla base del primo rapporto fatto alla stampa dal generale Ayoub Qassim, portavoce della Guardia Cosiera, nel quale risultava che le motovedette libiche erano intervenute per due diversi battelli salpati la sera di mercoled’ 24 luglio dalla zona di Homs, oltre 120 chilometri a est di Tripoli. Le dichiarazioni rese da alcuni dei superstiti hanno poi chiarito la tragedia. La sera del 24 luglio, da Homs sono partiti in effetti due battelli, a breve distanza di tempo l’uno dall’altro: il primo con circa un centinaio di persone e un vecchio barcone da pesca in legno (quello poi naufragato) stipato di migranti (oltre due terzi eritrei) ammassati sia sotto coperta che sul ponte. Hanno navigato separati fino a che si sono persi di vista. Il più piccolo è stato intercettato dalla Guardia Costiera e ricondotto a Homs. L’altro è andato avanti ma dopo alcune decine di miglia ha cominciato a imbarcare acqua. I profughi hanno cercato di gettarla fuori bordo con secchi e bidoni ma in breve è apparso evidente che non era possibile proseguire e lo scafista ha invertito la rotta, puntando verso terra. “Abbiamo anche avvistato una nave – ha raccontato uno dei sopravvissuti – Dalle insegne e dalle scritte sembrava turca. Abbiamo cercato di avvicinarci e di accostare per chiedere aiuto, ma da bordo non ci hanno ascoltato: anzi, hanno chiesto strada suonando ripetutamente a lungo la sirena per allontanarci. A quel punto non restava che provare a raggiungere la riva”. Il naufragio è avvenuto poco dopo aver incrociato quella nave: il barcone ha ceduto e si è quasi spezzato in due, scaraventando tutti in acqua. Alcuni dei più forti, nuotando per ore, sono rusciti a raggiungere la costa, dove hanno dato subito l’allarme. Nel frattempo della tragedia si erano accorti alcuni pescherecci libici: i primi soccorsi sono arrivati da loro. La Guardia Costiera è arrivata solo più tardi. “Per almeno otto ore siamo rimasti abbandonati in mare: un tempo lunghissimo, nel quale abbiamo visto sparire tra le onde decine di nostri compagni. In particolare quasi tutte le donne che erano con noi”, hanno raccontato alcuni dei sopravvissuti. Secondo la Guardia Costiera, dei circa 300 uomini e donne a bordo se ne sono salvati 137. Una sola salma è stata recuperata dai militari. L’Unhcr, sulla base delle testimonianze raccolte, riferisce invece che sono 147 le persone tratte in salvo e che dunque la stima delle vittime è di 150. L’equipe di Medici Senza Frontiere che ha assistito alcune decine di naufraghi appena sbarcati, oltre a riferire dei 70 cadaveri segnalati intorno al relitto, parla di circa 100 dispersi. Per 7 dei superstiti è stato necessario il trasferimento in ospedale per cure mediche salvavita. In quasi tutti gli altri sono stati riscontrati sintomi da pre-annegamneto, come ipossia e ipotermia. Nei giorni successivi sono stati recuperati dalla Mezzaluna Rossa 62 corpi senza vita. A parte i profughi eritrei o comunque originari del Corno d’Africa, una percentuale consistente delle vittime è costituita da palestinesi e sudanesi.

(Fonte: Associated Press, sito web Unhcr, Repubblica, Corriere della Sera, Il Fatto Quotidiano, La Stampa, Al Jazeera, Ansa, Ufficio Stampa Medici Senza Frontiere, Coordinamento Eritrea Democratica)

Libia-Tunisia (al largo di Zawiya), fine luglio 2019

Un migrante è morto su un gommone rimasto per giorni alla deriva tra la Libia e la Tunisia. L’episodio, accaduto verso le fine di luglio, è venuto alla luce grazie a una lungo racconto-denuncia fatto da uno dei suoi compagni, Abdullah, un giovane sudanese, a un gruppo di lavoro Associated Press autore di una inchiesta sui centri di detenzione in Libia pubblicata il 30 dicembre. Il battello era partito da Zawiya, circa 50 chilometri a ovest di Tripoli. A bordo, inclusa la vittima e Abdullah, erano in 19, tutti detenuti nel centro di Al Nasr, dove erano finiti in tempi e circostanze diverse. Abdullah, in particolare, vi era stato rinchiuso dopo che era fallito il suo primo tentativo di lasciare la Libia, nel 2017, quando la barca su cui si trovava insieme ad altre 47 persone era stata bloccata dalla Guardia Costiera libica. Il costo del “rilascio” e dell’imbarco era stato complessivamente di 48 mila dollari, una media di circa 2.600 a testa, ma con tariffe differenziate in base alla nazionalità. Nonostante la grossa cifra versata, il battello era in cattive condizioni. Il motore si è bloccato dopo poche ore di navigazione e i 19 profughi sono rimasti alla deriva, grossomodo all’altezza del confine tra la Libia e la Tunisia, senz’acqua né cibo e sotto un sole terribile. Dopo alcuni giorni – ha riferito Abdullah – uno del gruppo è morto, presumibilmente per disidratazione e sfinimento. Anche gli altri hanno rischiato di fare la stessa fine. Al nono giorno, quando avevano ormai perso ogni speranza, sono stati soccorsi da alcuni pescatori tunisini, che li hanno presi a bordo e condotti a terra. “Ci sono solo tre modi per uscire da centri di detenzione come Al Nasr: fuggire, pagare il riscatto o morire”, ha concluso Abdullah, specificando anche le tariffe pretese dai miliziani di guardia: “Per gli etiopi 5 mila dollari; 6.800 per i somali, 8.100 per i marocchini e gli egiziani, 18.500 per i bengalesi”.

(Fonti: Associated Press e Al Jazeera, edizioni del 31dicembre 2019)   

Libia (Al Zintan), 31 luglio 2019

Un altro profugo è morto di Tbc nel campo di Al Zintan: è il ventitreesimo dal mese di settembre 2018. Eritreo, 24 anni, poco dopo essere arrivato in Libia era stato catturato da una banda di trafficanti, subendo torture, ricatti, ogni genere di violenze. Quando è finito nel centro di detenzione di Al Zintan, ai maltrattamenti si è aggiunta la malattia. Come gli altri colpiti dall’epidemia di Tbc è stato lasciato praticamente senza cure sino a quando, nel mese di giugno, a un’equipe di Medici Senza Frontiere è stato consentito di intervenire nel campo. Lui è apparso subito uno dei malati più gravi. La mattina del 31 luglio è arrivata ad alcuni compagni in Italia la notizia che era morto. E’ stato anche comunicato che un altro giovane è in condizioni disperate. L’Unhcr ha sollecitato da tempo il Governo libico a chiudere il centro e a liberare i detenuti. Molti di questi hanno chiesto di essere trasferiti nel centro accoglienza dell’Unhcr di Tripoli che serve come base di transito per i profughi inseriti nei programmi di relocation. La struttura, però, è praticamente da sempre oltre il limite della capienza: “Non si possono accogliere altri ospiti – hanno riferito funzionari dell’Unhcr – se prima non si attiverà un canale di trasferimento verso il Niger o verso uno degli Stati occidentali che hanno aderito al progetto, liberando così un certo numero di posti”.

(Fonte: Coordinamento Eritrea Democratica, sito web Sally Hayden)

Spagna (Ceuta), 2 agosto 2019

Il cadavere di un migrante di origine maghrebina è affiorato a Ceuta, nelle prime ore del mattino, poche decine di metri al largo di playa de la Potabilizadora, a non grande distanza dalla linea di confine con il Marocco. Avvistato da alcuni privati che si trovavano nella zona, il cadavere è stato recuperato poco dopo da una unità del guppo subacqueo della Guardia Civil. A giudicare dallo stato di conservazione, doveva essere in acqua già da alcuni giorni. Non sono stati trovati elementi utili a identificare la vittima, ma la polizia ritiene che, come è già avvenuto in passato, si tratti di un giovane che ha cercato di entrare a nuoto dal Marocco nel territorio spagnolo. Conferma questa ipotesi il fatto che il giovane indossasse una muta da sub, così come altri migranti che hanno tentato la stessa via per arrivare a Ceuta dal Marocco in passato.

(Fonte: El Faro de Ceuta)

Libia-Italia (Mediterraneo centrale), 5 agosto 2019

Almeno due morti (ma forse sono più del doppio) in un gruppo di migranti partiti dalla Libia e arrivati a Lampedusa dopo due giorni di mare. La loro barca, un piccolo battello da pesca in legno, è entrato nel porto dell’isola autonomamente, intorno a mezzogiorno, senza essere intercettato neanche all’interno delle acque territoriali italiane. A bordo erano in 48, quasi tutti provenienti dalla Costa d’Avorio e dal Mali: tra loro 27 donne (di cui tre in stato di gravidanza avanzata) e 6 bambini. Erano tutti molto provati, con gravi sintomi di disidratazione e alcuni con problemi respiratori dovuti ai fumi di scarico del motore della barca. Alcuni hanno subito raccontato che allapartenza il gruppo era più numeroso: durante la navigazione il battello ha avuto un incidente e più di qualcuna delle persone a bordo è caduta in mare, senza riuscire più a risalire, sparendo sott’acqua. Secondo le testimonianze rese, si tratta di un bambino di appena cinque mesi e di un trentenne, ma non è escluso che ci siano altre vittime. La polizia ha aperto un’inchiesta per appurare la natura dell’incidente e il numero esatto dei morti.

(Fonti: sito web Mediterranean Hope, Agenzia Ansa, Repubblica, Il Fatto Quotidiano, Il Giornale di Sicilia, La Sicilia)

Turchia (frontiera con la Siria), 11 agosto 2019

Un profugo siriano è stato ucciso mentre cercava di superare la linea di frontiera per entrare in Turchia. Si chiamava Hisham Mustafa. La notizia è stata pubblicata dal National Herald l’undici agosto, ma l’episodio risale ad alcuni giorni prima. Non si hanno molti particolari. Hisham Mustafa era arrivato in Turchia da mesi, insieme alla moglie e al figlio piccolo, ottenendo lo status di rifugiato. Tra la fine di giugno e l’inizio di luglio (in ogni caso circa 25 giorni prima della sua uccisione), nonostante avesse un “permesso di protezione temporaneo”, è stato espulso, forse perché sorpreso in una provincia non prevista dalla documentazione in suo possesso. Fin da quando è rientrato in Siria il suo pensiero fisso è stato quello di tornare in Turchia con qualsiasi mezzo per ricongiungersi con la famiglia. Ha provato ad attraversare di nascosto il confine ma, a quanto pare, è stato sorpreso da una pattuglia della polizia di frontiera che, non essendosi fermato all’alt, ha sparato, uccidendolo. Secondo la Ong Aegean Boat Report sono numerosissimi i profughi siriani che temono di essere rimpatriati contro la loro volontà. I più a rischio sarebbero quelli che si trovano a Istanbul, dopo che le autorità municipali hanno ordinato di lasciare entro breve tempo la città a tutti i rifugiati registrati in altre province.

(Fonte: The National Herald)

Malta (zona Sar maltese), 12-16 agosto 2019

Trovati un giovane migrante senza vita e uno in condizioni critiche su un piccolo canotto pneumatico al largo di Malta. Quattro giorni dopo, grazie al racconto dell’unico superstite, Mohamed Adam Oga, un profugo etiope di etnia oromo, si scoprirà che le vittime sono in realtà 14: due ghanesi (tra cui una donna in stato di gravidanza), due etiopi e 10 somali, incluso il ragazzo, di nome Ismail, il cui corpo era sul fondo del gommone.

Il soccorso. La segnalazione di un battello alla deriva, nelle acque della zona Sar maltese, è arrivata alla Guardia Costiera nella serata di lunedì 12. Una motovedetta ha pattugliato la zona fino a che, durante la notte, il natante è stato avvistato qualche decina di miglia a sud dell’isola. Nessun segno di vita a bordo: solo due corpi distesi, quello senza vita e adagiato sopra, immobile, quello di un altro giovane che respirava appena. Nient’altro: nessuna riserva d’acqua, di cibo o di carburante. L’ipotesi più accreditata è stata subito che il canotto fosse partito dalla Libia qualche giorno prima del ritrovamento, perdendo forse la rotta e rimanendo poi alla deriva. Nonostante si tratti di uno scafo piuttosto piccolo, si è anche subito pensato che ci fossero altre persone a bordo, poi scomparse in mare durante la traversata.

Il racconto di Mohamed Adam Oga. Mohamed Adam Oga, il giovane ancora in vita, privo di conoscenza, è stato subito trasferito in elicottero all’ospedale Mater Dei di La Valletta. Non appena è stato in grado di parlare, la mattina del giorno 16, ha raccontato la tragedia di cui è stato protagonista a un cronista del Times of Malta. Fuggito dall’Etiopia, dove ha combattuto nelle fila del movimento di liberazione oromo, Mohamed è arrivato in  Libia attraverso l’Eritrea e il Sudan. In Libia ha conosciuto Ismail, il somalo morto al suo fianco. Insieme hanno contattato un trafficante libico che, in cambio di 700 dollari a testa, la sera del primo agosto li ha imbarcati sul piccolo canotto pneumatico insieme a 13 compagni. La partenza è avvenuta da Zawiya, circa 50 chilometri a ovest di Tripoli: lo stesso trafficante, dando loro un apparecchio Gps, li ha consigliati di puntare verso Malta. Poche ore dopo, però, hanno perso l’orientamento. Da quel momento hanno vagato per oltre 11 giorni nel Mediterraneo: prima è finita la benzina, poi la scorta di cibo, infine l’acqua. E i profughi a bordo hanno cominciato a morire di sete e di stenti. “Prima due, poi via via gli altri, qualcuno ogni giorno – ha raccontato Mohamed – Abbiamo dovuto gettare in mare i corpi. Non avremmo voluto, ma si stavano decomponendo a causa del grande caldo e non avevamo scelta. Alla fine siamo rimasti solo Ismail ed io. Poi si è arreso anche lui. Anzi, in un gesto di disperazione ha gettato in mare persino il cellulare, dicendo che ormai non avevamo scampo. E’ morto poco prima che che ci trovassero. Non ricordo nulla del salvataggio, dell’elicotero, di come ci hanno recuperato: ero svenuto. Ricordo solo che non volevo morire. E che, in quei lunghi undici giorni in mezzo al mare, sono passati non lontano dal nostro canotto navi ed elicotteri. Abbiamo urlato, cercato di fare segnali per chiedere aiuto, ma nessuno si è fermato”.

(Fonti: Malta Today, Times of Malta, edizioni del 12, 13 e 16 agosto, Repubblica, Il Fatto Quotidiano, La Stampa)

Libia (Khums-Zawiya), 17 agosto 2019

Un giovane migrante subsahariano è morto mentre tentava di raggiungere l’Europa dalla Libia: il suo corpo senza vita è stato trovato su uno dei quattro battelli bloccati dalla Guardia Costiera sabato 17 agosto al largo dell’arco di costa che va da Khums, oltre 100 chilometri a est di Tripoli, fino a Zawiya, 50 chilomeyri a ovest. La notizia è stata riferita dal portavoce della stessa Guardia Costiera, senza specificare tuttavia né le circostanze della morte, né la provenienza della vittima. A bordo delle quattro barche c’erano complessivamente 278 persone, in maggioranza provenienti da paesi subsahariani ma anche dall’Egitto e da altri Stati arabi. Sono state sbarcate presso la base navale di Tripoli oppure nei porti di Khums e Zawiya.

(Fonte: Libya Observer) 

Libia (Tripoli), 17-18 agosto 2019

Almeno 100 morti nel naufragio di un barcone al largo di Tripoli nella notte tra sabato 17 e domenica 18 agosto. Tre soltanto i sopravvissuti, salvati dal pescatore che la mattina del 18 ha segnalato la tragedia alla centrale operativa di Alarm Phone. Sia la Guardia Costiera libica che l’uffico libico dellOim, informati dalla Ong di soccorso, hanno dichiarato di non aver avuto notizia della tragedia. Né la Marina libica, dopo la segnalazione di Alam Phone, ha organizzato delle operazioni di ricerca, ignorando di fatto l’allarme. Contattato di nuovo dalla Ong domenica pomeriggio, tuttavia, il pescatore libico ha confermato il naufragio;  ha specificato di aver sbarcato i tre supersiti (due donne e un uomo) a Tripoli, consegnandoli alle cure della Mezzaluna Rossa, che li ha trasferiti in ambulanza in un ospedale. Sono stati loro a dichiarare al pescatore che a bordo c’erano oltre cento persone. E lo stesso pescatore ha aggiunto di aver visto flottare in mare decine di cadaveri oltre a numerosi relitti in legno della barca. Oltre ad Alarm Phone, anche Medici Senza Frontiere dà credito alla sua testimonianza: “Abbiamo tutte le ragioni per pensare al peggio, che cioè si sono perdute oltre 100 vite umane, anche se nessuno ormai lo potrà stabilire con certezza”, ha dichiarato l’ufficio libico in un messaggio twitter, aggiungendo che casi del genere, con naufragi di cui non si sa nulla, sono piuttosto comuni. “In un recente articolo pubblicato dal magazine tedesco Der Spiegel – conferma Charlotte Hauwedell, di Info Migrants – il comandante della Guardia Costiera libica Mustafa Abuzeid stima che circa la metà delle barche che salpano dalla Libia affondano senza che se ne sappia nulla e senza superstiti, precisando che per i battelli che non vengono intercettati in tempo non c’è scampo”.

(Fonti: Sito web Alarm Phone, Info Migrants, The Address Libya) 

Bosnia-Serbia (Banja Koviljaca), 20 agosto 2019

Un profugo è annegato nella Drina tentando di attraversare la linea di confine tra la Bosnia e la Serbia. Il giovane faceva parte di un gruppo di 21 profughi. Giunti sulla sponda del fiume nel tratto che segna la frontiera serbo-bosniaca, nei pressi della città termale serba di Banja Koviljaka, pare si siano procurati una barca di fortuna per passare sull’altra riva. Durante la traversata, iniziata intonro alle 11, la vittima sarebbe caduta in acqua, venendo in breve trascinato via. I compagni hanno chiesto aiuto ad Alarm Phone, che li ha invitati a chiamare subito i servizi d’emergenza sia serbi che bosniaci. Poco dopo, intercettati da una pattuglia della polizia serba, hanno riferito nei dettagli quanto era accaduto, facendo scattare una operazione di ricerca su entrambe le sponde. Operazione che non ha dato esito, probabilmente perché la forte corrente deve aver portato il corpo molto più a valle. I profughi bloccati sono stati avviati in un centro di raccolta.

(Fonte: Watch the Med Alarm Pho0ne, rapporto 2019)

Gibilterra (acque dello Stretto), 21-22 agosto 2019

Quattro morti nel naufragio di un gommone con a bordo 19 migranti maghrebini. Il battello era partito dalle coste di Tangeri, puntando verso l’Andalusia. Poco al largo di Gibilterra è affondato. Quasi tutti i naufraghi sono riusciti a raggiungere a nuoto la costa di Gibilterra. L’allarme è scattato quando, una volta a riva, i naufraghi si sono resi conto che mancavano quattro dei loro compagni. Avverita la polizia, sono state organizzate ricerche in mare, condotte in tandem da una unità della Marina britannica e dalla salvamar Atria spagnola. L’intero braccio di mare è stato battuto per tre giorni, senza esito. Una settimana più tardi, il 28 agosto, intorno a mezzogiorno, su segnalazione di una imbarcazione privata, la polizia di Gibilterra ha recuperato il cadavere di un giovane maghrebino che flottava nella corrente dello Stretto: l’ipotesi più accreditata è che si tratti di una delle quattro vittime del naufragio.

(Fonte: El Faro de Ceuta, edizioni del 22, del 27 e del 28 agosto)

Grecia (Lesbo), 24-25 agosto 2019

Un ragazzo afghano quindicenne è stato accoltellato a morte durante una lite da un coetaneo, nel centro di detenzione per profughi minorenni di Moria, sull’isola di Lesbo. Non si conoscono le cause esatte del litigio conclusosi con la tragedia. L’unica cosa certa è che l’accoltellatore si è scontrato con altri  tre ragazzi, tutti afghani, e che a un certo punto ha messo mano a un coltello, colpendo ripetutamente gli antagonisti. Il quindicenne, in particolare, ha subito una serie di gravi ferite che di lì a poco ne hanno provocato la morte. Al di là dei motivi contingenti, diversi operatori umanitari ritengono che la lite sia ricollegabileal clima di grave tensione, frustrazione e disagio che si respira nel campo per i lunghi tempi di attesa dell’esame delle richieste di asilo o del trasferimento nella Grecia continentale e per le condizioni di vita in una struttura che ospita più di 600 giovani a fronte di una capacità massima di 160 posti. Philippe Lecrerc, rappresentante Unhcr in Grecia, ha sollecitato il Governo di Atene a trasferire al più presto i ragazzi in un luogo sicuro.

(Fonte: Ekathimerini, Infomigrants)

Grecia (Loutra, Alexandroupolis), 26 agosto 2019

Sei profughi pakistani sono rimasti uccisi in un incidente stradale mentre tentavano di attraversare la Grecia settentrionale diretti verso l’Europa settentrionale attraverso la “rotta balcanica”. Erano tutti su una grossa jeep, con dieci compagni e due “passatori”,  che li avevano presi a bordo poco dopo la linea di confine con la Turchia sull’Evros. L’incidente è avvenuto nelle prime ore del mattino nei pressi di Loutra, una piccola città del distretto di Alexandroupolis: l’automezzo, lanciato a forte velocità sulla superstrada che conduce verso ovest, è finito fuori della carreggiata, rovesciandosi sul fondo di un canale di irrigazione. Quando sono arrivati i primi soccorsi, sei degli occupanti erano già morti. Feriti tutti gli altri dieci, di cui uno in condizioni critiche. I due trafficanti (un bulgaro e un algerino) hanno cercato di fuggire a piedi subito dopo l’incidente, ma sono stati rintracciati e fermati dalla polizia.

