Zuwara ultimo anello di una strage infinita che chiama in causa le responsabilità italiane
di Emilio Drudi
“All’arrivo sul posto il nostro aereo ha individuato un gommone parzialmente sgonfio. La maggior parte delle persone sono state trovate in acqua. Erano in grave pericolo a causa delle condizioni meteorologiche avverse, con onde che raggiungevano altezze di 2,5 metri”. Così l’agenzia Frontex ha descritto il naufragio avvenuto la notte tra giovedì 14 e venerdì 15 dicembre al largo di Zuwara. Degli 86 migranti che erano a bordo, 61 risultano dispersi e 25 sono stati riportati in Libia. Respinti.
Il canotto era partito dalla costa africana la notte di mercoledì 13 dicembre. Stracarico e con il mare molto mosso, si è trovato subito in difficoltà. A dare l’allarme, intorno alle 17 di giovedì 14, è stata la Ong Alarm Phone, che ha contattato la centrale operativa Mrcc Italia, oltre che Malta e la Guardia Costiera libica. Il coordinamento delle operazioni è stato assunto da Mrcc Italia, che nella tarda serata ha chiesto a Frontex di verificare la situazione. Ma quando Frontex ha avvistato il gommone la tragedia era già in atto. Solo in quel momento, verso le 20,30 è scattata la procedura Immarsat per le emergenze. Poco più di un’ora dopo è stata mobilitata la Vos Triton, una delle navi a servizio della piattaforma petrolifera di Zuwara, che è stata la prima e unica nave ad arrivare sul posto per i soccorsi, in piena notte, trovando solo 25 naufraghi ancora in vita.
Ci sono almeno due punti da chiarire. Il primo è quando esattamente e in che termini Mrcc Italia abbia allertato Frontex e, soprattutto, perché non sia stato diramato subito, già alle 17, un dispositivo Immarsat di ricerca e soccorso a tutte le navi presenti a distanza utile per poter operare in quel tratto di Mediterraneo. Che si trattasse di una situazione di rischio estremo, infatti, appariva evidente da subito: un gommone stracarico, che sta imbarcando acqua in mezzo a un mare con onde alte fino a 2,5 metri è di per sé una condizione di pericolo estremo. E, a parte eventuali unità commerciali che avrebbero potuto essere mobilitate diverse ore prima della Vos Triton, fa riflettere che fino al giorno prima c’era in zona la nave Ong Ocean Viking, la quale però, in base all’assurdo decreto italiano sulle Ong, che impone “un solo salvataggio per volta”, aveva dovuto fare rotta praticamente vuota verso l’Italia per sbarcare 26 naufraghi ed era ormai troppo lontana quando si è verificata la tragedia di Zuwara. Se fosse stata ancora in quelle acque, captato l’Sos di Alarm Phone, sicuramente sarebbe intervenuta per tentare di portare in salvo almeno parte di quei 61 migranti inghiottiti dal mare. C’è da chiedersi, allora, se anche in questo caso, come è accaduto con la tragedia di Cutro, le autorità italiane, anziché predisporre una operazione di ricerca e soccorso a fronte di una emergenza in mare, non abbiano deciso di predisporre invece un intervento di controllo e “difesa dei confini”, con l’obiettivo di bloccare e respingere una barca carica di “clandestini”. Un intervento di “polizia di frontiera”, insomma, anziché di salvataggio. Salvo cercare di rimediare in extremis mobilitando la Vos Triton. E’ andata così? C’è da temerlo.
Il secondo punto riguarda il trasferimento e lo sbarco a Tripoli dei 25 superstiti ad opera della Vos Triton. Si tratta, di fatto, di un respingimento di massa indiscriminato che ha condannato 25 persone proprio a quell’inferno da cui erano riuscite a fuggire: di loro, ora, si sa solo che, appena toccata terra, sono state rinchiuse nel centro di detenzione di Tarik al Sika. Nulla sulle loro storie e sul loro diritto di chiedere asilo o comunque una forma di tutela umanitaria internazionale. La legge del mare e il diritto internazionale sono più che eloquenti in proposito: nessun migrante può essere respinto a priori, senza ascoltarne le ragioni, mentre ogni salvataggio si conclude soltanto nel momento in cui i naufraghi vengono condotti e fatti sbarcare “nel più vicino posto sicuro”. E va da sé che l’intera Libia – con i suoi lager per i migranti, il dominio delle milizie, lo strapotere dei trafficanti, il coinvolgimento non di rado diretto di “pezzi dello Stato” nel mercato di esseri umani – non può in alcun modo essere considerata un “posto sicuro”: ci sono decine di rapporti dell’Onu, oltre che di tutte le Ong, a denunciarlo e a dimostrarlo ormai da anni. Senza contare diverse sentenze della stessa magistratura italiana ed internazionale. La violazione dei diritti fondamentali di quei 25 disperati, dunque, appare più che evidente.
C’è da chiedersi, alla luce di questa terribile realtà, come mai la Vos Triton abbia puntato la prua su Tripoli. Non sembra credibile che una decisione simile, che prospetta un crimine contro l’umanità, sia stata presa autonomamente dal comandante. Ma, allora, chi ha dato questa disposizione? Forse proprio Mrcc Roma, che ha lanciato il primo allarme e coordinato tutta l’operazione? E’ essenziale avere una risposta rapida e chiara. Tanto più che non è la prima volta che navi adibite al servizio della piattaforma petrolifera di Zuwara si comportano in questo modo. Uno dei casi più clamorosi riguarda proprio la Vos Triton, la quale, nel giugno 2021, ha consegnato a una motovedetta libica i circa 200 naufraghi recuperati da un barcone alla deriva, dopo averli tenuti a bordo per ore, immobile in mezzo al Mediterraneo, proprio in attesa dell’arrivo della Guardia Costiera di Tripoli per il trasbordo forzato e il conseguente respingimento in Libia.
Il Comitato Nuovi Desaparecidos ha chiesto spiegazioni su questo episodio assurdo del 2021 al ministero della Difesa e a quello delle Infrastrutture, da cui dipendono la Guardia Costiera e la centrale Mrcc. Il Tar ha sostenuto questa richiesta. Ma le autorità italiane hanno negato qualsiasi tipo di informazione, trincerandosi dietro il “segreto di stato”. La partita non è ancora chiusa. E quanto è accaduto la notte tra giovedì 14 e venerdì 15 dicembre, pochi giorni fa, al largo di Zuwara, dimostra quanto sia essenziale risolverla ed avere finalmente una risposta. Perché l’episodio del giugno 2021 è emblematico di comportamenti e scelte che calpestano il diritto internazionale ma continuano a ripetersi: lo dimostra ora anche la strage di Zuwara, ultimo anello di una catena sempre più lunga. Così come, nel febbraio scorso, quella di Cutro.
Ecco, ora più che mai è necessario fare chiarezza e chiamare in causa le responsabilità della politica di chiusura e respingimento sempre più rigida e mortale condotta dall’Italia nei confronti di profughi e migranti. E, naturalmente, anche le responsabilità di chi questa politica la applica in concreto. In nome delle 61 vite spezzate al largo di Zuwara. Delle oltre cento di Cutro. Delle tantissime altre stroncate in situazioni simili. E, ancora, in nome di tutti i disperati riconsegnati all’inferno libico. Ma anche per la dignità stessa del nostro Paese e per il rispetto dei valori e dei diritti che sono alla base della Costituzione Repubblicana.
Nella foto: Il trasbordo forzato dei naufraghi dalla Vos Triton a una motovedetta libica nel giugno 2021