(Fonte: Associated Press, Ekathimerini, edizioni del 26 e del 27 agosto)

Spagna-Marocco (Stretto di Gibilterra), 27 agosto 2019

La comunità algerina ospite del centro emigrazione di Ceuta ha denunciato la scomparsa di un compagno che ha tentato di attraversare lo stretto di Gibilterra per raggiungere l’Andalusia. “E’ partito dalla spiaggia di Calamocarro – hanno riferito – la notte del 21 agosto. La stessa notte in cui la Guardia Civil ha bloccato una barca con 15 migranti poco prima che salpasse. Lui voleva provare a nuoto: era un ottimo nuotatore, si era allenato a lungo, attrezzato con una tuta di neoprene per difendersi dal freddo. Aveva pensato a tutto: persino a proteggere i documenti e il denaro dentro una bottiglia di plastica assicurata a un piccolo cavo. Era sicuro di farcela. Aveva anche il numero di telefono di un algerino a cui rivolgersi una volta arrivato in Spagna…”. L’accordo era che si sarebbe fatto vivo entro quattro giorni, come fanno in genere tutti i profughi che tentano di raggiungere l’Andalusia dal Marocco. Trascorso questo termine, i compagni hanno atteso ancora 48 ore prima di dare l’allarme. Non risulta che il giovane sia arrivato da qualche parte in Spagna. Non ha mai contattato la persona da cui pensava di farsi aiutare. “Lo abbiamo visto per l’ultima volta verso le 22 del giorno 21, quando ci ha detto che avrebbe tentato la traversata dello Stretto a nuoto, partendo da Calamocarro. Se tutto fosse andato bene ci avrebbe chiamato”.

(Fonte: El Faro de Ceuta, edizione del 27 agosto) 

Libia (Khums), 27 agosto 2019

Almeno 40 morti nel naufragio di un gommone carico di migranti al largo di Khums, oltre cento chilometri a est di Tripoli, in Libia. L’emergenza è scattata verso le 3,30 del mattino, quando la centrale operativa di Alarm Phone ha ricevuto una richiesta disperata di aiuto via telefono. “Dicevano di essere partiti in più di cento da Khums circa tre ore prima – ha riferito l’operatore della Ong – Erano in preda al panico: piangevano e urlavano, specificando che il battello stava affondando rapidamente e alcuni di loro, caduti in mare, erano già morti. Abbiamo cercato di ottenere la loro posizione Gps, ma non sono riusciti a fornirci alcun dato. Intuendo che la barca doveva essere ancora vicina alla costa libica, abbiamo informato subito sia le autorità di Tripoli che la centrale Mrcc di Roma. Da quel momento non siamo più stati in grado di stabilire un contatto e parlare con quella gente. Tre ore dopo, alle 6 del mattino, ci ha chiamato un parente di alcune persone che erano a bordo, dicendo che temeva il peggio. Pensiamo che nessuno si sia mobilitato tempestivamnete per cercare quei naufaghi e organizzare i soccorsi”. Il naufragio è stato confermato nelle ore successive sia dall’Oim che dalla Guardia Cosiera libica, che ha specificato di aver tratto in salvo 65 naufraghi e recuperato 5 corpi senza vita. Stando alle dichiarazioni dei superstiti, ci sono dunque almeno 35 dispersi, per un totale di un minimo di 40 vittime. Di non meno d 40 vittime parla anche il rapporto diramato successivamente dall’Unhcr a Ginevra.

(Fonti: sito web Alarm Phone, rapporto Unhcr, Repubblica, The Guardian, Libya Observer, Avvenire, Japan Times, Trt World, Il Fatto Quotidiano, La Stampa, Al Jazeera).

Libia (al largo di Misurata), 28 agosto 2019

Almeno 6 compagni dei 92 naufraghi salvati dalla nave Mare Jonio sono morti poco prima che arrivassero i soccorsi, circa 70 miglia a nord di Misurata, in acque internazionali ma in piena zona Sar libica. Lo hanno riferito i superstiti pochi minuti dopo che l’intervento della Ong Mediterranea si era concluso, intorno alle 8,30 del mattino. L’operazione di salvataggio è stata effettuata in extremis: una delle camere stagne laterali aveva ceduto e il gommone, con un lato quasi completamente sgonfio e lo scafo già invaso dall’acqua, stava affondando rapidamente. Ancora pochi minuti e probabilmente sarebbero annegati tutti, a cominciare dai 22 bambini di meno di 10 anni che erano a bordo. Le drammatiche fasi finali della tragedia sono state raccontate da alcuni superstiti. “Siete arrivati appena in tempo – hanno riferito all’equipaggio della Mare Jonio – Il nostro canotto stava per collassare. Ha cominciato a sgonfiarsi durante la notte. Poi un’onda lo ha piegato e molti di noi sono caduti in acqua. Sei non sapevano nuotare e sono morti: il mare li ha portati via prima che potessimo fare qualcosa per aiutarli”.

(Fonte: sito web Mediterranea, Avvenire, Repubblica, Il Fatto Quotidiano, Ansa)

Marocco-Spagna (Canarie), 29 agosto 2019

Venticinque vittime (1 morto e 24 dispersi) nel naufragio di un battello carico di migranti in rotta dalle coste del Marocco all’arcipelago delle Canarie. Soltanto 9 i superstiti. Sono molto scarse le  notizie sulle circostanze della tragedia. La prima segnalazione è arrivata da Alarm Phone. Sta di fatto che quando i soccorritori sono arrivati sul posto hanno potuto recuperare appena nove naufraghi, oltre a un corpo ormai senza vita. I superstiti hanno chiarito che a bordo erano in 34, sicché si contano 24 dispersi. Nei giorni successivi il naufragio è stato confermato sia dalle autorità marocchine (intervenute per le operaqzioni di salvataggio) sia da quelle spagnole. I nove naufragi sono stati sbarcati  in Marocco.

(Fonte: sito web Alarm Phone)   

Spagna (Ceuta), 1 settembre 2019

Un giovanissimo migrante marocchino è morto presso l’ospedale universitario poco dopo essere stato trovato esanime nella zona del porto. Si chiamava Mohamed M. ed aveva appena 16 anni. Indosso non gli sono stati trovati documenti ma è stato possibile identificarlo grazie a varie testimonianze, anche perché era stato ospite del locale centro di accoglienza per minori in più occasioni. Non sembra che il corpo presentasse segni di violenza. Il referto parla di collasso cardiorespiratorio ma è stata comunque disposta un’autopsia. A Ceuta era arrivato da qualche mese, con l’intenzione di imbarcarsi per la Penisola Iberica. Proprio per questo, abbandonato ripetutamente il centro accoglienza, trascorreva in pratica l’intera giorata nella zona del porto, con altri ragazzi della sua età, nella speranza di riuscire a imbarcarsi clandestinamente su uno dei ferry per l’Andalusia o comunque di trovare il modo di attraversare lo Stretto di Gibilterra. E sulla strada che conduce ai moli del porto, appunto, è stato trovato nelle primissime ore di domenica mattina, steso a terra, vicino a un deposito e a un distributore di carburanti. Si ipotizza che dovesse incontrarse qualcuno, sempre con l’obiettivo di raggiungere l’Andalusia.

(Fonte: El Faro de Ceuta)

Algeria (Sahara tra Badji Mokthar e Reggane), 2 settembre 2019

Undici migranti subsahariani sono morti nell’incidente in cui è rimasto coivolto il camion su cui viaggiavano, in pieno Sahara, per raggiungere la costa dell’Algeria. Altri sono rimasti feriti. L’intero gruppo, proveniente dal Mali, era entrato in Algeria eludendo la sorveglianza delle guardie di frontiera all’altezza di Bordj Badji Mokhtar, una città di meno di 20 mila abitanti situata sulla linea di confine e punto di passaggio di molti migranti diretti al nord dall’Africa subsahariana. Da lì il camion su cui avevano trovato posto ha imboccato la strada transahariana per Reggane, una città-snodo di oltre 20 mila abitanti situata al centro del Sahara, circa 850 chilometri più a nord. L’incidente è avvenuto quasi a metà percorso, intorno al chilometro 400. L’autista ha perso il controllo della guida e l’autocarro, che procedeva a forte velocità, è finito fuori dalla carreggiata, ribalatandosi. Le undici vittime sono morte sul colpo o pochi minuti dopo. Quasi tutti erano senza documenti e non è stato possibile neanche accertarne l’identità o la provenienza precisa. La via di fuga sahariana che passa da Bordj Badjii Mokhtar e Reggane è comunque percorsa in prevalenza da giovani provenienti dal Mali, dalla Nigeria e dal West Africa. Tra le migliaia di persone fermate dalla polizia in questa zona nel 2018, la maggioranza erano nigeriani

(Fonte: El Watan)

Spagna (Almeria), 3 settembre 2019

Quindici migranti algerini dispersi: erano su una barca rimasta alla deriva per cinque giorni prima di essere individuata e soccorsa al largo di Almeria. Due soli i supersiti. A  dare l’allarme è stata una nave mercantile, la Reunion Bay, che intorno alle 11,45 del 3 settembre ha segnalato alla centrale operativa del Salvamento Maritimo spagnolo di aver avvistato un battello semi-affondato e, nei pressi, un uomo in mare, senza giubbotto di salvataggio. Poco dopo l’Helimer 2015, partito da Almeria, ha trovato il relitto e recuperato i due naufraghi: quello visto in mare dalla Reunion Bay e l’altro, aggrappato a quello che restava della barca. Sono stati loro a ricostruire la tragedia. Erano partiti giovedì 29 agosto dalla costa occidentale dell’Algeria, puntando verso la Spagna. Sulla barca, una piccola unità in legno, erano in 17. Contavano di raggiungere la penisola iberica al massimo entro 24 ore, ma hanno perso la rotta e, a quanto pare, avrebbero esaurito sia il carburante che le scorte d’acqua, rimanendo in balia delle correnti. Poi lo scafo ha cominciaro anche a imbarcare acqua e ad affondare. Dopo il recupero dei naufraghi effettuato dall’elicottero, una motovedetta francese della flotta di Frontex ha perlustrato a lungo la zona, ma dei dispersi non si è trovata traccia. D’altra parte i due superstiti hanno specificato che i 15 compagni sono via via scomparsi nei primi giorni del viaggio, presumibilmente a notevole distanza dal punto in cui il relitto è stato avvistato. La polizia di Almeria ha aperto un’inchiesta.

(Fonte: Europa Press Andalucia)

Turchia (tra Agri e Van), 6 settembre 2019

Due profughi sono morti su un pulmino finito fuori strada nella Turchia orientale. Sul minibus erano stati stipati, da una organizzazione di “passatori”, 32 giovani, in maggioranza afghani. Veniva da Agri, una città situata a breve distanza dalla linea di confine con l’Iran, nella zona armena dell’Anatolia. L’incidente è avvenuto nelle primissime ore del mattino lungo la superstrada per Van, verso sud ovest. L’autista ha perso il controllo della guida e il mezzo è volato fuori strada a forte velocità, rovesciandosi in una scarpata e finendo poi in fondo a un canalone. Tutti i 32 profughi a bordo sono rimasti feriti. I due più gravi sono morti poco dopo essere stati ricoverati all’ospedale di Van.

(Fonte: Anadolu Agency, Hurriyet Daily News)

Grecia (Samo), 6 settembre 2019

Una anziana migrante è morta poco prima di arrivare a Samo su un piccolo battello salpato dalla Turchia. A bordo erano in 14, tutti di nazionalità afghana. Partiti poco dopo l’alba, hanno raggiunto la costa di Samo all’altezza del villaggio di Kojkkari, nel nord est dell’isola. Avvistata dalla Guardia Costiera, la barca è stata scortata fino a riva. La salma della donna è stata scoperta dagli agenti al momento dello sbarco: gli altri migranti hanno raccontato che aveva perso conoscenza ed era morta poco prima, per un malore improvviso, durante la navigazione.

(Fonte: Ekathimerini)

Italia (Bardonecchia), 7 settembre 2019

Il corpo di un giovane tunisino è emerso in serata nelle acque della Dora, all’altezza di Bardonecchia, in alta Val Susa. Lo ha avvistato un passante, poco lontano dal commissariato di polizia, nel centro del paese. A giudicare dalle condizioni di conservazione, doveva essere in acqua da mesi. Si è subito capito che si trattava certamente dei resti di un giovane migrante morto durante l’inverno nel tentativo di attraversare a piedi il confine con la Francia da uno dei passi di montagna della zona, ma per identificarlo sono stati necessari nesi di ricerche. Sugli abiti non sono stati trovati documenti né altri elementi utili a stabilirne il nome e la provenienza. Sulla base dei pochi elementi disponibili, hanno avviato indagini, oltre alla polizia, anche i volontari di Raimbow Africa, da quasi due anni presenti sulle montagne piemontesi con la missione Freedom Mountain per prestare assistenza ai migranti che dall’Italia cercano di arrivare in Francia. Alla fine, l’elemento determinante è venuto da un tatuaggio, una “K”, trovato sul corpo nonostante l’avanzato stato di decomposizione: da questo dettaglio si è risaliti a un uomo – Mohamed Ali Bouhmadi, di 37 anni – fermato in precedenza per dei controlli e identificato dalle forze di polizia e da qui alle schede dattiloscopiche di fotosegnalazioni che lo riguardavano. Il Consolato di Tunisia ha poi trasmesso le schede di analisi genetica ai presunti genitori della vittima e attraverso il laboratorio di Genetica Forense di Torino è arrivata la conferma definitiva.

(Fonte: Repubblica, La Stampa edizione 26 febbraio 2020)

Marocco (Nador), 7-8 settembre 2019

Un giovane guineano è morto dopo essere stato colpito violentemente alla testa durante lo sgombero di un campo improvvisato di migranti allestito nel bosco di Nador, sulla costa settentrionale del Marocco. Si chiamava Ansou Keita ed aveva poco più di vent’anni. Il ragazzo si trovava da mesi nel campo, insieme a centinaia di altri migranti, in attesa di riuscire a trovare un imbarco per raggiungere l’Andalusia, al di là dello Stretto di Gibilterra. La sera di sabato 7 agosto la gendarmeria, rafforzata da un grosso reparto di polizia ausiliaria, ha condotto una retata, per smantellare il campo. L’operazione, scattata in piena notte, tra sabato e domenica, in alcune fasi è sfociata in scontri e pestaggi. E’ stato appunto in queste circostanze che Ansou Keita ha subito i colpi che lo hanno ucciso, non è chiaro se da parte di un agente della gendarmeria o della polizia ausiliaria. Le testimonianze di alcuni compagni, raccolte da volontari della Ong Adesguim Maroc (Associazione per i Diritti Umani) di Nador, riferiscono un particolare molto grave: il ragazzo sarebbe stato pestato per essersi rifiutato di consegnare il cellulare e tutto il denaro che aveva. Da qui la richiesta alle autorità marocchine di aprire una inchiesta, oltre che su come è stata condotta in generale l’operazione, soprattutto su questo episodio. “La prima preoccupazione delle autorità di Nador, dopo la morte del ragazzo, è stata quella di bloccare tutti i migranti che erano con lui e che hanno assistito all’attacco notturno della polizia”, ha commentato nel sito web della Ong il presidente Kosta Sampou, aggiungendo che al termine della retata sono stati arrestati circa 200 migranti, tra cui numerose donne con i figli piccoli.

(Fonte: El Faro de Ceuta, siti web Helena Maleno e Caminando Fronteras)   

Marocco (Nador), 10 settembre 2019

Quattro giovani profughi, originari della regione del Rif, risultano scomparsi in mare mentre tentavano di raggiungere l’Andalusia dalla costa del Marocco. L’allarme è stato diramato dalle famiglie, che ne hanno comunicato anche i nomi: Abdelouahab Allali, 24 anni; Nouredine Allali, 31 anni; Salih Zahaf, 30 anni; Morad Zahamari, 27 anni. Secondo quanto hanno riferito le madri e alcuni fratelli, l’ultimo contatto con i quattro c’è stato nelle prime ore del mattino di giovedì 5 settembre, quando hanno comunicato che stavano partendo su moto d’acqua dalla zona di Nador. L’impegno era che avrebbero richiamato le famiglie appena sbarcati in Spagna. Da quel momento, invece, se ne sono perse le tracce. Il silenzio si è protratto per giorni fino a quando Khadra Tahrioui, la madre di Salih Zahaf, si è rivolta alla redazione del Faro de Ceuta per segnalare la scomparsa dei ragazzi, convincendo anche i genitori e i familiari degli altri a dare l’allarme e a chiedere aiuto. In seguito alla segnalazione, corredata dalle foto dei dispersi, sia la Guardia Civil spagnola che la Marina Marocchina hanno organizzato una operazione di ricerca nelle acque dello Stretto di Gibilterra che però, a sei giorni di distanza dalla partenza, non ha dato alcun esito. Un appello a non abbandonare le ricerche è stato lanciato anche al ministero degli Esteri, con il sostegno di alcune associazioni marocchine per i diritti umani.

(Fonte: El Faro de Ceuta, edizioni del 10 e 11 settembre)

Grecia (Komotini, Macedonia), 12 settembre 2019

Un giovane profugo pakistano è rimasto ucciso in un incidente stradale sull’autostrada Egnazia, che dal confine con la Turchia conduce verso ovest. Il giovane viaggiava, insieme a un gruppo di altri profughi (pakistani come lui e bengalesi) su un minivan Seat Ibiza che, proveniente dalla frontiera, viaggiava a forte velocità in direzione di Salonicco. Uno dei tanti “trasporti” organizzati dai trafficanti dalla linea di confine dell’Evros verso ovest. L’incidente è avvenuto nei pressi di Komotini, una piccola città situata tra Alexandroupoli e Salonicco: il minibus è finito contro un veicolo fermo al margine della strada e si è rovesciato. Parte dei profughi a bordo sono stati scaraventati fuori dalla violenza dell’urto, altri sono rimasti incastrati nell’abitacolo. Nove quelli feriti gravemente. Otto sono stati portati al Sismanoglio Hospital di Komotini, l’altro, il più grave, a quello di Alexandroupoli, ma è morto poco dopo il ricovero.

(Fonte: Ekathimerini News)

Marocco-Spagna (Stretto di Gibilterra), 12 settembre 2019

Un giovane migrante marocchino è morto in un incidente capitato alla barca con cui stava cercando di raggiungere l’Andalusia durante l’inseguimento da parte di una motovedetta della Guardia Civil spagnola che l’aveva intercettata. La notizia , riferita dalla stampa marocchina, è stata ripresa e rilanciata dal sito web Frontera Sur. Non ci sono molti particolari sulla vicenda. Il quotidiano online Nadorcity specifica che il ragazzo veniva da Nador (sua città natale) e che la famiglia ha saputo della sua fine nella giornata di venerdì 13, presumibilmente da alcuni dei compagni. Già da venerdì, secondo il giornale, i familiari della vittima hanno avviato le pratiche per riportare il corpo del ragazzo a Nador per la sepoltura.

(Fonti: Nadorcity, Frontera Sur)

Italia (Marettimo), 13 settembre 2019

Quattro migranti tunisini dispersi al largo di Marettimo, nelle Egadi. Erano con tre compagni su una piccola barca in legno salpata dalla Tunisia il giorno 11. Durante la navigazione, la notte tra l’undici e il dodici settembre, il motore è andato in avaria e il natante è rimasto in balia del mare, a 15 miglia da Marettimo. Dopo alcune ore di attesa, cinque dei sette hanno deciso di cercare di raggiungere l’isola a nuoto, aggrappati ad alcuni bidoni di plastica vuoti. E’ trascorsa l’intera giornata del 12 senza che nessuno si accorgesse né della barca in difficoltà, né dei cinque che avevano tentato la sorte, probabilmnete senza rendersi conto della distanza della costa. Solo la mattina di venerdì 13 il natante è stato avvistato. Una motovedetta della Capitaneria di Trapani ha recuperato i due che erano ancora a bordo e, avviate le ricerche degli altri cinque, ne ha trovato uno a 12 miglia dall’isola. Nessuna traccia dei quattro compagni.

(Fonte: Agenzia Ansa, Il Giornale di Sicilia, Repubblica)

Algeria (Orano), 16 settembre 2019

Tre morti e 5 dispersi nel naufragio di una barca carica di migranti salpata da una spiaggia di Orano. A bordo erano in 16, tutti “harraga” algerini decisi a raggiungere la costa spagnola di Murcia per poi proseguire presumibilmente verso la Francia. Non hanno fatto molta strada: il battello è andato a fondo poco dopo la partenza, ancora in vista della costa di Orano. I soccorritori hanno trovato in vita e tratto in salvo otto dei sedici naufraghi. Le ricerche successive, condotte dalla Marina algerina, hanno portato al recupero di tre salme. Nessuna traccia degli altri 5 migranti a bordo, che risultano dunque dispersi.

(Fonte: Rapporto Alarm Phone, mesi di settembre e ottobre)

Marocco (Nador), 16-17 settembre 2019

Il corpo senza vita di un migrante subsahariano è stato trascinato dalla corrente sulla costa di Nador durante la notte del 16 settembre ed è affiorato la mattina del 17 sulla battigia della spiaggia di Azzanan, nei pressi di Boufar. Sul posto sono intervenute una pattuglia della Gendarmeria Reale e una squadra della Mezzaluna Rossa, che ha trasferito la salma nell’obitorio dell’ospedale di Nador per gli accertamenti. Non risulta che siano stati trovati documenti o altri elemnmeti  utili all’identificazione: si sa solo che si tratta di un uomo giovane e che presumibilmente il suo cadavere è rimasto in acqua più giorni. Ignota la provenienza. La Gendarmeria ha aperto un’inchiesta, partendo da eventuali notizie sulle barche di migranti salpate negli ultimi tempi dal litorale intorno a Nador, che è da anni uno dei principali punti d’imbarco del Marocco settentrionale per le “fughe” verso l’Andalusia.

(Fonte: Frontera Sur, Nadorcity com)

Tunisia (al largo di Sfax), 17 settembre 2019

Sedici vittime (8 cadaveri recuperati e 8 persone disperse) nel naufragio di una piccola barca carica di migranti avvenuto al largo di Sfax, in Tunisia. A bordo erano in 25, tutti harragas, come vengono definiti i giovani tunisini decisi a lasciare il paese ad ogni costo: soltanto 9 si sono salvati. Il battello, un piccolo scafo in legno da pesca, era partito dalla costa nord orientale, puntando verso Lampedusa o la Sicilia. Non ha fatto molta strada: era ancora nelle acque territoriali tunisine, a circa 10 miglia dalla riva, all’altezza di El Aoubaed, quando ha cominciato a imbarcare acqua ed è affondato rapidamente. I primi soccorsi sono arrivati da alcuni pescatori, che hanno tratto in salvo 9 naufraghi e recuperato due cadaveri, anticipando l’intervento della Guardia Costiera. I superstiti hanno subito segnalato che erano partiti in 25 e che dunque mancavano 14 compagni. Le ricerche successive, condotte dalla Marina militare, hanno portato al ritrovamento di altri sei corpi senza vita.  Nessuna traccia degli altri 8 naufraghi.

(Fonte: Mediterraneo Cronaca, Associated Press, Reuters, Agenzia Ansa, sito web di Alarm Phone, Tg 1 Rai delle ore 13,30, Tg 3 Rai delle ore 14,15)

Algeria (Boumerdes), 17-18 settembre 2019

Tredici vittime (7 morti e 6 dispersi) in un naufragio al largo delle coste algerine. Soltanto 5 i supersiti. La barca, un piccolo battello in legno, era partita dal litorale di Boumerdes la sera del 17 settembre, puntando presumibilmente verso la Sardegna. La tragedia si è compiuta poche ore dopo, durante la notte, all’altezza di Cap Djanet, circa 60 chilometri a est di Algeri. I primi a dare l’allarme e a giungere sul posto sono stati gli equipaggi di alcuni pescherecci, che hanno individuato e tratto in salvo 5 giovani, trasferendoli poi all’ospedale di Dellys, la città portuale più vicina. Prima ancora dell’alba sono iniziate le ricerche degli altri naufraghi: 13, secondo quanto riferito dai compagni sopravvissuti. Nella tarda mattinata e verso mezzogiorno unità della Protezione Civile hanno recuperato sei salme. Nessuna traccia degli ultimi sette. “E’ l’ennesima tragedia del mare – hanno scritto i giornali algerini – di cui sono rimasti vittime gli harraga…”. Le salme sono state composte all’obitorio dell’ospedale di Dellys. Nei giorni successivi il mare ha restituito il corpo di uno dei dispersi. Cinque delle 13 vittime venivano dallo stesso villaggio, Ighomrassen, nel comune di Issers.

(Fonte: El Watan edizioni del 18 e del 22 settembre, 1001 Infoss, Caminando Fronteras Ong)

Tunisia (isola di Djerba), 18 settembre 2019

Quattro migranti dispersi nel naufragio di una barca affondata al largo dell’isola di Djerba, nell’Est della Tunisia. Il natante, un piccolo scafo in legno, puntava verso le coste siciliane. A bordo erano in dieci, tutti giovani tunisini. Dopo poche ore di navigazione, quando era ancora nelle acque territoriali, pare abbia avuto un’avaria che ne ha provocato l’affondamento. L’allarme è stato lanciato da alcuni pescatori. L’intervento di alcune unità della Marina militare – secondo quanto ha riferito il portavoce della Guardia Nazionale, Houssemedine Jebabli – ha portato al salvataggio di sei neufaghi. Nessuna traccia degli altri quattro, nonostante le ricerche si siano protratte fin oltre il tramonto.

(Fonte: Teller Report, sito web Alarm Phone, Breaking News, France Presse, Yahoo Finance)

Algeria (Orano), 18 settembre 2019

Tre migranti sono morti e 5 risultano dispersi in un naufragio di fronte alla spiaggia di Cap Falcon, poco più di 20 chilometri a ovest di Orano. Quel tratto di costa è uno dei principali punti di imbarco dall’Algeria verso la Spagna. E appunto verso la Spagna puntava presumibilmente il battello naufragato, un barchino in legno. A bordo erano in sedici. Non ci sono molti particolari sulle circostanze del naufragio. La stampa marocchina che ha riferito la notizia ha precisato solo che i soccorsi sono stati portati da unità della Protezione Civile algerina, arrivate in tempo a trarre in salvo 8 naufraghi. Poco dopo sono stati recuperati i corpi senza vita di altri tre, almeno uno dei quali è stato identificato come un giovane marocchino. Nessuna traccia degli altri cinque, di cui non si conosce neanche l’identità.

(Fonte: Nadorcity.com)  

Macedonia (Gradsko), 19 settembre 2019

Un profugo pakistano è stato travolto e ucciso da un treno nei pressi di Gradsko, nella zona centrale della Macedonia. Ne ha dato notizia la polizia macedone, che ha fornito anche le iniziali del nome della vittima, A.I. Come fanno molti migranti “irregolari” diretti verso l’Europa Centrale per non perdere l’orientamento, l’uomo, entrato in Macedonia dal confine con la Grecia, stava camminando con un gruppetto di compagni lungo la ferrovia che conduce verso nord-ovest, evidentemete con l’intenzione di passare in Serbia. L’incidente è avvenuto quando era ormai buio. Forse a causa dell’oscurità e della stanchezza, A.I. deve essersi accorto solo all’ultimo istante dell’arrivo di un treno. Anche il macchinista probabilmente ha visto troppo tardi il gruppo di persone sulla massicciata. Sta di fatto che A.I. non è riuscito a scansarsi in tempo ed è stato travolto in piena velocità dal convoglio.

(Fonte: Associated Press)  

Libia (Tripoli), 19/20 settembre 2019

Un migrante è stato ucciso da agenti della Guardia Costiera libica durante un tentativo di fuga a Tripoli. L’uomo – 28 anni, originario del Sudan – era con altri 102 migranti su un gommone intercettato da una motovedetta tra il 19 e il 20 ottobre. Ricondotto di forza a riva e sbarcato nella base militare di Abusetta, alla periferia di Tripoli, l’intero gruppo è stato avviato verso un centro di detenzione. E’ a questo punto che la vittima e diversi suoi compagni hanno tentato di scappare, per sottrarsi a una nuova, lunga prigionia. La reazione degli agenti è stata immediata: hanno aperto il fuoco e colpito diversi giovani. Il ventottenne sudanese è stato ferito allo stomaco e poco dopo è morto, senza che una equipe medica dell’Oim, presente sul posto per assistere i naufraghi, potesse fare nulla per salvarlo, nonostante l’intervento immediato. Gli stessi medici hanno segnalato l’uccisione del giovane alla sede centrale dell’Oim, che ha rilanciato un appello alla comunità internazionale perché intervenga concretamente in favore dei migranti intrappolati in Libia. “La morte di questo giovane sudanese – si legge nel documento diffuso alla stampa dai vertici dell’Oim – è un severo monito sulle gravi condizioni in cui si trovano i migranti raccolti dalla Guardia Costiersa libica: dopo aver pagato i trafficanti per essere portati in Europa, si ritrovano nei centri di detenzione”.

(Fonte: Agenzia Ansa, Associated Press, Rai News, Il Fatto Quotidiano, Repubblica)    

Turchia (Bodrum), 20 settembre 2019

Un bambino risulta disperso nel naufragio di una piccola barca carica di profughi al largo della Turchia. Il battello era partito dalla costa di Bodrum prima dell’alba, puntando verso l’isola greca di Kos, distante circa 7 miglia. A bordo erano in quindici. Non hanno fatto molta strada: verso le 7 del mattino, quando erano ancora nelle acque di competenza turca, la barca si è rovesciata, affondando rapidamente. Le operazioni di soccorso sono state condotte dalla Guardia Costiera partita dalla base di Bodrum. Le motovedette giunte sul posto hanno tratto in salvo 14 naufraghi. I supersiti hanno subito segnalato che mancava un bambino. Le ricerche si sono protratte per tutta la giornata e anche l’indomani, ma del bambino non si è trovata traccia. I naufraghi sono stati sbarcati a Bodrum.

(Fonte: Aegean Reporter, Alarm Phone)   

Turchia (provincia di Hatay), 23-24 settembre 2019

Sei profughi morti e oltre venti feriti in un incidente stradale avvenuto nel sud est della Turchia, nella provincia di Hatay, non lontano dal confine con la Siria. Le vittime e i loro compagni, intercettati nelle settimane scorse dopo essere entrati clandestinamente nel paese, si trovavano su un camion militare che li stava conducendo verso la frontiera per l’espulsione. Poco prima di arrivare al posto di polizia per completare le pratiche della deportazione, nel distretto di Reyhali, l’automezzo è uscito fuori strada, rovesciandosi in una scarpata. Quando sono arrivati i soccorsi, per sei dei profughi non c’era ormai più nulla da fare. Altri 25 sono rimasti feriti, alcuni in modo grave. Feriti anche due dei militari di scorta. Sulle cause dell’incidente è stata aperta un’inchiesta della magistratura.

(Fonte: Anadolu Agency, Hurriyet Daily News).

Marocco-Spagna (mare di Alboran), 23-24 settembre 2019

Un migrante marocchino, Aziz Boutkabout, poco più che ventenne, è annegato dopo che la moto d’acqua con la quale stava cercamdo di raggiungere l’Andalusia dal Marocco è rimasta bloccata a causa di un’avaria nel mare di Alboran.  E’ accaduto il 24 settembre ma la notizia si è saputa solo fra il 30 settembre e il primo ottobre, quando la famiglia – avvertita da due amici di Aziz, che si sono salvati – ha lanciato un appello alle autorità spagnole di Ceuta e a quelle marocchine di Nador perché facciano tutto il possibile per recuperare almeno il corpo. Aziz e i suoi due compagni, tutti provenienti dalla regione del Rif, si sono imbarcati su una moto d’acqua la notte tra il 23 e il 24 settembre. Dopo diverse miglia di navigazione, la moto si è bloccata ed è rimasta alla deriva per ore. Aziz, disperando che qualcuno potesse soccorrerli, ha deciso di tentare il tutto per tutto, cercando di raggiungere la riva a nuoto. Da quel momento nessuno lo ha più visto. A salvare i due rimasti sulla moto d’acqua in avaria è stato un mercantile francese, che li ha avvistati casualmente ed ha fatto intervenire il Salvamento Maritimo spagnolo. Da Motril, dove sono stati sbarcati, i due ragazzi si sono messi in contato con la famiglia di Aziz, spiegando cosa era successo. La famiglia ha atteso ancora qualche giorno e poi ha lanciato l’appello, rivolgendosi alla redazione del Faro de Ceuta : “Non abbiamo più speranza che nostro figlio sia ancora vivo: chiediamo solo di cercarne il corpo per poterlo seppellire nella sua terra”.

(Fonte: El Faro de Ceuta)  

Grecia (Lesbo), 24 settembre 2019

Un bambino afghano di appena cinque anni è stato travolto e ucciso da un camion a Lesbo, ai margini del campo profughi di Moria, dove la sua famiglia è alloggiata, dopo essere arrivata dalla Turchia, in attesa di poter proseguire la fuga ed essere accolta in uno dei paesi dell’Europa centrale. Stando a quanto è emerso dall’inchiesta condotta dalla polizia dell’isola, il bimbo era entrato per gioco in uno scatolone di cartone, accanto alla strada, nei pressi dell’accesso a un parcheggio. Il conducente del camion, che doveva consegnare della merce a un magazzino, entrando nell’area di sosta è passato sopra lo scatolone, senza immaginare che all’interno c’era il bambino, che è rimasto schiacciato ed è morto all’istante. Il governatore regionale delle Isole Egee, Kostas Moutzouris, ha definito la morte atroce del piccolo una tragedia che conferma come la situazione del campo di transito di Moria sia insostenibile da anni e occorra provvedere al più presto a trasferirne gli ospiti in strutture adeguate nel continente, in attesa che le loro richieste di asilo siano esaminate o che abbiano la possibilità di continuare il viaggio intrapreso nel momento in cui sono stati costretti a fuggire dal proprio paese.

(Fonte: Associated Press, Ekathimerini, The National Herald, siti web Hibai Arbaid Aza ed Helena Maleno)

Libia (Tripoli), 24-25 settembre 2019  

Il corpo senza vita di un giovane, identificato successivamente come un migrante tunisino, è affiorato in mare nel centro urbano di Tripoli, non lontano dalla zona  portuale. Sembra da escludere, visto il luogo in cui è stato trovato, che provenga da un naufragio al largo della Libia. Non si sa nulla sulle circostanze della morte, avvenuta comunque non molte ore prima del ritrovamento: stando allo stato di conservazione, la salma doveva essere in acqua da non più di una giornata. Non è da escludere che il giovane sia stato ucciso o comunque sia morto a terra e che poi qualcuno abbia gettato il suo corpo in acqua per cercare di nasconderlo o comunque ritardarne la scoperta. E’ stata disposta un’inchiesta. Il cadavere, vestito di jeans e un giubbotto verde, è stato composto all’obitorio in previsione dell’eventuale autopsia.

(Fonte: Libya Observer)

Algeria (Damous), 25 settembre 2019

Un morto e un disperso nel naufragio di una piccola barca al largo di Damous, provincia di Tipaza, nel nord dell’Algeria. A bordo erano in otto. Salpati da un punto imprecisato della costa di Damous, hanno percorso circa 22 miglia quando il battello ha avuto un’avaria ed è affondato. La richiesta di aiuto è stata raccolta dalla Guardia Costiera, che ha inviato sul posto una proprio guardacoste e una unità della Marina militare. I soccorritori hanno tratto in salvo sei naufraghi e recuperato un cadavere che flottava a breve distanza dal relitto. Nessuna traccia dell’ultimo naufrago, che risulta disperso. Senza esito le ricerche anche del giorno successivo. Nella stessa giornata del 25 settembre unità della Guardia Costiera e della Gendarmeria hanno intercettato e bloccato altre due barche di migranti, la prima al largo di Orano, l’altra di Mostaganem: a bordo c’erano complessivamente 61 persone.

(Fonte: Tsa quotidiano online)

Turchia-Grecia (isola di Oinousses, Chios), 27 settembre 2019

Sette profughi morti in un naufragio avvenuto la mattina di venerdì 27 settembre al largo della piccola isola di Oinousses, nell’Egeo, non lontano da Chios. I corpi delle prime due vittime (un neonato di pochi mesi e un bimbo di quattro anni) sono stati recuperati in mare poco dopo la tragedia; quelli degli altri cinque (tra cui altri tre bambini) li ha individuati nelle ore successive una squadra di sub. Dodici i superstiti. Il piccolo gruppo era partito all’alba dalle coste della Turchia, su una barca in vetroresina con motore fuoribordo, puntando verso Chios. Nessuno almeno inizialmente si è accorto del naufragio. L’allarme è stato lanciato verso le undici dall’equipaggio di un ferry di linea, il Nissos Rhodos, che ha avvistato casualmente il relitto e si è subito mobilitato per i soccorsi, modificando la propria rotta. Alle ricerche si sono poi aggiunte unità della Marina greca e di Frontex. Le prime lance di salvataggio hanno tratto in salvo 12 naufraghi e recuperato i corpi dei due bambini. I superstiti hanno subito segnalato che mancavano dei compagni, trascinati lontano dalla corrente. Inizialmente si pensava 4 perché, a causa di uan comunicazione errata, risultava che a bordo fossero saliti in 18, ma si è poi appurato che i profughi che stavano cercando di arrivare in Grecia, tutti di nazionalità turca, erano in realtà 19.

(Fonte: Associated Press, Ana Mpa, Ekathimerini, Agenzia Ansa) 

Algeria (Tenes), 27 settembre 2019

Un giovane “harraga” è annegato nel naufragio di una piccola barca tra l’Algeria e la Spagna. Il battello, partito dalla zona di Tenes, provincia di Chlef, puntava verso il litorale della Murcia. A bordo, stando a quanto ha appurato la gendarmeria, erano saliti in sei, tutti migranti algerini decisi a raggiungere la Francia o la Germania come la vittima. Il naufragio – ha riferito la centrale operativa della Guardia Costiera di Cherchell, che ha coordinato i soccorsi – è avvenuto oltre 37 miglia a nord di Tenes. La motovedetta giunta sul posto ha trovato cinque naufraghi aggrappati al relitto. Inizialmente non è stata trovata traccia del loro compagno: il suo corpo senza vita è stato recuperato il giorno dopo, 28 settembre. Sempre il giorno 28 la Guardia Costiera e la Gendarmeria Nazionale hanno intercettato in mare tre barche (rispettivamente al largo di Orano, di Mostaganem e di Chlef) con in tutto 116 migranti

(Fonte: Tsa quotidiano online)

Spagna (Melilla), 28 settembre 2019

Un giovane atleta yemenita, Hilal Ali Mohammed, 24 anni, campione di arti marziali, è annegato al largo di Melilla mentre tentava di raggiungere la Spagna. Era partito insieme a un compagno su una piccola barca, contando di raggiungere le coste dell’Andalusia. I due amici si sono avventurati nonostante il mare in burrasca per una tempesta di levante. Avevano da poco superato l’antemurale del porto quando il battellino è naufragato. Mentre il suo compagno è riuscito a mettersi in salvo nuotando fino a riva, Hilal non ce l’ha fatta a raggiungere la costa. Hilal era molto noto nel mondo dello sport mediorientale: ha partecipato, tra l’altro, ai Giochi Asiatici del 2018 nella nazionale yemenita, vincendo la medaglia di bronzo e l’anno prima aveva gareggiato ai Giochi Islamici di Solidarietà. A riferire la notizia è stato il quotidiano online Nadorcity.com il giorno 28, ma l’annegamneto risale alla mattina del 16 e il corpo è stato ritrovato sul fondo, incastrato in una scogliera, solo il 19, dopo tre giorni di ricerche condotte da squadre di sub della Guardia Civil. Il corpo, trasferito inizialmente all’obitorio dell’ospedale di Melilla, è stato riportato nello Yemen per l’inumazione grazie a una sottoscrizione promossa dalla Solidarietà Islamica.

(Fonte: Nadorcity.com, El Watan, Melilla Hoy)

Algeria (Krichtel, Oramno), 28 settembre 2019

Un “harraga” di appena dieci anni è annegato al largo delle coste algerine. La barca su cui viagggiava era salpata dalla zona di Orano. A bordo erano in 21, incluso quel bambino. Il naufragio è avvvenuto a diverse miglia dalla costa, grossomodo di fronte a Krichtell, una città situata una ventina di chilometri a est di Orano. Non sono chiare le circostanze della tragedia, ma è presumibile che il battello si sia rovesciato a causa del mare mosso. La prima a giungere sul posto per i soccorsi è stata una motovedetta della Guardia Costiera di Orano. L’equipaggio ha tratto in salvo 20 naufraghi, ma per il piccolo era ormai troppo tardi: il suo corpo senza vita è stato trasferito all’obitorio dell’ospedale pediatrico Canastel di Orano. Tra i superstiti ci sono diverse donne e altri sei bambini, di età compresa tra i due e gli undici anni, ricoverati tutti all’ospedale pediatrico in stato di semincoscienza per un forte stato di ipotermia.

(Fonte: Observalgerie)

Marocco (Mohamedia), 28 settembre 2019 

Diciotto migranti morti e oltre 30 dispersi (quasi certamente 35) nel naufragio di un grosso gommone, uno Zodiac d’altura, in Atlantico, al largo di Mohamedia, una città portuale situata circa 20 chilometri a nord di Casablanca, nella regione di Ain Harrouda. L’allarme è scattato solo quando sette cadaveri (sei uomini e una donna) sono stati trascinati dal mare su un vasto arco di spiaggia. Non distante si era arenato poco prima anche il relitto del gommone, nei pressi del quale, stesi sulla battigia, privi di conoscenza, c’erano gli unici tre superstiti, in gravi condizioni, tanto da dover essere immediatamente trasferiti all’ospedale di Mohamedia. Alcuni giorni dopo, fra il 30 settembre e il 3 ottobre, il mare ha restituito altre 8 salme. Il battello, come si è appurato alcuni giorni dopo, era partito verso le due del mattino dalla spiaggia di Zenata, a sud di Mohammedia, diretto verso le Canarie. A bordo, secondo il ministero dell’interno, erano una trentina di giovani, tutti marocchini, ma secondo le informazioni raccolte da alcune Ong che operano in Marocco erano in realtà almeno 60. L’Associazione Puente Solidarios di Tangeri, in particolare, dopo il ritrovamento dei primi 7 cadaveri, ha parlato di 46 dispersi, oltre alle 7 vittime e ai tre ricoverati. Le stesse Ong hanno appurato che quei giovani venivano dalla regione di Marrakerch: quasi tutti da due città, El Kelan des Sraghna e Ben Melarlle. Anche le dimensioni del gommone confermano che a bordo dovevano essere almeno una sessantina: lungo 7 metri, è impensabile che sia salpato con appena 30 persone. La tragedia si è consumata nella notte: forse il pilota ha perso la rotta o forse c’è stata la necessità di accostare, senza essere a conoscenza che quel tratto di mare è estremamente pericoloso per la presenza di scogliere e rocce sommerse. Una delle camere stagne dello Zodiac risulta lacerata e c’è da pensare, dunque, che sia finito contro uno scoglio, affondando rapidamente. “Nuotare in quella zona è difficile e molto rischioso anche per persone esperte, come i pescatori. Per quei ragazzi, una volta caduti in acqua, non c’è stato scampo”, hanno riferito alcuni abitanti del posto. La polizia sta cercando di individuare l’organizzazione che si è occupata della “spedizione”. Le Ong rilevano che la stretta vigilanza della gendarmeria sulle spiagge costringe i migranti a imbarcarsi da località sempre più lontane, aumentando i rischi di una traversata già di per sé molto difficile.

(Fonte: El Diario, siti web Caminando Fronteras ed Helena Maleno, Associated Press, Huffpost Maroc, Agenzia Ansa)

Grecia (Lesbo), 29 settembre 2019

Una donna e la sua bambina sono morte nel centro di transito per profughi di Moria, a Lesbo, nell’incendio di un container adibito ad alloggio per famiglie. Una quindicina i feriti, curati nella clinica pediatrica allestita fuori dal centro di accoglienza da una equipe internazionale di Medici Senza Frontiere. Non è chiaro se il fuoco sia divampato accidentalmente o si sia propagato da un rogo appiccato per protesta da altri ospiti del campo. Sta di fatto che le fiamme si sono estese rapidamente al container-alloggio anche perché il sovraffollamento e le pessime condizioni della struttuta hanno impedito interventi tempestivi per fronteggiare l’emergenza e per i soccorsi. “Nessuno può dire – è l’accusa di Msf – che questo è un incidente. E’ invece la diretta conseguenza di aver intrappolato 13 mila persone in uno spazio che ne può ospitare al massimo 3 mila” Dopo l’incendio è esplosa la protesta dei migranti alloggiati nel centro accoglienza, sfociata in duri scontri con la polizia, per chiedere di essere trasferiti al più presto nel continente e poter proseguire poi verso uno degli Stati Ue disposto ad accoglierli. Alcuni hanno appiccato nuovi incendi, fuori e dentro le strutture di Moria.

(Fonte: Repubblica, Ekathimerini)

Marocco (Tangeri), 1 ottobre 2019

Il cadavere di un giovane guineano è stato trovato nello scomparto del carrello di un aereo della Royal Air Maroc arrivato poco prima a Casablanca da Conakry. La scoperta è stata fatta durante le operazioni di controllo e manutenzione del velivolo da parte del personale di terra dell’aeroporto, che ha avvertito le guardie di frontiera e la gendarmeria. Secondo le indagini della polizia, deve trattarsi di un migrante che ha tentato di raggiungere il Marocco nascondendosi nell’alloggiamento delle ruote quando l’aereo era in fase di preparazione per il volo. “Non ha calcolato i rischi che dalla partenza all’atterraggio il volo dura circa tre ore: tre ore con temperature sotto lo zero e ossigeno molto scarso. Sono quasi certamente questi i fattori che hanno provocato la morte di questo ragazzo”, ha riferito uno degli inquirenti al quotidiano Nadorcity.com. Il corpo è stato messo a disposizione della magistratura per le indagini, prima di essere eventualmente rimpatriato in Guinea.

(Fonte: Nadorcity.com, Huffpos Maroc)

Spagna (Malaga), 2-3 ottobre 2019

Un giovane migrante maghrebino, trovato gravemente ferito su una delle spiagge di Malaga, è morto tra il 2 e il 3 ottobre in ospedale. A scoprire il corpo esanime del giovane, la mattina dell’undici settembre, è stata una pattuglia della polizia, accorsa sul posto dopo essere stata avvertita da alcuni abitanti di un violento litigio avvenuto durante la notte tra due persone sconosciute. Era nascosto in un avvallamento tra le dune di Playa Manilva, dove appariva evidente che era stato trascinato da qualcuno. Le successive indagini hanno appurato che, poche ore prima, nella zona era approdata una barca semirigida con a bordo un numero imprecisato di persone, sicuramnete migranti provenienti dal Marocco. Sembra certo che il ragazzo facesse parte del gruppo e che fosse già ferito e probabilmente privo diconoscenza al momento dello sbarco. Deve essere stato qualcuno dei compagni, dunque, a trasportarlo e ad abbandonarlo nell’anfratto in cui è stato scoperto. Non è da escludere, anzi, che la lite segnalata alla polizia sia scoppiata, tra qualcuno degli altri migranti sbarcati, proprio a causa della decisione di abbandonarlo. L’inchiesta mira ora a rintracciare almeno parte  dei compagni della vittima e a scoprire cosa sia accaduto sulla barca durante la traversata. A causa delle gravi condizioni in cui versava, non è stato possibile interrogare la vittima neanche dopo il ricovero all’ospedale universitario.

(Fonte: Europapress Andalucia)

Marocco-Spagna (Mare di Alboran), 3-4 ottobre 2019

Un bimbo di meno di sei anni è morto per ipotermia poco dopo essere stato recuperato su un gommone carico di migranti subsahariani la sera del 3 ottobre. Il battello era partito dalla costa di Pensaman, nei pressi di Alhucemas, in Marocco, all’alba dello stesso giorno 3, con a bordo 66 persone, tra cui il piccolo e sua madre. Rimasto alla deriva per ore, l’allarme è scattato quando è stato avvistato da un ferry di linea, il Golden Bridge, circa 45 miglia a sud-est di Motril. I primi soccorsi sono arrivati intorno alle 17,30 dall’equipaggio di una motovedetta della flotta di Frontex. Le condizioni del bimbo sono apparse subito critiche: stato di semi incoscienza, polso molto flebile, temperatura al di sotto dei 36 gradi. Da qui la richiesta di un soccorso medico immediato, con il trasferimento in un ospedale sia del bambino che di sua madre, con l’elicottero Helimer 205, del Salvamento Maritimo, di stanza a Motril. Purtroppo era già tardi: il bambino è spirato durante il volo e al pronto soccorso dell’ospedale di Motril non hanno potuto che constatarne la morte avvenuta poco prima. I naufraghi recuperati dalla motovedetta sono stati trasferiti durante la notte sulla guardamar Concepcion Arenal, che è arrivata a Motril verso le 6,30 del giorno 4 ottobre.

(Fonte: Europa Press Andalucia)

Niger (Arlit, Sahara), 4 ottobre 2019

Almeno 4 migranti (5 secondo alcune fonti), espulsi poche ore prima dall’Algeria, sono morti su un vecchio bus finito fuori strada in pieno Sahara, in Niger. Numerosi altri sono rimasti feriti, alcuni in modo grave. Quasi tutti, a bordo, erano giovani (per lo più nigerini) costretti al rimpatrio forzato dalla polizia di Algeri. L’incidente è avvenuto lungo la strada che dalla frontiera algerina conduce verso Arlit, una città mineraria nella regione di Agadez, famosa per i giacimenti di uranio sfruttati da compagnie francesi e primo grosso centro abitato a sud del confine. Il pullman appartiene alla compagnia di trasporti Rimbo: secondo quanto riferisce il cronista di Arlit Info (il primo giornale a dare la notizia), avrebbe sbandato a causa della forte velocità e del fondo stradale sconnesso, rovesciandosi poi su un lato, al margine della carreggiata. Per le persone ammassate nell’abitacolo non c’è stato scampo: sempre secondo Arlit Info, i soccorritori hanno estratto dai rottami da quattro a cinque corpi senza vita e decine di feriti. I più gravi sono stati trasferiti al centro medico di Arlit. Nell’obitorio dello stesso ospedale sono state successivamente composte le salme.

(Fonte: Arlit Info, Alarm Phone Sahara)

Marocco (Nador), 4-5 ottobre 2019

Il cadavere di una donna di origine subsahariana è stato trovato casualmente da alcuni passanti alla periferia di Azanan, una località della provincia di Nador. Dopo il sopralluogo della polizia, la salma è stata recuperata da una squadra della Mezzaluna Rossa e trasferita all’obitorio dell’ospedale Hassani di Nador, per essere sottoposta ad autopsia, nel contesto delle indagini aperte dalla magistratura locale. La vittima non è stata identificata: l’ipotesi più accreditata è che si tratti di una dei tanti migranti che vivono in tendopoli e ripari di fortuna, in attesa di trovare il modo di imbarcarsi per l’Europa. Secondo i primi esami medici, la donna sarebbe morta di stenti e sfinimento proprio a causa delle difficili condizioni di vita in cui è venuta a trovarsi megli ultimi mesi.

(Fonte: Nadorcity.com) 

Bosnia (Velika-Bihac), 5 ottobre 2019

Un migrante tunisino di 31 anni, Alì, è morto di cancrena in Bosnia, dopo quasi nove mesi di agonia. Deciso a raggiungere la moglie e il figlio in Germania, ha rinunciato alla via del Mediterraneo centrale per tentare quella balcanica partendo dalla Turchia. E’ riuscito ad arrivare sino in Bosnia e da qui, verso la fine del mese di gennaio 2019, è entrato in Croazia. Una volta superato il confine, non ha fatto molta strada: una pattuglia di polizia lo ha bloccato e accompagnato sotto scorta alla frontiera, abbandonandolo poi al suo destino. Rimasto da solo, in una zona isolata, con scarpe leggere che lo hanno costretto a muoversi praticamente a piedi nudi, ha dovuto camminare a lungo nella neve e al freddo. Quando ha raggiunto un posto abitato per chiedere aiuto era stremato e presentava evidenti sintomi di un grave congelamento a entrambi i piedi. Nonostante le cure mediche e l’assistenza di alcuni volontari, le sue condizioni sono via via peggiorate. Gli ultimi mesi li ha trascorsi tra Velika e Bihac. E’ morto il 5 ottobre. La sua storia è stata resa nota da alcuni dei volontari che hanno cercato di aiutarlo dopo che è stato espulso in Bosnia dalla polizia croata.

(Fonti: siti web di Eleonora Camilli, Niccolò Zancan e Francesca Moriero) 

Tunisia-Italia (Lampedusa), 6-7 ottobre 2019

Oltre 30 vittime (verosimilmente almeno 31 o 32, di cui 13 morti e non meno di una ventina di dispersi) nel naufragio di una barca carica di migranti al largo di Lampedusa. A bordo erano quasi tutti subsahariani e tunisini. Tra loro molte donne e bambini. Il battello, uno scafo in legno, era salpato dal nord della Tunisia nel tardo pomeriggio di domenica 6 ottobre. Ha navigato per ore, quasi tutta la notte, in un mare sempre più mosso. Era a poco più di 8 miglia da lampedusa quando da bordo hanno lanciato n Sos, chiedendo aiuto alla Guardia Costiera italiana. Il guardacoste partito da Lampedusa ha avvistato la barca ormai in evidente difficoltà dopo meno di un’ora. La tragedia si è verificata proprio durate la fase iniziale del salvataggio. Quando l’unità italiana si è avvicinata, prima ancora che potesse accostare, quasi tutti i migranti stipati sulla barca si sono spostati insieme sul lato da cui stavano arrivando i soccorsi, sbilanciando l’assetto di galleggiamento. Già a rischio per il mare grosso, con onde molto alte, la barca si è così rovesciata di colpo, scaraventando tutti in acqua. Nessuno dei migranti indossava un giubbotto di salvataggio. Anche questo ha contribuito alla strage. I guardacoste hanno tratto in salvo 22 naufraghi e recuperato due corpi senza vita, mentre sul posto sopraggiungevano da Lampedusa altre unità militari che si sono unite all’operazione di salvataggio. I suoperstiti hanno subito avvertito che erano partiti in più di 50 e che c’erano dunque ancora in mare numerosi compagni. Nelle ore successive e l’indomani sono stati recuperati altri 11 corpi, tutti di donne, come i primi due. Da martedì 8 ottobre le condizioni meteo  proibitive hanno costretto a interrompere le ricerche. Si calcola che i dispersi siano una ventina e che le vittime siano dunque almeno una trentina. Tra i dispersi c’è un bimbo di appena otto mesi. Anche il pilota della barca, un tunisino, risulta annegato. Sulla sciagura è stata aperta un’inchiesta dalla Procura di Agrigento.

15 ottobre. Individuato il relitto con 12 corpi. Poco più di una settimana dopo il naufragio, i sommozzatori della Guardia Costiera di Lampedusa hanno localizzato a circa 60 metri di profondità il relitto del barchino affondato: attorno, ripresi da un robot sottomarino, sono stati individuati i corpi di 12 dei 17 dispersi. Nei giorni successivi la stessa Guardia Costiera ha provveduto al recupero delle salme.

(Fonti: Repubblica, Ansa, Huffpost, The Times of Malta, Il Giornale di Sicilia)

Algeria (Mostaganem), 7 ottobre 2019

Aymen Balkassero, un ragazzino algerino di appena 11 anni, è annegato mentre tentava di raggiungere la costa spagnola. Era partito il 24 settembre da Mostaganem, una città de nord est dell’Algeria, insieme a sei adulti, tra i quali un parente del padre, con il quale avrebbe dovuto proseguire il viaggio fino in Germania. Il battello, arrivato a circa 20 miglia da Cartagena, pare abbia avuto un guasto al motore e, rimasto in balia del mare molto mosso, si è rovesciato, scaraventando tutti in acqua. Gli adulti sono riusciti ad afferrarsi al relitto o ad alcune taniche vuote. Il ragazzino, che non sapeva nuotare e non aveva giubbotto di salvataggio, è scomparso in pochi istanti. I naufraghi sono stati successivamente individuati e soccorsi da unità del Salvamento Meritimo spagnolo: quattro sono stati sbarcati a Cartagena e due, in forte stato di ipotermia, trasferiti in elicottero all’ospedale di Valencia. Nessuna traccia di Aymen. La sua storia è venuta alla luce il 7 ottobre, quando è stata raccontata al Faro de Ceuta da due zii i quali, attraverso la redazione del quotidiano, hanno lanciato un appello a nome dei genitori perché le autorità spagnole e algerine li aiutino a ritrovare almeno il corpo del loro ragazzo. Nel frattempo a Cartagena la magistratura spagnola, che subito dopo il recupero dei naufraghi aveva aperto un’inchiesta, ha imputato ai superstiti la scomparsa dell’undicenne per averlo fatto salire a bordo di una barca insicura, senza dotarlo almeno di un salvagente, visto che non sapeva nuotare, e senza tener conto neanche delle difficili condizioni del mare. L’inchiesta sta cercando anche di appurare se ci sia stata una barca-madre con cui potrebbe essere stata coperta gran parte della rotta. Gli imputati, affidati alla polizia in stato di libertà vigilata, sono stati trasferiti al centro di internamento per stranieri di Sangonera (Murcia).

(Fonte: El Faro de Ceuta e La Verdad edizione Murcia)  

Grecia (Areti, Macedonia), 9 ottobre 2019

Tre morti su un pulmino carico di migranti finito fuori strada dopo uno scontro in Macedonia, nel nord est della Grecia. Il minibus proveniva dal confine dell’Evros, la principale porta d’accesso via terra in Grecia dalla Turchia. A bordo c’erano almeno undici persone, oltre all’autista, considerato dalla polizia “affiliato” a un clan di trafficanti che dalla frontiera con la provincia turca di Edirne organizza “trasporti” clandestini di esseri umani lungo la rotta balcanica. Procedeva a forte velocità lungo una strada secondaria, non lontano dalla via Egnatia, diretto verso ovest. Nei pressi del villaggio di Areti, circa 40 chilometrio a nord est di Salonicco, si è scontrato con un’altra auto ed è volato fuori strada, rovesciandosi in un profondo dirupo. Tre dei passeggeri sono morti sul colpo. Dodici in tutto i feriti (inclusi gli occupanti dell’altra macchina), alcuni dei quali in modo grave. Non è stata resa nota la nazionalità dei migranti, ma la rotta dell’Evros è percorsa in prevalenza da siriani, afghani, iracheni, pachistani.

(Fonti: N. World, Ekathimerini, The Washington Post)

Turchia-Grecia (Ayvalik-Lesbo), 14 ottobre 2019

Due vittime, due bambini (uno morto e l’altro disperso), nel naufragio di un gommone carico di migranti afghani e siriani nell’Egeo settentrionale. Il battello era partito verso l’alba dalla costa del distretto di Balikesir, nella provincia di Ayvalik, puntando presumibilmente verso la vicina isola greca di Lesbo. A bordo erano stipati in 35. La sciagura è avvenuta a metà mattinata, poche miglia da Balikesir, nelle acque territoriali turche. Se ne ignorano le cause: forse un cedimento dello scafo o forse lo stesso sovraccarico, che può aver alterato l’assetto di galleggiamento. Sta di fatto che il canotto è naufragato in pochi minuti. I soccorsi sono arrivati dalla vicina Balikesir. Intorno o aggrappati al relitto i guardacoste turchi hanno recuperato 33 naufraghi e trovato il corpo senza vita di un bambino. I supersiti hanno subito avvertito che mancava un altro bimbo. Le ricerche si sono protratte senza esito sino al tramonto. I 33 naufraghi sono stati sbarcati a Balikesir.

(Fonti: Anadolu Agency, Hurriyet Daily News)

Marocco-Spagna (Tetouan-Ceuta), 16-18 ottobre 2019

Dispersi tre giovani migranti marocchini che hanno preso il largo su un kayak pneumatico nel tentativo di raggiungere la Penisola Iberica. Partiti la mattina di mercoledì 16 ottobre da una spiaggia di Tetouan, la loro città, nei pressi dell’enclave spagnola di Ceuta, l’allarme è scattato alcune ore più tardi, intorno alle 19, su segnalazione dei familiari che avevano perso ogni contatto con loro. Le ricerche sono state condotte la sera stessa da unità sia spagnole che marocchine fino a notte inoltrata, senza esito, nel tratto di mare al largo di Tetouan e di Ceuta. Interrotte fino all’alba, le operazioni sono riprese alle prime luci di giovedì 17 su un raggio più vasto, con l’intervento, per la Spagna, della salvamar Atria, di un aereo da ricognizione del Salvamento Maritimo, il Sasemar 305 e di un elicottero della Guardia Civil. Il forte vento di levante ha indotto a pensare che il natante potesse essere stato spinto molto fuori, forse fino al Mare di Alboran, ma non ne è stata trovata traccia. La centrale operativa del Salvamento Maritimo ha diramato segnalazioni di allerta e ricerca a tutte le navi in transito nella zona ma anche questo tentativo è andato a vuoto. Il giorno 18 il campo delle ricerche, condotte sempre sia da motovedette che con l’impiego di un aereo da ricognizione, è stato esteso sino alla costa a sud est di Malaga, ma sempre senza esito.

(Fonte: El Faro de Ceuta, Europa Press Andalucia, Nadorcity.com)

 Spagna (Ceuta), 18 ottobre 2019

Il corpo senza vita di Moad, un migrante marocchinotrentunenne originario di Tetouan, è stato trascinato dal mare sulla battigia di Playa del Chorillo, a Ceuta. Dopo essere stato in Germania tra il 2014 e il 2015, Tetouan aveva cercato già altre volte di raggiungere la Spagna ma, intercettato dalla polizia, era stato sempre rimpatriato. Il nuovo tentativo gli è costato la vita. A scoprire il cadavere sono stati alcuni passanti che camminavano lungo l’arenile. Indossava un paio di pantaloni corti e una maglia leggera. Nelle tasche non sono stati trovati documenti o altri elementi utili per l’identificazione. La polizia, tuttavia, si è subito convinta che doveva trattarsi di un migrante. La conferma è venuta dal confronto di alcune foto e dalle impronte digitali, che corrispondevano a quelle rilevate a Moad quando era stato fermato in Spagna in altre occasioni, anche se di volta in volta aveva dato generalità diverse nella speranza di evitare l’espulsione. Il giorno 19, poi, c’è stato ilriconoscimento ufficiale da parte dei familiari, arrivati da Tetouan. Deve essere annegato mentre ancora una volta tentava di raggiungere il territorio spagnolo, non si sa se la stessa Ceuta o la Penisola Iberica. La Guardia Civil è stata incaricata dalla polizia nazionale di indagare su eventuali barche di migranti partite da questo tratto di costa o comunque su episodi riconducibili a tentativi clandestini di arrivare in Spagna. Si ritiene che sia partito dalla vicina costa marocchina di Tetouan, perché nei giorni precedenti il ritrovamento della salma non risultano battelli salpati dalla zona di Ceuta. In ogni caso, l’episodio a cui è legata la morte dell’uomo, a giudicare dalle condizioni del cadavere, deve risalire al massimo a un giorno prima.

(Fonte: El Faro de Ceuta)

Grecia (Kos), 22-23 ottobre 2019

Un bambino di tre anni è morto e un ragazzo di 26 risulta disperso dopo che un battello carico di migranti partito dalla Turchia è stato speronato da un guardacoste della Marina greca. Feriti altri sei naufraghi: dopo lo sbarco sono stati ricoverati nell’ospedale dell’isola. La barca era partita dalla vicina costa turca di Bodrum, distante meno di 7 miglia. A bordo erano stipati in 34, tra cui alcuni bambini. Navigando a vista, in piena notte, era già arrivata in prossimità di Kos quando è stata intercettata da un guardacoste. Le circostanze dell’incidente non sono chiare. Il portavoce della Marina greca ha parlato di “collisione fortuita” nell’oscurità, dovuta anche al fatto che il battello dei migranti non aveva luci di posizione. Non è tuttavia da escludere che lo speronamento possa essere stato causato da un errore di manovra: un accostamento troppo brusco o magari un tentativo di dissuasione per indurre i migranti a invertire la rotta. Sta di fatto che l’urto ha rovesciato e affondato la barca, scaraventando tutti in mare. L’equipaggio del guardacoste, coadiuvato da altre motovedette fatte affluire sul posto, ha recuperato in mare e tratto in salvo 31 naufraghi. A quel punto risultavano tre dispersi: il bambino e due giovani, rispettivamente di 26 e 28 anni. Alle prime luci dell’alba è stato avvistato il corpo senza vita del bimbo. Più tardi, piuttosto lontano dal punto del naufragio e più vicino alla costa orientale di Kos, è stato trovato il ragazzo ventottenne. Le ricerche sono continuate per tutto il giorno, con l’intervento anche di un elicottero, ma dell’altro ragazzo non si è trovata traccia.

(Fonti: The National Herald, Ekathimerini, edizioni delle 8 e delle 12; Ana Mpa)

Regno Unito (Essex, Londra), 22-23 ottobre 2019

I corpi senza vita di 39 migranti (8 donne e 31 uomini, tra cui un adolescente) sono stati trovati nel retro, chiuso dall’esterno, di un Tir frigorifero lasciato in sosta nel parcheggio della zona industriale di Waterglade, a Grays, nell’Essex, circondario nord orientale di Londra. Si è pensato inizialmente, sulla base di alcuni passaporti trovati indosso alle salme, che fossero cinesi. Si è poi scoperto che sono in realtà tutti vietnamiti. Quei passaporti sono evidentemente falsi: le vittime vengono quasi tutte dalla regionedi Ha Tinh, nella zona centrale del Vietnam e, proprio sulla base di quei passaporti, evidentemente falsi e forniti dai trafficanti, si è ipotizzato che dovrebbero essere arrivate in Europa passando dalla Cina e poi dalla Russia. Un viaggio lunghissimo che porta alla luce un’altra via di fuga, in precedenza sconosciuta.

La scoperta. L’allarme è scattato nella notte tra martedì 22 e mercoledì 23 ottobre quando, aperto il piano di carico del Tir, sono stati visti i corpi. All’interno del frigo la temperatura può scendere fino a meno 25 gradi: i 39 migranti potrebbero essere morti assiderati durante il viaggio o soffocati dalla mancanza di ossigeno in quello spazio ristretto. La polizia è stata avvertita dall’equipaggio di una delle ambulanze, subito chiamate sul posto nella speranza che qualcuna delle persone stese sul pianale fosse ancora viva. L’autista del Tir, Mo Robinson, un venticinquenne originario di Portadown, nell’Irlanda del Nord, è stato rintracciato ed arrestato la notte stessa: è imputato di complicità in omicidio plurimo. Nei giorni successivi ci sono sttai altri 4 arresti: due presunti basisti del traffico di esseri umani e due complici. Inizialmente gli inquirenti hanno comunicato che con ogni probabilità l’automezzo, per eludere i porti molto sorvegliati di Calais e Dover, era stato imbarcato su un ferry nel porto francese di Cherbourg per raggiungere l’Irlanda e poi, attraversata tutta l’isola, era arrivato, con un altro ferry, al porto inglese di Holyhead, nel Galles, puntando infine su Londra. Si è poi accertato, invece, che Mo Robinson è arrivato con il suo Tir a Holyhead dall’Irlanda la notte di sabato 19, ha attraversato l’Inghilterra e si è poi imbarcato per attraversare la Manica. Al ritorno ha lasciato il continente europeo, la sera del 22 ottobre, dal porto belga di Zeebrugge, a nord di Bruges, sbarcando a Purfleet, nel Thurrock, uno degli scali marittimi commerciali dell’hinterland londinese. Il ferry è arrivato mezz’ora dopo la mezzanotte, mentre il Tir sarebbe uscito dall’area portuale 35 minuti più tardi,  all’una e 5 del mattino. Dall’esame dei documenti è emerso che la motrice del mezzo risulta nord-irlandese mentre il rimorchio-frigo è registrato in Bulgaria, nella città portuale di Varna, ma intestato a una società di trasporti che ha sede in Irlanda del Nord. Per questo si è ipotizzato che possa essere arrivato dall’Est europeo attraverso la rotta balcanica.  Visti i tempi, tuttavia, ammesso che il Tir sia davvero partito dalla Bulgaria o comunque dall’Europa orientale, non è stato Mo Robinson a condurlo sino al porto belga: lui dovrebbe aver cambiato in Belgio il rimorchio frigo del Tir, agganciandone alla motrice un altro, portato (non si sa da dove) fino a Zeebrugge da un altro autista, con all’interno i 39 migranti, destinati probabilmente al lavoro nero. Il giovane nord irlandese arrestato, insomma, avrebbe guidato il Tir soltanto dal porto belga fino al parcheggio nell’Essex dove è stato trovato. Il ministro degli esteri di Pechino ha confermato il 24 ottobre che almeno parte delle vittime sarebbero cinesi, forse di etnia uiguri della regione occidentale dello Xinjiang, il popolo turcofono e di religione islamica duramente perseguitato dal regime e che conta da anni una numerosa diaspora in Turchia. Nei giorni successivi è emerso che tra i morti dovrebbero esserci anche numerosi vietnamiti, tra i quali una ragazza che ha inviato un estremo, drammatico messagio di addio con il cellulare ai genitori.

Le indagini sull traffico. Se questo è il “quadro”, appare evidente che dietro il “trasporto” conclusosi con una strage a Grays, nell’Essex, c’è una organizzazione di trafficanti ben rodata, ramificata e dotata di grossi mezzi. Alcune settimane prima di questa tragedia, 9 migranti sono stati scoperti dalla polizia nascosti nel piano di carico di un Tir frigo nel Kent: un precedente che conferma gli inquirenti nella convinzione che ci siano una o più organizzazioni che utilizzano questo sistema  per il traffico di esseri umani dal continente all’Inghilterra. Si tratta di un giro di denaro enorme: il padre della ragazza del messaggio ha raccontato alla Cnn che la figlia avrebbe pagato 34 mila euro per raggiungere l’Inghilterra dal Vietnam, passando dalla Cina e avendo come ultima tappa in Europa la Francia. Forse, in Francia, la zona di Dunkerque, che dista meno di un’ora di auto da Zeebrugge e che, in seguito ai rigorosi controlli disposti a Calais, è diventata uno dei maggiori punti di concentramento dei migranti che tentano di raggiungere il Regno Unito. Agli arresti effettuati in Ingilterra e nell’Ulster, il primo novembre se ne sono aggiunti altri due in Vietnam, nella pronvincia di Ha tinh: due uomini coinvolti nell’organizzazione del “viaggio” di almeno parte delle 39 vittime.

(Fonti: The Guardian edizioni del 23 e 24 ottobre, The Times, El Diario, Abc, Al Jazeera, Le Monde, Avvenire, Repubblica, Agenzia Ansa, La Stampa, Huffpost Maroc, Telegiornale la 7, Il Fatto Quotidiano, Times of Malta)

Marocco (Nador), 26 ottobre 2019

Si era nascosto sotto un Tir dei servizi di trasporto internazionali per cercare di superare clandestinamente la frontiera ma è caduto ed è morto sotto le ruote del rimorchio, alla periferia di Nador, in Marocco. La vittima è un giovane marocchino. Secondo alcuni testimoni, forse compagni del giovane stesso, anch’essi decisi ad emigrare in Europa, il ragazzo si era nascosto sotto il piano di carico di un camion diretto verso Bani Ansar, una città distante una quindicina di chilometri da Nador, sede di un porto commerciale e non distante dalla frontiera con l’Algeria. E’ verosimile, secondo la polizia, che volesse raggiungere proprio la costa algerina, per cercarvi un imbarco verso la Spagna. Lungo il percorso, sulla strada litoranea che arriva da Tangeri, deve essere scivolato ed è finito sotto le ruote posteriori, che lo hanno travolto, uccidendolo all’istante. “Le strade di Nador e Bani Ansar – ha scritto il quotidiano online Nadorcity – sono piene di questi giovani disperati che cercano il modo di espatriare. Le autorità di polizia tentano continuamente di allontanarli e rimpatriarli, ma quelli ritornano regolarmente dopo pochi giorni”.

(Fonte: Nadorcity.com)

Marocco-Spagna (Cartagena), 27 ottobre 2019

Un giovane algerino è stato trovato in fin di vita ed è morto poco dopo sul gommone stipato di decine di migranti avvistato e soccorso nel pomeriggio di domenica 27 ottobre, al largo di Cartagena, da una unità del Salvamento Maritimo spagnolo. Il battello era partito dalla costa algerina di Orano, puntando verso il litorale della Murcia. La navigazione è stata lunga e difficile: quasi i migranti a bordo erano provati e molti presentavano in particolare gravi ustioni provocate dalla miscela di benzina e acqua salata che si è raccolta sul fondo dello scafo e ha intriso specialmente gli indumenti delle persone che erano al centro del natante. La salma della vittima è stata trasferita all’obitorio dell’ospedale di Cartagena. Poco dopo è stata soccorsa un’altra barca, partita anche questa dall’Algeria. In tutto i migranti tratti in salvo sono 93: sono andati ad aggiungersi ai 71 arrivati tra Alicante e Cartagena, sempre dall’Algeria, nella giornata di sabato 26 ottobre.

(Fonti: La Opinion de Murcia, El Watan, La Razon, sito web Caminando Fronteras) 

Spagna (rotta atlantica, Gran Canaria), 28-29 ottobre 2019

Quattro morti e un disperso (5 vittime in totale) su una barca carica di migranti rimasta alla deriva per giorni nell’Atlantico, lungo la rotta per le Canarie. La salvezza, per gli altri 25, è arrivata dalla Blue Bird, una petroliera con bandiera di Singapore, che ha avvistato casualmente il natante in balia del mare. La barca deve essere partita dal Senegal. I migranti a bordo non erano però tutti senegalesi: secondo i primi accertamenti della polizia spagnola, parecchi non si conoscevano neanche tra loro e si sarebbero incontrati solo al momento dell’imbarco. Puntavano verso le Canarie ma devono aver perso la rotta. Sta di fatto che quando la Blue Bird li ha avvistati, il 28 ottobre, erano ad oltre 300 miglia a sud dell’arcipelago. Constatata l’emergenza, il comandante della nave ha immediatamente organizzato le operazioni di recupero, avvertendo la centrale della Guardia Costiera di Gran Canaria e specificando, una volta concluso il salvataggio, che prevedeva di arrivare a Puerto de La Luz di Las Palmas intorno alle 17 del 29 ottobre. I corpi senza vita delle quattro vittime, sistemati alla meglio dai compagni in un angolo della barca, sono stati trasbordati sulla nave appena le operazioni di salvataggio si sono concluse. Gli stessi supersiti hanno segnalato che c’è un’altra vittima: uno dei migranti è caduto in mare ed è scomparso prima che potessero aiutarlo. Otto dei 25 sopravvissuti risultano minorenni. Le quattro salme sono state trasferite all’isituto di medicina legale.

(Fonte: El Diario edizioni del mattino e della sera, Europa Press, siti web Caminando Fronteras ed Helena Maleno)

Italia (Sardegna), 31 ottobre – 1 novembre 2019

I corpi senza vita di due giovani migranti nordafricani sono stati trovati su un gommone-tender di due mettri alla deriva, 25 miglia a sud della Sardegna, all’altezza della costa di Tortoli. Il battello era privo sia del motore che di remi. A dare l’allarme, nel tardo pomeriggio del 31 ottobre, è stato l’equipaggio di uno yacht che, incrociato casualmente il natante, ha avvertito la centrale operativa della Guardia Costiera di Arbatax. Una motovedetta ha raggiunto poco dopo la zona ed ha recuperato i cadaveri, rimorchiando poi il tender in porto durante la notte tra il 31 ottobre e il primo novembre. A giudicare dallo stato di conservazione delle salme, il decesso risale a diversi giorni prima del ritrovamento: i due giovani devono essere morti di sete e di stenti, dopo essere rimasti per giorni in balia del mare, esposti al sole e alle intemperie. E’ verosimile, secondo gli inquirenti, che le vittime abbiano fatto la traversata dalle coste africane su una barca-madre, dalla quale sono stati lasciati poi sul tender a non gande distanza dalla riva. Nell’ultima fase del viaggio deve essere accaduto qualcosa (come dimostra la mancanza sia del motore che di remi) che ha impedito ai due di toccare terra, costringendoli al largo fino a quando si è compiuta la tragedia. Non sono stati identificatni ed è probabile che possano esserci altre vittime, almeno due dispersi. A bordo del gommone, infatti, sono stati rinvenuti quattro zaini ed è ipotizzabile dunque che insieme ai due ragazzi morti ci fossero a bordo dei compagni i quali, quando il battello è rimasto bloccato in mare, potrebbero aver tentato di raggiungere la riva a nuoto per cercare aiuto. Le salme sono state composte all’obitorio dell’ospedale di Lanusei. Non risulta che negli zaini siano stati trovati documenti o altri elementi utili per l’identificazione.

(Fonti: La Nuova Sardegna, L’Unione Sarda, Quotidiano Net, Corriere del Ticino, Agenzia Ansa)

Grecia (Chios), 4 novembre 2019

Una bimba irachena di appena due anni è stata travolta e uccisa da un’auto alle soglie del campo profughi di Agia Ermione, sull’isola egea di Chios, dove la sua famiglia è rifugiata da alcuni mesi in attesa di essere trasferita sul continente ed eventualmente poter proseguire verso un altro Stato dell’Unione Europea dove chiedere asilo. La tragedia si è verificata nel primo pomeriggio nei pressi degli uffici del Centro di Identificazione e Accoglienza. La piccola è stata investita dalla vettura di una Ong che collabora con la direzione del campo: il conducente è partito in retromarcia senza accorgersi che dietro c’era la bambina la quale, subito soccorsa, è stata traferita all’ospedale dell’isola ma è morta durante il tragitto. I medici non hanno potuto che constatarne il decesso per le gravi ferite riportate. Nei campi per richiedenti asilo di Chios sono ospitate circa 5 mila persone. Poche ore prima dell’incidente numerosi abitanti dell’isola avevano dato vita a una manifestazione per chiedere al Governo di Atene di trasferirne almeno una parte nel più breve tempo possibile.

(Fonti: The National Herald, Ekathimerini)

Spagna (Canarie), 6 novembre 2019

Undici vittime (9 morti e 2 dispersi) su una barca di migranti affondata a breve distanza da Lanzarote. Solo quattro i superstiti e non è escluso che possa esserci un altro disperso. Il naufragio è avvenuto intorno alle 4,30 del matttino, all’altezza di Caleta de Caballo, lungo la costa del municipio di Teguise. Il battello era partito dal Marocco il giorno prima. A bordo erano almeno in 15, forse in 16. Era giunto ormai a breve distanza dalla riva e probabilmengte puntava proprio verso la spiaggia di Caleta de Caballo per cercare di approdare, ma si è capovolto a causa del mare molto mosso, scaraventando tutti in acqua. Poco dopo lo scafo è stato trascinato contro degli scogli ed è andato quasi in pezzi, prima di spiaggiarsi trascinato dalle onde. Proprio la scoperta del relitto ha fatto scattare l’allarme alle prime luci dell’alba. Le ricerche sono state organizzate dalla centale operativa del Salvamento Maritimo, che ha fatto intervenire due motovedette e un elicottero, mobilitando anche i vigili del fuoco e la Croce Rossa. Intorno alle 8,30 sono stati trovati 4 naufraghi ancora in vita, anche se molto provati e in stato di forte ipotermia. E’ seguito il recupero delle prime 4 salme e poi, nel corso della giornata, di altre 2. Tra la serata e l’indomani sono stati restituiti dal mare altri 3 corpi. Dal confuso raccconto dei supersiti non si è capito bene se a bordo fossero in 15 oppure in 16. In quest’ultimo caso, ovviamente, i dispersi sarebbero 3.

(Fonte: El Diario, Europa Press, El Pais, Huffpost Maroc, Associated Press, Al Jazeera)

Marocco (Al Hoceima-Chefchaouen), 7 novembre 2019

Il corpo senza vita di un giovane migrante marocchino, legato a un kayak pneumatico con un piccolo cavo, è stato tascinato dal mare sul litorale tra Hoceima e Chefchaouen, nella provincia di Nador. A trovarlo, mentre flottava in acqua a breve distanza dalla battigia, sono stati alcuni pescatori, che hanno avvertito la polizia. Una squadra di agenti e una della Mezzaluna Rossa hanno trasferito la salma nell’obitorio dell’ospedale Mohammed V di Chefchaouen per l’autopsia prima dell’inumazione. A giudicare dalle correnti dei giorni precedenti il ritrovamento, secondo la polizia il giovane deve essere partito dalla costa di Tetouan o Tangeri, deciso a raggiungere la Spagna sul piccolo canotto a remi, al quale si era assicurato con una fune intorno alla vita per poterlo recuperare e risalire a bordo in caso di ribaltamenti o altri incidenti del genere: una precauzione che usano prendere diversi giovani che si avventurano in mare su quelle fragili imbarcazioni. Non deve aver fatto molta strada: la navigazione è stata ostacolata dal maltempo e dal mare mosso e il ragazzo deve essere finito in acqua senza riuscire a risalire  e a riprendere il contorllo del battellino. In questa circostanza deve aver perso anche i remi, che non risulta siano stati ritrovati.

(Fonte: Nadorcity.com)

Turchia-Grecia (Egeo Orientale, isola di Kos), 7-8 novembre 2019

Un giovane profugo è scomparso in mare dopo essere caduto dalla barca con la quale stava cercando di raggiungere la Grecia dalla Turchia. Il battello era partito la mattina del 7 novembre dalla costa di Bodrum, puntando verso la vicina isola di Kos, nell’Egeo Orientale. A bordo erano in venti circa. I suoi compagni, appena hanno raggiunto le coste di Kos, hanno riferito alla polizia che il ragazzo è scivolato in acqua, scomparendo in pochi minuti, prima che potessero prestargli aiuto, quando erano ormai a non grande distanza dalla riva, in direzione sud est. La Guardia Costiera ha organizzato una operazione di ricerca che si è protratta fino al tramonto ed è stata ripresa per l’intera giornata dell’otto novembre, senza però trovare traccia del giovane disperso. Si tratterebbe di un ventottenne di cui gli altri profughi non hanno saputo fonire le generalità precise.

(Fonte: Ekathimerini News)

Slovenia (Ilirska Bistrica), 8 novembre 2019

Un giovane profugo siriano è morto di stenti e di freddo dopo essersi perduto nei boschi intorno a Ilirska Bistrica, in Slovenia. La notizia è stata data l’otto novembre dal Centro Italiano Solidarieà (Ics) di Trieste, ma il decesso risale ad alcuni giorni prima. Appena ventenne, il ragazzo stava cercando di ricongiungersi con i suoi due fratelli in Germania. Raggiunta la Grecia dalla Turchia, ha risalito tutta la “rotta balcanica” fino ad arrivare nella zona di Ilirska Bistrika, alle falde del Monte Nevoso. Di lì ha proseguito verso nord, attraverso strade secondarie e sentieri montani, ma ha perso l’orientamento. Ha vagato per alcuni giorni finché, arrivato in un punto non lontano da una strada ormai privo di forze, ha chiesto aiuto ai fratelli i quali, aiutati d aun amico greco, sono immediatamente arrivati dalla Germania e sono riusciti a rintracciarlo. Quando è stato trovato era ancora in vita: lo hanno caricato ormai privo di conoscenza sulla loro auto e condotto a Ilirska Bistrika, dove hanno chiesto aiuto a una pattuglia della polizia. Gli agenti hanno fatto subito intervenire un’ambulanza, ma ogni tentativo di rianimare il giovane si è rivelato inutile. Secondo il referto del medico intervenuto sul posto, la morte è stata causata da ipotermia e affaticamento.

(Fonte: Il Piccolo di Trieste, Rapporto Are You Syrios 8 novembre).

Spagna (Melilla), 8 novembre 2019

Un giovane migrante sconosciuto è morto nell’area portuale di Melilla cadendo dal Tir sotto al quale si era nascosto per salire clandestinamente a bordo di un ferry in partenza. Si tratta certamente di uno dei tanti migranti giunti nell’enclave spagnola che vivono di fatto intorno alla zona del porto, nella speranza di riuscire prima o poi a trovare un imbarco per arrivare in Andalusia. Il ragazzo (che non aveva indosso documenti ma che non dovrebbe aver avuto più di 17 o 18 anni) era riuscito a superare le barriere che delimitano l’area di sosta e a nascondersi, qualche ora prima, sotto un tir in partenza per Motril, in Andalusia, con il ferry del pomeriggio, il Golden Bridge. Quando l’automezzo, verso le 15, ha raggiunto il punto d’imbarco e stava per entrare nella nave, il giovane ha perso la presa e, cadendo, ha urtato con violenza la testa contro il margine della rampa di accesso. Il personale portuale ha subito bloccato il Tir perché il corpo rotolato a terra non finisse sotto le ruote ed ha fatto intervenire un’ambulanza del presidio medico. I soccorsi sono arrivati in pochi minuti, ma ogni tentativo di rianimare il ragazzo si è rivelato inutile. Il corpo è stato trasferito all’obitorio dell’ospedale.

(Fonte. Europa Press, Ideal, Motril Digital, Bolsamania, sito web Helena Maleno)

Marocco (Nador), 8-9 novembre 2019

Nove giovani marocchini risultano dispersi nel tentativo di raggiungere la Spagna su una piccola barca di cui si è persa ogni traccia. La notizia è stata riferita da alcuni familiari che, non avendo più notizia di loro da diversi giorni, l’otto novembre si sono rivolti alla redazione del Faro de Ceuta per lanciare un appello al Salvamento Maritimo spagnolo e alle istituzioni sia iberiche che marocchine perché attivino un dispositivo di ricerca. I nove ragazzi sono tutti originari della regione del Rif, nell’entroterra di Nador. “Si sono imbarcati all’inizio di novembre da una spiaggia nei pressi di Nador su un battello di quattro metri”, ha spiegato un amico, rivolgendosi al Faro de Ceuta a nome delle famiglie. Avevano promesso che avrebbero dato notizie appena arrivati in Spagna, ma di loro non si sa più nulla dal momento della partenza: nessuna telefonata, nessuna notizia magari indiretta. Né risulta che siano stati intercettati dalla Marina marocchina oppure tratti in salvo da quella spagnola o da una nave in transito. Per questo, dopo giorni di attesa, i familiari hanno deciso di dare l’allarme.

(Fonte: El Faro de Ceuta)

Grecia (Lesbo, campo di Moria), 10 novembre 2019

Un bimbo di nove mesi è morto a Lesbo, nel campo profughi di Moria, per una grave forma di disidratazione dovuta a una patologia non curata. Il decesso è avvenuto il giorno 10 di novembre, ma la notizia è emersa soltanto una settimana più tardi, il giorno 16, su denuncia dell’equipe di Medici Senza Frontiere che opera sull’isola. La famiglia del bimbo, di origine congolese, è ospite del campo da mesi, in attesa di essere trasferita sul continente e di essere accolta eventualmente in un altro Stato della Ue come richiedente asilo. Malato, a quanto pare, già da diverse settimane, i genitori lo hanno portato in gravi condizioni, la mattina de 10, al centro medico del campo, dove i sanitari gli hanno subito diagnosticato una forte forma di disidratazione, facendolo trasferire d’urgenza all’ospedale di Mytilene. Quando è arrivato al pronto soccorso, però, ill piccolo era già morto. Il direttore dell’ambulatorio di Medici Senza Frontiere ha comunicato che una sua equipe lo aveva visitato nel mese di settembre e poi di ottobre, segnalando ai genitori e alle autorità del centro accoglienza la necessità di cure specialistiche appropriate che non era possibile assicurare all’interno del campo. Nel rapporto viene posto in rilievo che a Moria risultavano almeno 77 altri bambini bisognosi di cure mediche urgenti e specifiche.

(Fonte: Beaking News, Euronews, Sito Web Medici Senza Frontiere, Newsbook, The National Herald, Greek Reporter)

Marocco (Tangeri), 11 novembre 2019

I corpi senza vita di 17 migranti sono affiorati nelle acque di Tangeri o si sono spiaggiati in diversi tratti della costa, tra il 10 ottobre e l’11 novembre. Recuperati dalla polizia e dalla Mezzaluna Rossa, sono stati sepolti in un cimitero provvisorio realizzato in una zona desertica nell’entroterra della città. Si tratta, con tutta evidenza, delle vittime di uno o più naufragi, avvenuti nello Stretto di Gibilterra, di barche cariche di disperati che cercavano di raggiungere la Spagna. Quasi tutte sono state identificate come giovani senegalesi. Per quelli a cui è stato possibile dare un nome, sono state subito avviate le pratiche per il rimpatrio. Tra questi, il corpo di un ragazzo di nome Babacar, proveniente da Dakar, la cui famiglia ne aveva denunciato la scomparsa, lanciando un appello per le ricerche. Secondo notizie raccolte tra i familiari da L’Observateur, una delle principali organizzazioni di trafficanti che organizzano le “spedizioni” dal Senegal opera proprio a Dakar. La tariffa pretesa per ogni persona va da 3 a 4 milioni di franchi senegalesi pari a 4.500-6.000 euro. Il “passaggio” si svolge in tre fasi: a Dakar i trafficanti procurano un passaporto falso e un biglietto aereo fino a Casablanca. Qui – seconda fase – ogni migrante viene “preso in carico” dall’organizzazione, che gli assicua un alloggio clandestino provvisorio, dove resta fino a quando non è pronta la terza fase, con la taversata dello Stretto, su battelli a bordo dei quali vengono mediamente caricate non meno di 40 persone.

(Fonte: Koumpeu.com, Igfm, Ndarinfo, Senegaldirect. Dakarxibar)

Italia (Ragusa), 15 novembre 2019

Un cadavere in avanzato stato di decomposizione, privo di parte degli arti, è stato trascinato dal mare sulla spiaggia di Riviera Lanterna, nella zona del Faro di Scoglitti, una frazione del Comune di Vittoria, in provincia di Ragusa. L’ipotesi più accreditata dalla magistratura e dalla polizia è che si tratti dei resti di un migrante annegato nel tentativo di arrivare in Italia dal Nord Africa. A giudicare dalle condizioni, il corpo è rimasto a lungo in mare, certamente diverse settimane, tanto da risultare irriconoscibile. L’unico elemento utile per arrivare a una eventuale identificazione è un giubbotto di colore blu, con etichette rosse cucite su una manica.

(Fonte: Il Mattino, Il Giornale di Sicilia, Leggo, Meteio Week, Agenzia Ansa)

 Grecia (Soufli, regione dell’Evros), 16 novembre 2019

Un profugo è stato travolto e ucciso da un treno nei pressi della piccola città di Soufli, in Tracia, a breve distanza dalla linea di confine greca dell’Evros con la Turchia e non lontano da quella con la Bulgaria. L’uomo stava camminando ai margini della ferrovia che da Alexandroupolis conduce alla città di frontiera di Ormenio, nell’estremo nord della Grecia, sulla riva destra dell’Evros, che in questo tratto segna il confine con la Bulgaria. Si ritiene che fosse entrato da non molto tempo in territorio greco dalla Turchia e che, seguendo i binari per non perdere l’orientamento, non si sia accorto dell’arrivo del convoglio. Non è stato possibile risalire né alla sua identità né alla provenienza poiché indosso non gli sono stati trovati documenti. La salma è stata trasferita nell’obitorio di Soufli.

(Fonte: Ekathimerini)

Libia (Bani Walid), 16-17 novembre 2019

Sei giovanissimi profughi eritrei sono stati uccisi e 8 feriti a raffiche di mitra, durante un tentativo di fuga, da una banda di trafficanti a Bani Walid, circa 150 chilometri a sud est di Tripoli. Vittime e feriti facevano parte di un gruppo di 66 profughi catturati in tempi e circostanze diverse, detenuti per lunghi mesi nella prigione e di un trafficante eritreo, Abduselam Ferensawi, a En Nesma, quasi 400 chilometri a sud di Tripoli. All’inizio di novembre alcuni collaboratori di Abduselam avrebbero prospettato ai prigionieri la possibilità di lasciare il campo e raggiungere Tripoli, pagando un “ticket” di poche decine di dollari a testa. Avrebbero assicurato che era disponibile un camion con un autista fidato. La partenza è avvenuta la mattina del 12 novembre. Anziché la strada diretta per Tripoli, molto più breve, il camion ha fatto una inspiegabile, lunga deviazione verso est, passando per Bani Walid e proprio nei pressi di Bani Walid, nel pomeriggio, è stato bloccato da un gruppo armato di miliziani, che hanno catturato tutti i 66 giovani eritrei, conducendoli in una “prigione sotterranea”, probabilmente un grosso container interrato. C’è da credere che si sia trattato in realtà di un tranello: sembra quasi scontato, cioè, che i trafficanti del campo di En Nesma abbiano “venduto” l’intero gruppo di eritrei ad altri trafficanti di Bani Walid, che hanno agito infatti “a colpo sicuro”, fermando l’autocarro a breve distanza dalla prigione in cui poi i ragazzi sono stati rinchiusi e chiedendo subito un riscatto di 12 mila dollari a persona. Richiesta accompagnata da pestaggi, minacce e torture, per indurre i familiari dei prigionieri ad effettuare prima possibile il pagamento per il riscatto. Il tentativo di fuga è avvenuto la notte tra il 16 e il 17 novembre: alcuni dei giovani detenuti, eludendo la sorveglianza dei miliziani, sono riusciti a forzare la serratura dell’unica porta della prigione interrata e hanno tentato di dileguarsi il più in fretta possibile. Una delle guadie, però, ha dato l’allarme e i miliziani presenti nel campo non hanno esitato a sparare a raffica, ad altezza d’uomo, contro i fuggiaschi. Alla fine sono rimasti sul terreno 6 morti e 8 feriti, alcuni piuttosto gravi, tanto da non essere in grado di muoversi. Tutti gli altri sono stati ricondotti nello stanzone che funge da cella, dove sono stati poi rinchiusi di nuovo anche i feriti, ai quali non risulta che sia stata prestata alcuna assistenza medica. La notizia è emersa dal racconto di alcuni familiari dei ragazzi, che avevano preso contatto subito dopo il sequestro con il Coordinamento Eritrea Democratica in Italia per chiedere aiuto e che sono stati informati della strage dalla viva voce dei prigionieri quando si sono messi in comunicazione per il riscatto. Sono stati resi noti anche i nomi dei sei ragazzi uccisi, tutti di età compresa tra i 18 e i 20-21 anni: Solomun Teklay, Mussie Hyawzgi, Medhanie Debesai, Samuel Gebrekristos, Wedi Tekebsh, Ahmed. Dopo il tentativo di fuga fallito – hanno dichiarato i prigionieri – le condizioni di detenzione sono diventate ancora più dure, con pestaggi e torture pressoché quotidiani. Anche l’ammontare del riscatto è cambiato: i 12 mila dollari iniziali sono diventati 13.500 a testa.

(Fonte: Coordinamento Eritrea Democratica, report giornalista Sara Creta)     

Libia-Italia (Mediterraneo al largo di Tripoli), 18 novembre 2019

Cinquantasette profughi e migranti risultano scomparsi nel Mediterraneo, al largo di Tripoli, su una barca di cui si è persa ogni traccia dalla mattina del 19 ottobre. La notizia di questo battello fantasma è stata diffusa dai familiari di nove giovani eritrei (5 uomini e 4 donne) che erano a bordo, insieme a migranti provenienti dal Sudan ed altri Stati dell’Africa Subsahariana. A organizzare la “spedizione” sarebbe stato un trafficante libico di nome Hji Alì. La barca, un vecchio scafo da pesca in legno, è salpata intorno alle 22 del 18 ottobre da una spiaggia nei pressi di Tripoli. Quattro ore più tardi, alle 2 del mattino del giorno 19, i migranti hanno contattato il trafficante con il telefono satellitare che avevano ricevuto al momento della partenza, per segnalare che il motore (pare un fuoribordo da 250 cavalli) stentava e il battello imbarcava acqua. Hji Alì li avrebbe convinti a proseguire e a segnalare eventuali altre anomalie. Alle 6 del mattino nuova telefonata ad Hji Alì, questa volta rimasta però senza risposta: lo ha riferito lo stesso trafficante a un eritreo residente in Libia, Awet, che aveva fatto da mediatore per i 9 connazionali, dicendo di non aver sentito la chiamata e specificando di aver tentato invano di rimettersi in contatto con la barca tra le 8 e le 9. La telefonata fatta alle 6 del mattino è dunque l’ultima traccia del battello e dei 57 migranti che erano a bordo. I familiari dei nove eritrei hanno atteso ancora due giorni e poi hanno lanciato l’allarme, avvertendo il Coordinamento Eritrea Democratica in Italia, che a sua volta ha interessato l’Unhcr e l’Oim per una operazione di ricerca in Libia, presso la Guardia Costiera e i centri di detenzione, nel caso la barca fosse stata intercettata e i 57 migranti ricondotti a Tripoli. A un mese di distanza, queste ricerche non hanno dato alcun esito. Né risulta che nel frattempo qualcuno dei nove eritrei o altri migranti si siano messi in contatto con le famiglie. Per facilitare le ricerche i parenti degli eritrei hanno diffuso la notizia anche sul web, comunicato i nomi di tutti (Beschir Husen, Kgret Fsahayw, Benuz Yakem, Hayat Mahamed, Suzi Eyob, Adalem, Awudu, Dita, Afewerki) e fornito alcune foto agli uffici libici dell’Unhcr e dell’Oim. Neanche questo tentativo ha dato esito.

(Fonte: Coordinamento Eritrea Democratica)

Marocco (Tangeri), 20 novembre 2019

Un giovane migrante marocchino è morto precipitando dalla recinzione dell’area portuale di Tangeri nel tentativo di imbarcarsi clandestinamento su un ferry in partenza per la Spagna. Il ragazzo, identificato come Al Halk, poco più che ventenne, aveva eluso la vigilanza esterna al porto, arrampicandosi sul muro che delimita l’area adibita alla sosta degli automezzi prima dell’imbarco, una barriera di cemento alta 8 metri. Mentre cercava di calarsi a terra dall’altra parte, deve aver perso l’equilibrio ed è precipitato pesantemente sul selciato, a poca distanza da alcuni operatori portuali addetti allo smistamento dei tir e delle auto. Poco dopo è intervenuta un’ambulanza, ma il ragazzo era già morto. La salma è stata trasferita all’obitorio di Tangeri per l’autopsia. La polizia ha aperto un’inchiesta per appurare come abbia fatto esattamente Al Halk a salire sul muro e se avesse dei complici nel porto, per aiutarlo a salire di nascosto su una nave diretta in Europa.

(Fonte: Nadorcity.com)

Libia (costa nord-ovest), 20-22 novembre 2019

Oltre 60 migranti morti – 67, secondo le poche informazioni emerse – in un naufragio al largo della costa nord-occidentale della Libia. Solo 30 i superstiti. Ne ha dato notizia Alarm Phone, la piattaforma di supporto per i soccorsi in mare a cui si rivolgono spesso le barche di migranti in difficoltà nel Mediterraneo. A dare l’allerta alla Ong, nel tardo pomeriggio del giorno 20, sono stati alcuni pescatori, riferendo di aver trovato  il relitto di un gommone, ormai quasi completamente sgonfio, con molte persone in mare. Hanno poi aggiunto, in particolare, di essere riusciti a salvare una trentina di naufraghi, ma che c’erano decine di morti: 67, secondo una prima stima. Ed hanno infine specificato di essersi rivolti ad Alarm Phone dopo che i ripetuti tentativi di contattare la Guardia Costiera libica erano andati a vuoto. Dal momento stesso che ha ricevuto la segnalazione, Alarm Phone ha effettuato tutta una serie di ricerche per trovare conferma ed altri particolari della tragedia. Dalle autorità libiche, come in altri casi del genere, non è arrivata alcuna informazione. Senza esito anche i controlli del giorno successivo, ma il 22 gli operatori della Ong si sono messi di nuovo in comunicazione ripetutamente con i pescatori i quali, lasciando capire, in sostanza, di aver paura di aggiungere nuovi elementi a quanto già riferito, hanno di fatto confermato il naufragio. “Sono troppo spaventati – ha scritto Alarm Phione nel suo sito web – per fornire altre prove: temono ritorsioni da parte delle milizie libiche. Questa è la realtà in Libia. Ci fidiamo e crediamo che il naufragio sia avvenuto”.

(Fonte: sito web Alarm Phone, Anadolu Agency, Repubblica, Tpi News, Vita, Fanpage, Agenzia Ansa)

Libia (costa nord occidentale), 21-22 novembre 2019

Scomparso una gommone partito dalla Libia con 94 migranti, inclusi alcuni bambini e 13 donne (di cui 3 in stato di gravidanza). L’allarme è scattato nelle ore serali del giorno 21, quando qualcuno a bordo è riuscito a lanciare una disperata richiesta di aiuto ad Alarm Phone, specificando che erano tutti in grave pericolo di vita. L’Ong, individuata la posizione Gps del battello, ha avvertito la Guardia Costiera italiana e chiesto anche l’intervento delle navi di alcune Ong. Contemporaneamnete ha cercato di mantenere contatti frequenti e regolari con il gommone e, con il passare del tempo, ha ricevuto notizie sempre più allarmanti: il motore era in avaria e uno dei tubolari si stava sgonfiando rapidamente. L’ultima comunicazione è arrivata alle 18,30. Le unità di soccorso di due Ong, la Open Arms e la Aita Mari, hanno risposto subito all’emergenza, ma erano piuttosto lontane: sono arrivate sul posto entrambe intorno alle 22,10 ed insieme hanno iniziato le ricerche, senza però trovare traccia del battello Contemporaneamente Alarm Phone ha tentato più volte di mettersi in comunicazione con la Guardia Costiera libica, per chiedere se avesse notizia di quanto stava accadendo e se fosse intervenuta una sua nave. Nessuna risposta. Quanto alla Guardia Costiera maltese, si è limitata a rispondere che, vista la zona, era compito della Libia occuparsi del caso. Le due Ong hanno continuato a ispezionare il tratto di mare corrispondente alla localizzazione Gps per tutta la notte e l’indomani mattina. Senza esito. Tutto lascia credere che il gommone sia affondato e non ci siano superstiti. Lo conferma anche l’Oim che nel dossier 2019 inserisce tra le vittime anche le 94 persone di questo battello. Oltre che dai rapporti di Alarm Phone, questa conclusione è suffragata dalle testimonianze sulle ricerche rese dai comandanti delle navi Open Arms e Aita Mari e dai registri della Guardia Costiera libica, dove si esclude che il battello sia stato soccorso da unità di Tripoli o sia riuscito a raggiungere in qualche modo la costa.

(Fonti: sito web Alarm Phone, rapporto bimestrale di Watch the Med, rapporto Oim anno 2019)  

Libia (Khoms), 22 novembre 2019

I corpi senza vita di sei migranti subsahariani sono stati recuperati al largo di Khoms, 120 chilometri a est di Tripoli: sono le vittime del naufragio di un gommone con a bordo circa cento persone. Non è escluso che ci siano anche dei dispersi. Partito prima dell’alba da una delle spiagge della stessa Khoms, da tempo uno dei principali punti d’imbarco usati dai trafficanti, dopo poche ore di navigazione il battello ha cominciato ad afflosciarsi e ad imbarcare acqua. I soccorritori hanno tratto in salvo una novantina di naufraghi, fra cui tre bambini e dieci donne (una in stato di gravidanza). “Si sono salvati – ha riferito un portavoce della Guardia Costiera libica – quelli che sono rimasti sul relitto o nelle vicinanze. I morti sono quelli che hanno tentato di raggiungere la riva a nuoto: non è stato possibile trovarli e sono annegati. I loro corpi sono stati recuperati in seguito, mentre flottavano tra le onde, ancora al largo”. I superstiti sono stati sbarcati a Khoms e, contrariamnete a quanto avviene di solito, lasciati liberi dalla polizia perché il centro di detenzione della zona è chiuso. Circa trenta, tuttavia – ha riferito un ufficiale della Guardia Costiera – sono tornati indietro, al porto, poche ore dopo, chiedendo protezione, perché nella zona del mercato della città erano stati assaliti senza alcun motivo e fatti segno anche di colpi di arma da fuoco da parte di un gruppo di sconosciuti.

(Fonte: Reuters, Associated Press, Sito web Oim Libia, Repubblica)

Italia (Lampedusa), 23-24 novembre 2019

Dodici migranti morti e nove dispersi in un naufragio a meno di un miglio da Lampedusa, nel tratto di costa tra l’isola dei Conigli e Cala Galera. I superstiti sono 149. Cinque dei corpi delle vittime sono stati recuperati nelle ore successive; altri sette alcuni giorni dopo, nei pressi del relitto, a 40 metri di profondità. La barca – un vecchio scafo da pesca in legno di dieci metri – era partito dalla costa di Zuwara, in Libia, 100 chilometri a ovest di Tripoli, nelle primissime ore del mattino di venerdì 22 novembre. A bordo erano stipate ben 170 persone, tra cui numerose donne e alcuni bambini. Ha navigato per quasi due giorni, riuscendo a portarsi alle soglie di Lampedusa, senza essere avvistato e senza lanciare richieste di aiuto, nonostante il mare molto mosso, con onde alte fino a quattro metri, e un forte vento di libeccio.  L’allarme è stato dato intorno alle 17 di sabato 23 novembre, nell’ultimissima fase della rotta, da due pescat ori isolani (Stefano Martello e Calogero Sanguedolce), i quali, notata da riva la barca in difficoltà, hanno avvertito il comando della Guardia Costiera. Sono state fatte immediatamente partire due motovedette, per raggiungere il peschereccio, prestare assistenza e scortalo fino in porto. Le due unità erano ormai prossime ad affiancarsi quando il battello si è capovolto improvvisamente, scaraventando tutti in acqua: è presumibile che l’assetto di galleggiamento, già di per sé precario per il sovraccarico e il mare in tempesta, sia stato compromesso di colpo dal fatto che molti dei migranti a bordo potrebbero essersi spostati d’istinto verso il lato da cui arrivavano i soccorsi. Le operazioni di recupero sono scattate immediatamente, condotte oltre che dalle due motovedette, da un guardacoste della Marina, da due elicotteri e un aereo da ricognizione per la ricerca e l’avvistamento dei naufraghi. Nel giro di poco più di un’ora sono state tratte in salvo 143 persone, sbarcate sul molo di Lampedusa. E’ stato subito chiaro, sulla base delle indicazioni dei superstiti, che mancavano ancora, però, decine di naufraghi. Nel corso della serata ci sono stati altri 6 salvataggi, portando così a 149 il numero dei superstiti. Le ricerche sono proseguite per tutta la notte. Le prime tre salme sono state individuate in mare e prese a bordo di una motovedetta poco dopo l’alba. Altre due sono state spinte a riva a metà mattinata nella zona di Cala Galera:  una l’ha recuperata una pattuglia della Guardia di Finanza e l’altra, trascinata di nuovo in acqua dalle onde, è stata ripescata dalla Cp 300 della Guardia Costiera. Sono tutte di giovani donne. Non è un caso: le donne, in naufragi del genere, sono esposte a rischi maggiori. I motivi sono almeno due: gli abiti lunghi che indossano, intrisi d’acqua, appesantiscono il corpo e impediscono i movimenti ma, soprattutto, le donne, separate dagli uomini, vengono in genere sistemate dai trafficanti nella parte centrale dello scafo, dove è più facile rimanere incastrati nell’eventualità di un ribaltamento, rendendo dunque più arduo o spesso impossibile trovare una via di scampo. Potrebbe essere questa la spiegazione del fatto che due giovani, un eritreo e un libico, nel naufragio, appena la barca si è capovolta, hanno perso ogni contatto con le mogli, che risultano disperse. Durante la notte tra sabato 23 e domenica 24 i superstiti hanno confermato alla polizia che a bordo erano in 170, sicché le vittime sono in tutto 21. In particolare, 10 donne (6 in fuga dall’Eritrea, 2 dalla Nigeria, una dal Marocco e una dalla Libia) e 11 uomini (5 Eritrea, 3 Algeria, 3 Marocco). Questi invece (fonte Unhcr) gli Stati di provenienza dei 149 superstiti: Eritrea 56, Pakistan 33, Algeria 29, Bangladesh 9, Marocco 7, Somalia 6,  Egitto 3, Tunisia 2, Libia 2, Nigeria 1, Etiopia 1. Tra loro, 9 donne e 26 minorenni.

(Fonte: sito web Sergio Scandura, Agenzia Ansa, Repubblica, Il Giornale di Sicilia, La Stampa, The Times of Malta, Il Fatto Quotidiano)

Marocco-Spagna (mare di Alboran), 26-27 novembre 2019

Venti tra morti (4) e dispersi (16) nel naufragio di un gommone carico di migranti subsahariani e asiatici nel mare di Alboran, la notte tra il 26 e il 27 novembre. Il battello, partito dalla spiaggia di Charrana, nei pressi di Nador, con 78 persone a bordo, ha navigato per ore in direzione dell’Andalusia, con il mare molto agitato e un forte vento. Era già buio e si trovava a circa 30 miglia da Melilla, l’enclave spagnola in Marocco, quando è stata lanciata la richiesta di aiuto che ha fatto scattare l’emergenza. I soccorsi sono dovuti partire dall’Andalusia, con un elicottero da ricognizione e con la Salvamar Spica, del Salvamento Maritimo di Almeria, perché la salvamar Alcor, di base a Melilla, era in avaria da settimane. La Spica è giunta sul posto segnalato tra le 21,30 e le 22. A quell’ora il battello era già un relitto semi affondato e gli occupanti quasi tutti in acqua. Le ricerche, date le condizioni meteomarine, si sono svolte con molta difficoltà: decisive, per individuare i naufraghi, le luci dei  telefonini che alcuni hanno cominciato ad agitare in aria quando hanno intravisto avvicinarsi la motovedetta. Dopo aver tratto a bordo 59 persone ancora in vita e tre cadaveri e dopo aver constatato che nelle vicinanze non si vedeva nessun altro in acqua, l’equipaggio della Spica ha fatto rotta verso Melilla, arrivando intorno alle 23,30. Tutti i 59 naufraghi erano in stato di ipotermia per le ore passate in acqua: in particolare tre, i quali, privi di conoscenza, sono stati trasferiti d’urgenza all’ospedale Comarcal. Meno di un’ora dopo uno di loro è deceduto, portando così il bilancio dei morti accertati a 4. I superstiti hanno subito segnalato che mancavano 16 compagni, essendo partiti in 78. Da qui nuove operazioni di ricerca sul luogo del naufragio, condotte dal pattugliatore Zambrano e dall’aereo da ricognizione Sasemar 305, fino al tramonto del giorno 27. Era ancora in corso questa operazione quando è stato diramato un nuovo allarme per la ricerca di un’altra barca salpata dal Marocco con 73 migranti.

(Fonti: Europa Press, El Diario, El Faro de Melilla, sito web Helena Maleno)

Slovenia (autostrada Lubiana-Koper), 28 novembre 2019

Due profughi siriani sono rimasti uccisi in Slovenia, su un pulmino finito fuori strada, mentre cercavano di raggiungere la costa adriatica. Altri sei sono rimasti feriti. Viaggiavano sull’autostrada che da Lubiana conduce a Koper (Capodistra). Alla guida era un giovane bosniaco, arrestato dopo l’incidente per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. E’ verosimile che con lo stesso mezzo o comunque con la stessa organizzazione abbiano raggiunto la Slovenia dopo aver atraversato la Croazia dalla Bosnia. Da Koper, il principale porto della Slovenia, a un passo dal confine, pensavano probabilmente di entrare in Italia. L’incidente è avvenuto poco dopo Lubiana. Forse a causa della forte velocità, il pulmino ha sbandato e si è schiantato contro un muro di recinzione al margine della carreggiata. Tre dei passeggeri, tra cui le due vittime, sono stati sbalzati fuori dall’abitacolo dalla violenza dell’urto. Gli altri, incastrati tra le lamiere, sono rimasti feriti, alcuni in modo molto grave.

(Fonte: Associated Press)  

Grecia (Chios, campo profughi), 28 novembre 2019

Un profugo siriano di 48 anni è morto nell’ospedale di Chios dove era stato ricoverato d’urgenza per una crisi cardiaca. L’uomo viveva da mesi nel centro di accoglienza di Vial, come richiedente asilo, insieme alla moglie e sei figli, nella speranza di poter proseguire verso la Grecia continentale e poi verso l’Europa del Nord. Sofferente di diabete, durante la permanenza al campo aveva avuto delle complicazioni, culminate con l’amputazione di una gamba. Da allora era costretto su una sedia a rotelle. Nel tardo pomeriggio di mercoledì 27 novembre si è sentito male ed ha chiesto alla polizia di servizio nel campo di trasferirlo in ospedale, ma un’ambulanza non era disponibile. Più tardi, il malore, dovuto a una crisi cardiaca, si è aggravato e dal campo hanno deciso allora di portare il profugo al pronto soccorso con un taxi. Subito ricoverato, non si è più ripreso: è morto la mattina di giovedì’ 28 novembre. L’assistenza sanitaria – hanno denunciato alcune Ong – è uno dei maggiori problemi sia del campo di Vial che di quello di Moria, a Lesbo: in entrambe le strutture è disponibile un solo medico per turno, nonostante in ciascuna delle due siano ospitati migliaia di profughi.

(Fonti: rapporto Are You Syrious e Kounouti)    

Libia-Malta (zona Sar maltese), 29-30 novembre 2019

Scomparsa una barca con a bordo 70 persone, incluse quattro donne in stato di gravidanza e almeno 10 bambini. Il natante, una imbarcazione in legno di colore blu, sembra sia partito dalla Libia almeno due giorni prima. L’emergenza è scattata alle 6,12 pomeridiane, quando la centrale operativa di Alarm Phone ha ricevuto una disperata richiesta di soccorso: lo scafo stava imbarcando acqua ed erano finite ormai da tempo le scorte di cibo e d’acqua. “La comunicazione era molto incerta, anche se si avvertiva che quelle persone erano ormai in preda al panico – ha riferito la Ong – In ogni caso siamo riusciti a localizzarle: erano nella zona Sar maltese, così abbiamo avvertito immediatamente sia le autorità italiane che quelle di Malta, sollecitando una operazione di ricerca e recupero. Erano le 6,36. Alle 7,19 abbiamo chiamato la Guardia Costiera maltese: hanno risposto di essere al corrente della situazione ma non abbiamo avuto conferma se erano in atto o erano almeno stati predisposti interventi di soccorso. Quanto alla Guardia Costiera italiana, ci ha solo risposto che il battello era nelle acque maltesi e dunque dovevamo rivolgerci a La Valletta”. Durante la notte gli operatori di Alarm Phone hanno tentato più volte di contattare di nuovo la barca, ma senza riuscirci. Né risulta che dal telefono satellitare usato per lanciare l’Sos siano state stabilite comunicazioni con qualche altro soggetto. Alle 5,20 del giorno 30 Malta ha assicurato ad Alarm Phone che stava facendo delle ricerche e poi, alle 8,05, ha riferito che durante la notte un aereo da ricognizione aveva localizzato il battello in difficoltà, ma che quando una motovedetta, al mattino, aveva raggiunto la zona indicata, non ne aveva trovato traccia. Le ricerche della Guardia Costiera maltese sono proseguite fino al primo pomeriggio, per essere poi interrotte verso le 15, nell’ipotesi che il battello scomparso fosse ormai entrato nelle acque italiane. Ma questa ipotesi è stata respinta dalle autorità italiane, così come qualche ora prima, su precisa richiesta, avevano garantito che la barca non era arrivata a Lampedusa come si sperava. Senza esito la richiesta di organizzare una vasta operazione di pattugliamento nella zona avanzata, a questo punto, da Alarm Phone sia all’Italia che a Malta. Anzi, nelle  prime ore del mattino La Valletta avrebbe addirittura ordinato alla  Alan Kurdi, la nave della Ong Sea Eye, di interrompere le ricerche che aveva iniziato. Inascoltati anche gli appelli successivi e senza esito tutti i nuovi tentativi di rimettersi in comunicazione con il battello. Alle 10 del mattino del primo dicembre sia la Guardia Costiera italiana sia quella maltese hanno ribadito alla Ong di non avere altre informazioni sulla vicenda. Non resta che pensare a un naufragio senza superstiti.

(Fonte: sito web Alarm Phone dal 29 novembre al 3 dicembre e rapporto bimestrale di Watch the Med novembre-dicembre).  

Mauritania (rotta delle Canarie), 3-4 dicembre 2019

Oltre 100 vittime, quasi certamente 108, nel naufragio di un grosso cayuko da pesca carico di migranti al largo delle coste della Mauritania, nell’Atlantico. I corpi senza vita recuperati risultano 63, i dispersi 45. Sono invece 87 le persone che sono riuscite a salvarsi. Inizialmente si è parlato di 70 tra morti e dispersi perché non era chiaro quanti fossero a bordo: secondo le stime più prudenti, oltre 150 tra uomini, donne e qualche bambino; secondo altre, quasi 180. Il Governo della Mauritania, nel comunicato ufficiale emesso tre giorni dopo la tragedia, ne ha calcolati “tra 150 e 180”. I testimoni ascoltati da cronisti del  quotidiano spagnolo El Pais nei giorni successivi, hanno precisato però che sulla barca erano sicuramente 195. “Ne sono certo perché prima di prendere il largo ci hanno costretto a contarci”, ha riferito uno dei sopravvissuti, Malumud Fall, una guida turistica gambiana disoccupata, che ha ricostruito nei dettagli la tragedia, dal momento della partenza al naufragio, insieme a un altro superstite, Cheikh Diuf, anch’egli originario del Gambia. Almeno 60 delle vittime venivano dal villaggio di Barra, alla foce del fiume Gambia; le altre da villaggi vicini e qualcuna anche dal Senegal.

La partenza. L’appuntamento per la partenza – hanno riferito i due testimoni – era il 27 novembre all’isola di Jinak, vicino a Barra, alla foce del fiume Gambia. Da qui, con barche minori, i migranti sono stati condotti sull’isola di Niodior, di fronte al promontorio di Sangomar, nel sud del Senegal, poco lontano dal confine con il Gambia. Lì erano attesi da un cayuko più grande, nascosto tra le magrovie, all’imboccatura del fiume Saloum, che, completato il carico, ha puntato a nord, lungo la costa, per arrivare all’altezza dell’ex Sahara Spagnolo, da dove avrebbe poi deviato verso le Canarie. Una rotta lunghissima, resa sempre più difficile dal fatto che la crescente sorveglianza della polizia in Marocco e in Mauritania ha costretto a spostare i punti di imbarco, sulle sponde dell’Atlantico, sempre più a sud: in Senegal, in Gambia e persino in Guinea.

Il naufragio. La navigazione si è svolta a breve distanza o comunque in vista della riva, talvolta con brevi soste per recuperare acqua, cibo e carburante. Il naufragio – secondo quanto ha ricostruito la sede Oim in Mauritania – è avvenuto proprio mentre stavano accostando per rifornirsi di benzina, non lontano dal confine con l’ex Sahara Spagnolo, oggi Marocco, 25 chilometri a nord della città costiera di Nuadibù, a sua volta situata 470 chilometri a nord di Nuakchot, la capitale della Mauritania. “Dopo cinque giorni di navigazione – hanno raccontato Cheikh Diuf e Mahmud Fall – avevamo esaurito i viveri ma soprattutto stava finendo il carburante. A due barche di pescatori, due piccoli cayucos, che abbia incontrato per caso, abbiamo chiesto dove poter accostare e rifornirci. Ci hanno indicato un luogo appartato lungo la costa, avvertendoci che se la polizia mauritana ci avesse scoperti,  saremmo stati bloccati e costretti a pagare una multa, prima di essere rimpatriati. Abbiamo raggiunto il punto indicato, ma era una scogliera scoscesa, non una spiaggia, con onde molto forti. Un’onda più alta delle altre ha preso di traverso la barca, scagliandola contro una roccia e facendola rovesciare. Siamo caduti tutti in acqua. Molti sono rimasti incastrati sotto lo scafo. Altri che non sapevano nuotare si sono aggrappati ai compagni che cercavano di tenersi a galla, trascinando anche loro sul fondo”. Alcuni naufraghi sono riusciti a raggiungere a nuoto la spiaggia, non molto distante. Sono stati proprio loro a dare per primi l’allarme e a far scattare i soccorsi e le ricerche. Il bilancio, aggiornato a più riprese a partire da giovedì sera, 4 dicembre, da Laura Lungarotti, responsabile della sede Oim della Mauritania, e dalla Guardia Costiera, è stato fissato in 87 sopravvissuti e 63 morti accertati. A lungo incerto il conto dei dispersi. Si è subito detto che a bordo erano in più di 150, sicché si sono calcolati circa dieci dispersi per un totale di oltre 70 vittime. Sulla base delle dichiarazioni rese via via dai superstiti nei giorni successivi il conto di morte è poi salito ad almeno 90 tra morti e dispersi, su 180 migranti a bordo. Le dichiarazioni rese ai cronisti de Il Pais (“Sono sate dette molte menzogne sul naufragio: su quella barca eravamo 195…”) hanno fatto poi salire il nunero totale delle vittime a 108. “Si sono salvati – hanno riferito le autorità locali – solo quelli che sapevano nuotare. Per gli altri, inclusi i dispersi, non c’è stato nulla da fare”. Dieci dei superstiti sono stati ricoverati nell’ospedale di Naodibù in condizioni critiche. I 63 cadaveri recuperati sono stati seppelliti in una fossa comune il giorno dopo il naufragio.

Intercettate altre barche. Poche ore dopo il naufragio, un altro cayuco con 30 migranti a bordo (tra cui 5 minori e due bimbi di pochi mesi), individuato oltre cento miglia a sud di Gran Canaria da un aereo da ricognizione del Salvamento Maritimo spagnolo, il Sasemar 102, è stato raggiunto dalla salvamar Menkalinan, che ha recuperato tutti i naufraghi per trasferirli al porto canario di Arguineguin. A tre giorni dalla tragedia, inoltre, la Guardia Costiera della Mauritania ha bloccato in mare un terzo, grosso cayuco, con 180 migranti, proveniente da sud e salpato dal Senegal o dal Gambia. “Da quando la rotta del Mediterraneo centrale è stata chiusa, aumentano le persone che tentano la pericolosissima via atlantica verso le Canarie per raggiungere la Spagna e dunque l’Europa”, ha dichiarato all’agenzia Reuters Laura Lungarotti.

(Fonti: Oim Mauritania e Ginevra, Al Jazeera, Associated Press, Reuters, Corriere della Sera, New York Times, Canarias 7, Horizon Intelligence, Avvenire, El Diario, El Pais, Estrella Digital, Unione Sarda, Europa Press, inchiesta de El Pais pubblicata il 14-15 dicembre)

Grecia (Lesbo), 5 dicembre 2019

Una giovane profuga afghana è morta nell’incendio del container che serviva da alloggio a lei e alla sua famiglia nel campo rifugiati di Kara Tepe, a Lesbo. Aveva 27 anni. Ha lasciato tre bambini piccoli: il primo di 5 anni, il secondo di due e l’ultimo di pochi mesi. Arrivata sull’isola dalla Turchia all’inizio di quest’anno, contava di riprendere il viaggio insieme al marito e ai figli per chiedere asilo in un altro Stato europeo. Il primo passo avrebbe dovuto essere il trasferimento nella Grecia continentale. Trattandosi di una famiglia con bambini molto piccoli, anziché nel campo di Moria era stata sistemata in quello di Kara Tepe, vicino a Mitilene, che ospita i rifugiati ritenuti più vulnerabili e bisognosi di assistenza: in tutto, oltre 1.300 persone. L’incendio che ha investito il container dove abitavano si è sviluppato in piena notte, cogliendo tutti nel sonno. Quando la donna e il marito se ne sono accorti, le fiamme erano già alte. L’uomo ha afferrato i piccoli e li ha trascinati fuori. Poi ha tentato di rientrare per aiutare la moglie ma, intossicato dal fumo inalato, ha perso a sua volta conoscenza. Quando i vigili sono riusciti a domare il rogo per la donna non c’era più nulla da fare. Il marito è stato a sua volta ricoverato per problemi respiratori e intossicazione da fumo.

(Fonte Ana Mpa, sito web Alarm Phone) 

Grecia (Gemisti, frontiera dell’Evros), 5-8 dicembre

Sei profughi (2 donne e 4 uomini) sono morti assiderati alla frontiera tra Turchia e Grecia, dopo aver superato l’Evros, il fiume che segna la linea di confine. Lo ha reso noto martedì 10 dicembre il procuratore distrettuale, Pavlos Pavlidis, che ha aperto un’inchiesta. Indosso non avevano documenti e non è stato possibile identificarli. Le due donne sono sicuramente di origine africana, dei quattro uomini non si è riusciti a stabilire nemmeno la provenienza. Quanto all’età, il più giovane sembra non aver avuto più di 18 anni, il più “anziano” meno di 30. Non è chiaro se facessero parte dello stesso gruppo o se invece siano morti in momenti e circostanze diverse. I cadaveri, infatti, sono stati trovati ad alcuni giorni di distanza e in posti differenti, anche se tutti nel circondario di Gemisti, una piccola città non lontana dal confine, sulla strada di Alexandroupolis. Il primo, quello di un giovane, è stato scoperto il giorno 5, in un terreno non lontano dal fiume. Gli altri cinque tra sabato 7 e domenica 8 dicembre: le due donne sulla sponda dell’Evros e gli altri tre uomini in un terreno collinoso, a una certa distanza dal fiume. Secondo il medico legale, sono morti tutti per ipotermia. E’ presumibile che abbiano attraversato l’Evros col favore del buio e che poi non abbiano trovato un rifugio dove ripararsi dal freddo: nella zona la temperatura in questa stagione scende abbondantemente sotto lo zero. Non è da escludere che siano stati abbandonati dai trafficanti che hanno organizzato il “passaggio” tra i due lati della frontiera. Si è portati a credere che con loro ci fossero altri profughi, che si sarebbero allontanati dopo aver constatato che per quei compagni non c’era più nulla da fare. In questo tratto del confine i migranti che riescono a entrare in Grecia in genere raggiungono a piedi o con mezzi di fortuna la città di Komotini e da qui prendono un bus per Salonicco.

Fonti: Ekathimerini, Alarm Phone, sito web Refugee Accomadation asnd Solidarity)

Marocco-Spagna (mare di Alboran), 10 dicembre 2019

Si è persa ogni traccia di una barca con 73 persone a bordo salpata il 26 novembre dal Marocco puntando verso l’Andalusia. Si sa per certo, in base alla segnalazione giunta alla Ong Caminando Fronteras, che il battello è partito nel pomeriggio dalla spiaggia di Boudinar, non lontano da Nador. Dopo qualche ora di navigazione nel mare di Alboran, si è trovato in difficoltà: la richiesta di aiuto è stata intercettata da Caminando Fronteras, che l’ha girata sia al Salvamento Maritimo Spagnolo che alla Marina imperiale marocchina. In mancanza di indicazioni precise sul tratto di mare in cui si trovava l’imbarcazione al momento dell’Sos, le ricerche sono state condotte su un raggio molto ampio, sia con unità navali che aerei da ricognizione, il Sasemar 101 spagnolo, decollato dall’Andalusia, e un velivolo di Frontex. Nei giorni successivi il pattugliamento si è ulteriormente esteso, sempre con mezzi sia aerei che navali. Senza esito. Una serie di indagini sono state condotte da funzionari dell’Oim e dell’Unhcr anche a terra, presso le autorità di Rabat e di Tangeri, per verificare se il battello fosse stato intercettato da una unità della Guardia Costiera marocchina o fosse ritornato a riva verso Nador. Sempre senza alcun risultato. Né risulta che abbiano ricevuto notizie i familiari delle persone a bordo che la sera del 26 si sono rivolti a Caminando Fronteras. Dopo due settimane, sia le autorità spagnole che gli uffici iberici dell’Oim e dell’Unhcr sono arrivati alla conclusione che la barca deve considerarsi dispersa insieme a tutti i 73 uomini e donne che trasportava. Un altro naufragio fantasma. Buona parte dei 73 migranti pare venissero dalla provincia di Temsamane, nel Rif marocchino.

(Fonte: Europa Press, siti web Caminando Fronteras ed Helena Maleno, Oim Spagna)

Algeria (Maghnia, provincia di Tlemcen), 10-14 dicembre 2019

Erano in 12 su una barca partita dall’Algeria e diretta verso Almeria, in Andalusia: uno è morto, tre sono stati salvati e di 8 non si hanno più notizie. I familiari dicono di aver perso ogni contatto e di ignorarne la sorte. Non sono note le circostanze precise della tragedia. Con certezza si sa soltanto che l’imbarcazione è salpata da Maghnia, una grossa città della provincia di Tlemcen, nell’estremo ovest dell’Algeria, non lontano dalla frontiera con il Marocco. I dodici ragazzi a bordo, tutti originari della zona, non avevano confidato a nessuno l’intenzione di tentare di arrivare in Europa, né hanno lasciato qualche messaggio al momento della partenza. Della loro fuga si è avuta notizia solo quando il corpo senza vita di uno del gruppo, recuperato in mare, è stato identificato e consegnato alla famiglia mentre altri tre sono stati ricoverati in ospedale, sotto custodia della polizia, che non ha rivelato alcun particolare. La vittima si chiamava Ouled Bensaber: i suoi funerali si sono svolti il giorno 14. I familiari hanno dichiarato di sperare che gli otto dispersi siano arrivati da qualche parte, magari in Marocco, ma confermano di non aver più avuto notizie da quando sono partiti. Nelle ultime due settimane – ha rilevato il quotidiano El Watan – molti “harraga” hanno ripreso il mare dalla provincia di Tlemcen. Non meno di cento. Alcuni sono arrivati in Spagna: hanno inviato loro stessi dei video alle famiglie per rassicurarle. Altri sono stati intercettati dalla Marina Imperiale marocchina: in particolare, tre ragazzi la cui barca è andata in avaria al largo di Saidia, una città situata quasi al confine con l’Algeria. “Il fenomeno degli ‘harraga’ – ha scritto sempre El Watan – denota la disperazione di una gioventù che ormai non vede più alcun futuro in Algeria”.

(Fonte: El Watan)   

Marocco-Spagna (isola di Alboran), 16 dicembre 2019

Un giovane subsahariano è morto sul gommone con cui tentava di raggiungere l’Andalusia dal Marocco insieme ad altri 72 migranti. Partito il giorno 15 dalla costa tra Tangeri e Nador, il battello si è trovato presto in difficoltà per le dure condizioni meteomarine. Dopo essere rimasto per ore alla deriva, ha puntato verso l’isola di Alboran, dove è approdato alle prime luci del giorno 16. Al momento dello sbarco, attuato con l’aiuto di alcuni soldati della guarnigione militare spagnola dell’isola, il ragazzo era ormai morto, ucciso probabilmente da un forte stato di sfinimento e da una crisi di ipotermia. Tutti in salvo, anche se molto provati, i 72 compagni, inclusi tre minmorenni e 12 donne. La salvamar Spica, del Salvamento Maritimo spagnolo, ha trasferito in giornata i naufraghi al porto di Almeria, in Andalusia, dove sono stati presi in carico da un presidio dalla Croce Rossa.

(Fonte: Europa Press).

Marocco (Nador), 16 dicembre 2019

Trentuno vittime (7 morti e 24 dispersi) nel naufragio di un gommone al largo delle coste del Marocco, tra Cabo Tres Forcas e Alhucemas. Il battello, partito dalla costa di Nador verso nel tardo pomeriggio del giorno 15, con 94 persone a bordo, puntava verso l’Andalusia, ma dopo poche ore ha dovuto lanciare un Sos perché rischiava di affondare a causa delle cattive condizioni del mare, con onde alte fino a tre metri e un forte vento. “Quando, in piena notte, è arrivata la richiesta di aiuto – hanno riferito la Ong Caminando Fronteras e la giornalista Helena Maleno – erano allo stremo: dicevano che lo scafo stava già imbarcando acqua, rischiava di rovesciarsi e comunque non era più in grado di navigare. Si sentivano in sottofondo, attraverso il telefono, le urla di paura”. La Ong ha dato l’allarme sia alla Marina Imperiale marocchina che al Salvamento Maritimo spagnolo, facendo scattare le ricerche. Una richiesta analoga è partita dalla centrale operativa di Alarm Phone, che a sua volta aveva ricevuto la richiesta di soccorso ma aveva poi perso ogni contatto. Nella mattinata del giorno 16 è arrivata la conferma del naufragio: il relitto del battello è stato avvistato e raggiunto da unità della marina marocchina, ma a quel punto la tragedia si era compiuta. I soccorritori hanno tratto in salvo 63 naufraghi e recuperato 7 corpi senza vita. Essendo partiti in 94 si contano dunque 24 dispersi, per un totale di 31 vite perdute. Per 22 dei sopravvissuti, una volta sbarcati, si è reso necessario il ricovero nell’ospedale Hassani di Nador, a causa del forte stato di ipotermia e gravi sintomi di annegamento. Le sette salme recuperate sono state composte presso l’obitorio dello stesso ospedale. Secondo le autorità di Rabat, sulla barca ci sarebbero stati 72 migranti, ma Caminando Fronteras ed Helena Maleno hanno ribadito ne che risultano in realtà 94 (tra cui 21 donne e 3 bambini), citandosia  le dichiarazioni dei migranti che hanno chiesto aiuto durante la notte, sia quelle rese da numerosi superstiti.

(Fonte: El Diario, siti web Helena Maleno e Caminando Fronteras, Alarm Phone, Associated Press, Agenzia Ansa, Nadorcity.com)

Algeria (Bousfer, Orano), 16 dicembre 2019

Due morti e 17 dispersi nel naufragio di un gommone nel Mediterraneo tra l’Algeria e la Spagna. Quasi tutte le 19 vittime venivano da Tiaret, una città dell’Atlante a circa 150 chilometri dalla costa occidentale ed è da pensare, dunque, che abbiano maturato insieme la decisione di lasciare il paese. L’imbarco è avvenuto la sera del giorno 16 dalla spiaggia di Bousfer, nella provincia di Orano, puntando verso la costa di Cartagena. Da quel momento non si è saputo più nulla di loro. Il silenzio si è protratto fino alla metà di gennaio 2020, quando il mare ha restituito la prima vittima, Zakaria Ouilem, il cui corpo, in avanzato stato di decomposizione, è stato trovato sulla battigia di una piccola spiaggia a Sidi Fredj, nella provincia di Algeri, e sepolto qualche giorno dopo a Tiaret, con una cerimonia a cui ha partecipato gran parte della popolazione. Zakaria, nato e residente nel quartiere di Sanatiba, era partito insieme al fratello, che risulta tra i dispersi. Di lì a pochi giorni, sulla spiaggia di Manara (provincia di Jijel) è stato recuperato un altro cadavere, quello di una donna di 41 anni, che si era imbarcata con la figlia poco più che adolescente. Un giornale, Le Quotidienne, ha riferito che sarebbe riaffiorato anche un terzo cadavere, senza però specificare dove e quando. La tragedia che ha colpito la comunità di Tiaret è stata dolorosamente sottolineata anche dal nuovo presidente algerino Abdelmadjid Tebboune in una conferenza stampa trasmessa in televisione.

(Fonti: El Watan, Le Quotidienne, Reflexion, rapporto annuale 2019 Oim)   

Spagna (Motril), 17 dicembre 2019

Un morto e cinque dispersi nel naufragio di una barca intercettata dal Salvamento Maritimo 35 miglia al largo di Motril, nel Mare di Alboran. Quarantasei i naufraghi tratti in salvo, 29 uomini e 17 donne. Le ricerche del battello, rimasto per ore alla deriva dopo essere partito dalla costa di Nador, erano in corso da lunedì 16 dicembre. Ad avvistarlo, poco prima dell’alba, è stato un aereo da ricognizione dell’aeronautica militare spagnola, che ha guidato sul posto la salvamar Hamal, salpata da Motril. Alle prime luci del giorno i soccorritori hanno recuperato in mare, intorno al relitto, i 46 superstiti e un corpo ormai senza vita. Appena in salvo, alcuni dei sopravvissuti hanno segnalato che mancavano ancora 5 compagni. Senza esito i pattugliamenti successivi condotti nella zona per rintracciarli, sia aerei con il Sasemar 101 che navali, con la motovedetta Luz de Mar, a cui si sono uniti nel corso della giornata l’Helimer 205 e il pattugliatore Maria Zambrano, impegnati anche nelle ricerche di un’altra barca in difficoltà, con 58 persone a bordo, segnalata dalla Ong Caminando Fronteras. Una terza barca, con 65 migranti, è stata intercettata dalla Marina del Marocco. Sembra evidente che le tre “partenze” siano avvenute dallo stesso tratto di costa marocchina e in tempi ravvicinati, nonostante la sorveglianza intensificata lungo tutto il litorale da parte della gendarmeria.

(Fonte: Europa Press Andalucia, sito web Helena Maleno)

Marocco (Nador), 18 dicembre 2029

I corpi di quattro migranti subsahariani (tre ragazze e un ragazzo molto giovane) sono stati portati dal mare su una spiaggia nei pressi di Nador, regione di Driouch, nel Marocco nord-orientale. Scoperti da alcuni abitanti del posto sulla battigia o mentre flottavano tra le onde a pochi metri dalla riva, sono stati recuperati da una squadra della Protezione Civile e trasferiti all’obitorio dell’ospedale di Nador. Non è stato possibile identificarli e sono  un mistero sia la provenienza che le circostanze della morte. Nei giorni precedenti il ritrovamento, tuttavia, ci sono state alcune richieste di soccorso da parte di barche di cui si è poi persa ogni traccia, senza che arrivassero ulteriori comunicazioni. In particolare, una con 58 persone a bordo, in difficoltà nel Mare di Alboran. Non ci sono elementi per stabilire un collegamento diretto tra questi due episodi, ma è  una delle ipotesi prese in considerazione. In caso positivo il bilancio delle vittime sarebbe molto più alto.

(Fonte: Nadorcity.com, indagini Oim sulla barca “fantasma” con 58 persone). 

Marocco-Spagna (Ceuta), 20 dicembre 2019

Si è persa ogni traccia di un giovane algerino, Hama Hamza Chroud di 30 anni, che ha tentato di raggiungere l’enclave spagnola di Ceuta a nuoto dal Marocco. La scomparsa risale al 2 novembre, ma se ne è avuta notizia solo dopo più di un mese, quando i familiari, attraverso la redazione de El Faro de Ceuta, hanno rivolto un appello disperato per le ricerche alle autorità spagnole e marocchine. Sono stati i familiari stessi a ricostruire la storia di Hamza. Il giovane li ha contattati la sera del 2 novembre per comunicare che, insieme a un amico, avrebbe tentato di nuotare fino a Ceuta partenda dalla spiaggia di Castillejos. Da quel momento più nulla. Tutto quello che si sa lo ha raccontato l’amico che ha tentato la sorte con lui, anch’egli algerino. I due giovani sono partiti intorno alle 23. La distanza da percorrere non è molta: poco più di due chilometri, tenendo conto che era necessario allontanarsi parecchio dalla riva per non essere notati. Entrambi, inolte, si erano attrezzati con mute da sub per difendersi dal freddo. Il mare però era molto agitato e c’erano forti correnti contrarie. “Dopo un po’ – ha raccontato l’amico – io ho desistito, decidendo di tornare indietro. Hamza, invece, ha voluto proseguire: quando l’ho lasciato era ancora al largo. Poi non lo ho più visto”. Sia la famiglia che l’amico hanno sperato per giorni, settimane, che ce l’avesse fatta e che prima o poi si facesse vivo. A distanza di un mese e mezzo, però, si sono decisi a segnalarne la scomparsa.

(Fonte: El Faro de Ceuta) 

Marocco-Spagna (isole Chafarinas), 20 dicembre

Un giovane subsahariana è morta poco dopo essere fortunosamente sbarcata alle isole Chafarinas insieme ad altri sette migranti, 3 donne e 4 uomini. La distanza dalla costa marocchina all’arcipelago spagnolo non è grande, ma il mare era molto agitato e la traversata è stata difficile e pericolosa, tanto che il piccolo gruppo è riuscito a raggiungere a stento una delle isole più piccole e disabitata. Le autorità spagnole hanno riferito che non è stato possibile organizzare subito un recupero dal continente a causa delle condizioni meteomarine quasi proibitive, con forte vento, freddo e onde alte più di qualche metro. I soccorsi sono arrivati da una pattuglia del presidio militare dell’arcipelago, che ha trasferito tutti nell’isola Isabela, una delle maggiori, ma per la giovane era ormai tardi. Nello stesso giorno ha raggiunto l’arcipelago un altro gruppo più grande, 31 persone. Anche di questi migranti si è occupato il presidio militare, in attesa del trasferimento a Melilla.

(Fonte: El Faro de Melilla, siti web Caminando Fronteras ed Helena Maleno)

Serbia-Croazia (frontiera del Danubio), 23 dicembre 2019

Sei dispersi dopo che una barca carica di migranti si è rovesciata nel Danubio nel tratto che segna il confine tra la Serbia e la Croazia. Il battello è partito dalla riva serba, nei pressi del villaggio di Karavukovo, poco dopo l’alba, con a bordo non meno di 12 profughi decisi a raggiungere la Croazia e, dunque, l’Unione Europea. Non era ancora arrivato al centro del fiume quando, forse a causa di una manovra sbagliata, si è rovesciato, scaraventando tutti in acqua. Sei persone, tra cui sembra due bambini e qualche donna, sono socmparse sott’acqua, trascinate via dalla corrente. Altri sei naufraghi sono riusciti a tornare a nuoto sulla sponda serba, dando l’allarme. La polizia ha fatto scattare una serie di ricerche, sia sul fiume verso valle che lungo la riva ma senza esito. Non è escluso che le vittime possano essere anche di più perché, secondo fonti citate dalla stampa locale, forse a bordo erano non in 12 ma in 15.

Altri 8 morti nei fiumi balcanici. Prima di questo naufragio nel Danubio, almeno altri 8 profughi sono annegati in fiumi o laghi, lungo la rotta balcanica, tra i mesi di ottobre e novembre, nel tentativo di entrare nel territorio dell’Unione Europea. Lo ha riferito un servizio giornalistico scritto da Stefano Giantin da Belgrado e pubblicato dal quotidiano La Stampa il 27 dicembre. La fonte principale delle notizie raccolte da Giantin è Rados Djurovic, direttore dell’Asylum Protection Center di Belgrado. Due le vittime di ottobre, inghiottite dalle acque di un lago nei pressi della piccola città di Sid, nella provincia serba della Voivodina, a circa cinque chilometri dal confine con la Croazia. Sei morti, invece, nel mese di novembre, in due distnti episodi: il primo, con 2 vittime, nel fiume Kupa (Kolpa in sloveno), nel tratto compreso tra le città di Vorbovsko (Croazia) e Metlica (Slovenia), vicino al confine croato-sloveno; il secondo, con 4 vittime, nel Danubio, all’altezza della città serba di Apatin, sempre nella provincia della Voivodina.

(Fonti: Associated Press, Tv di Stato serba, Anadolu Agency, La Stampa)

Spagna (Ceuta), 25 dicembre 2019

Il cadavere di un migrante è stato trascinato dal mare, a Ceuta, di fronte alla scogliera della baia di Sarchal. A dare l’allarme è stato un passante che ha notato il corpo che flottava tra le onde da un’altura, in una zona conosciuta come Carcel de Mujeres. Poco dopo la salma è stata recuperata da una pattuglia nautica della Guardia Civil e trasferita all’obitorio dell’ospedale per l’autopsia. Il corpo è in avanzato stato di decomposizione, tanto che non è stato possibile neanche stabilire se si tratti di un giovane subsahariano o maghrebino. Evidentemente è rimasto a lungo in acqua e la morte, di cui si ignorano le circostanze, risale a diversi giorni prima della scoperta della salma. La polizia ha avviato una indagine per risalire all’identità o quanto meno alla provenienza della vittima partendo da eventuali denunce di sparizione.

(Fonte: El Faro de Ceuta)     

Marocco-Spagna (mare di Alboran), 25 dicembre 2019           

Si è persa ogni traccia di un migrante maghrebino caduto in acqua nel Mare di Alboran: stava tentando di raggiungere l’Andalusia dal Marocco a bordo di un canotto pneumatico giocattolo. A dare l’allarme è stato l’amico con cui si era imbarcato la sera del 24 dicembre, portato in salvo da una motovedetta della Guardia Civil, impegnata nella ricerca di una barca con almeno 16 persone a bordo segnalata da una Ong. Quando è stato intercettato, al largo della costa di Adra, circa 50 chilometri a ovest di Almeria, il battellino era alla deriva ormai da ore. “Eravamo in due – ha detto – Il mio compagno è caduto in mare molto tempo fa. Ho cercato di afferrarlo, ma non ci sono riuscito”. E’ subito scattata una operazione di pattugliamneto a largo raggio, condotta dalla Salvamar Hamal e da un elicottero del Salvamento Maritimo spagnolo. Le ricerche, interrotte dopo il tramonto, sono riprese all’alba del 26 dicembre ma senza alcun esito.

(Fonte: Europa Press) 

Grecia (Mouries), 25-26 dicembre 2019

Due richiedenti asilo, un afghano e un iracheno, si sono suicidati durante le feste di Natale a Mouries, un villaggio di circa 3.500 abitanti al confine con la Macedonia, nel Comune di Kilkis. I due, bloccati mentre cercavano di varcare la frontiera puntando verso l’Europa centrale attraverso la via balcanica, erano alloggiati da tempo in un albergo che ospita oltre 350 rifugiati. Non è chiaro se i due abbiano deciso insieme di farla finita. Sembra scontato comunque che alla base ci sia la disperazione con cui molti profughi vivono il blocco subito e i lunghi tempi di attesa per poter riprendere il viaggio o vedere esaudita la loro richiesta di asilo. Di certo colpisce che le due tragedie si siano verificate quasi nelle stesse ore, sia pure in luoghi diversi. Il rifugiato afghano, 32 anni, padre di due bambini, è stato trovato impiccato sotto un ponte, alla periferia di Mouries, la mattina di Natale. L’iracheno, di 30 anni, anche lui impiccato, è stato scoperto il giorno successivo, 26 dicembre, dal compagno di stanza, in un corridoio appartato dell’albergo dove alloggiava. La notizia è stata comunicata dal Greek Forum of Refugees.

(Fonti: Greek Reporter, Agenzia France Press, Naharnet Newsdesk, Infomigrants, Time of Israel)

Turchia (Adilcevaz, lago Van), 26 dicembre 2019

Sette morti nel naufragio di un battello carico di profughi afghani, pakistani e bengalesi nel lago Van, nella parte orientale della Turchia. Secondo le indagini della polizia, è probabile che il gruppo di profughi, 71 in tutto, dopo aver varcato la vicina frontiera con l’Iran, sia stato imbarcato dai trafficanti, la sera del 25 dicembre, da una spiaggia della sponda sud-est del lago per proseguire verso ovest senza il rischio di incappare nei frequenti posti di blocco organizzati dalla polizia lungo la rete stradale della zona, che è uno dei principali punti di transito dei migranti provenienti dal confine iraniano ed iracheno. Il battello, del tipo usato in genere per le gite turistiche, ha attraversato tutto il lago: stava accostando verso la città di Adilcevaz, sulla sponda nord ovest, provincia di Bitlis, quando, verso le tre del mattino, forse a causa del sovraccarico o di una manovra sbagliata, si è rovesciato di colpo. Alcuni hanno raggiunto la riva a nuoto, lanciando l’allarme. I soccorritori hanno recuperato 5 corpi ormai senza vita e 66 naufraghi, molti dei quali in gravi condizioni, tanto da dover essere ricoverati all’ospedale di Adilcevaz. Poche ore dopo, due sono morti per ipotermia e sintomi da annegamento. Il totale delle vittime è così salito a 7. Stando al racconto dei superstiti, non dovrebbero esserci anche dei dispersi.

(Fonte: Al Jazeera)  

Libia (costa occidentale), 29-30 dicembre 2029

Non si hanno più notizie di una barca con a bordo 45 persone salpata dalla Libia tra il 29 e il 30 dicembre. L’allarme è stato lanciato nel pomeriggio del 31 dicembre da Alarm Phone, a cui si è rivolto un pescatore libico. “Oggi un pescatore – si legge nella prima segnalazione diramata dalla Ong – ci ha detto di aver avvistato una barca in pericolo con circa 45 persone partite dalla Libia due giorni fa. Dice che non potevano chiamare soccorsi, che il motore era in avaria e che le onde erano altissime. Ha chiamato le autorità libiche ma erano irraggiungibili”. Alarm Phone si è subito attivata, parlando a sua volta “con la Guardia Costiera, con l’autorità libica, le organizzazioni internazionali” e di nuovo con il pescatore, ma nessuno ha saputo fornire altre informazioni. Stando alle ricerche dei giorni successivi non risulta che quella barca sia statta soccorsa o che sia approdata da qualche parte. Nulla a più di 74 ore di distanza e anche nelle prime settimane di gennaio, tanto da indurre a concludere che si sia verificato un ennesimo “naufragio fantasma”, con 45 dispersi. Tra l’altro le ricerche, condotte in particolare dalla Sea Watch 3, che ha raggiunto appena possibile la zona segnalata, sono state fortemente ostacolate dalle pessime condizioni meteomarine, che hanno impedito di levarsi in volo al piccolo aereo da ricognizione dei volontari che collaborano con la Ong.

(Fonte: sito web e rapporto annuale di Alarm Phone, Fanpage, Il Fatto Quotidiano, Repubblica, La Stampa)

Spagna (Ceuta), 30 dicembre 2019

Il cadavere di un migrante maghrebino è stato trascinato dal mare, a Ceuta, sulla costa rocciosa di Calamocarro. Recuperato da una squadra del servizio marittimo della Guardioa Civil, è stato trasferito all’obitorio del cimitero di Santa Catalina, a disposizione dell’autorità giudiziaria. Non sono stati trovati documenti né altri elementi utili all’identificazione, ma a confermare che deve trattarsi di un migrante è anche il fatto che al corpo erano assicurate alcune bottiglie di plastica vuote, legate insieme e usate come galleggiante, un sistema adottato da altri giovani maghrebini o subsahariani per tentare di arrivare a Ceuta a nuoto dal territorio marocchino o per cercare di raggiungere e issarsi clandestinamente su qualcuna delle navi in porto dirette verso la Spagna. Sul cadavere sono state riscontrate delle lesioni, ma è molto probabile che siano successive alla morte: dovrebbero essere state provocate dai ripetuti urti contro gli scogli per l’azione delle onde e della risacca.

(Fonte: El Faro de Ceuta, Ceuta Actualidad) 

Algeria (Annaba-Bona), 30 dicembre 2019

Un giovane algerino morto e due in gravi condizioni in seguito al naufragio di una barca carica di migranti la sera del 30 dicembre. Il natante, uno scafo di pochi metri, era partito qualche ora prima dalla costa di Annaba (Bona o Bouna), nel nord est dell’Algeria, non distante dal confine con la Tunisia. A bordo erano in dodici: è probabile che, visto il punto di imbarco, puntassero verso la Sardegna. Non hanno fatto molta strada. Dopo poche miglia il battello pare abbia avuto un’avaria, cominciando ad imbarcare acqua e ad affondare. L’allarme è stato lanciato dall’equipaggio di una petroliera algerina, la M/T Hassi Touareg, di proprietà della compagnia nazionale Hypros Sc che, avvistata al largo la barca in difficoltà, ha avvertito il comando marittimo di Bona. I soccorsi sono arrivati da alcune unità della Marina algerina, che hanno recuperato in mare 11 naufraghi e il corpo senza vita del dodicesimo. La salma, dopo lo sbarco, è stata traasferita all’obitorio dell’ospedale Ibn Rochd di Bona. La morte è avvenuta per ipotermia. Con la stessa diagnosi sono stati ricoverati, entrambi in gravi condizioni, 2 degli 11 naufraghi tratti in salvo.

(Fonte: El Watan)   

Libia (Bani Walid), 31 dicembre 2019 – inizio gennaio 2020     

Tredici cadaveri di migranti sconosciuti nell’obitorio dell’ospedale di Bani Walid, circa 150 chilometri a sud est di Tripoli. Lo ha comunicato la direzione dell’ospedale stesso all’inizio del 2000, in una nota ripresa dal quotidiano Libya Observer il 7 gennaio. La notizia è stata diffusa in occasione della sepoltura di 7 delle 13 salme. La direzione ha precisato, in particolare, che prima dell’inumazione ognuna delle vittime è stata fotosegnalata e ne sono stati prelevati campioni di sangue per il dna in modo da facilitare le ricerche e il riconoscimento da parte di eventuali familiari. La stessa procedura è stata adottata per gli altri 6 corpi, per i quali, al 7 gennaio, si era in attesa del nulla osta dell’autorità giudiziaria per poterli seppellire a loro volta. Il comunicato non specifica da dove e quando siano stati portati nell’obitorio dell’ospedale i 13 cadaveri. Sembra scontato però che vi siano arrivati in circostanze e momenti diversi, parecchie settimane o addirittura mesi prima dell’annuncio. Escluso, vista la distanza dal mare, che si tratti delle salme di giovani annegati recuperati lungo la costa libica, la morte di quei tredici ragazzi potrebbe essere verosimilmente legata ai rischi delle vie di fuga attraverso il deserto, ad angherie dei trafficanti o alla situazione del centro di detenzione di Bani Walid, uno dei campi dove le condizioni di vita dei migranti prigionieri sono più terribili, un autentico lager più volte messo sotto accusa da varie Ong e da inchieste della magistratura internazionale e anche italiana.

(Fonte: Libya Observer del 7 gennaio 2020)