Storie

In Procura il respingimento in mare del 14 giugno 2021. Riflessi anche sulla recente strage di Zuwara?

di Emilio Drudi

Si fa strada la possibilità di far luce sull’oscuro respingimento collettivo in mare che ha coinvolto quasi 200 profughi/migranti all’inizio dell’estate 2021. Ogni tentativo di capire su chi ricadano le responsabilità per questo controversa vicenda – uno degli episodi più gravi e “silenziati” tra i tanti, tantissimi che si verificano da anni nel Mediterraneo centrale, grazie agli accordi tra Roma e Tripoli – si è finora scontrato contro il muro eretto dalle autorità politiche e militari italiane. Ora, grazie al coraggio di due delle vittime, il caso è stato sollevato di fronte alla Procura di Roma.

I fatti risalgono al 14 giugno 2021. Quella mattina, quando vedono una grossa nave rossa avvicinarsi, Mosab e Adam, due ragazzi sudanesi, pensano che stia arrivando la salvezza. Sono, con altri 170 profughi, su un barcone partito quasi due giorni prima dalla Libia ma rimasto alla deriva per un guasto al largo di Zuwara, oltre la piattaforma petrolifera che si incontra in acque internazionali navigando verso Lampedusa. A bordo la situazione è drammatica: mancano acqua e cibo, alcune donne si sentono male, il sovraffollamento rende pericoloso anche il più piccolo movimento delle persone ammassate l’una sull’altra, minacciando di compromettere il già precario equilibrio dello scafo, reso ancora più instabile dalla totale ingovernabilità che lo espone al capriccio delle correnti.

E’ questo il quadro che viene descritto dai naufraghi alla centrale operativa della Ong Alarm Phone quando alle 2,17 riescono a mettersi in contatto per lanciare il primo Sos. E Alarm Phone, stabilita la posizione esatta del barcone, rilancia subito la richiesta di aiuto, contattando prima Malta, alle 3,43, e poi Roma alle 7,56. Contemporaneamente vengono aggiornate di continuo anche l’agenzia Frontex e l’Unhcr. Passano quattro ore e finalmente, alle 11,54, il ministero della difesa italiano comunica che “un rimorchiatore” sta raggiungendo la zona per i soccorsi. Il dispaccio non lo precisa, ma quel “rimorchiatore” è la Vos Triton, una delle unità a servizio della piattaforma petrolifera, che naviga sotto bandiera di Gibilterra ma di cui è responsabile l’ufficio italiano della società olandese Vroon. Proprio la nave rossa che, comparendo all’orizzonte, ha acceso il cuore di speranza a Mosab, ad Adam e a tutti gli altri profughi sballottati dalle onde in mezzo al Mediterraneo.

Verso le 13 la Vos Triton è ormai a breve distanza ma, anziché accostare e trarre in salvo i naufraghi, si ferma ad alcune centinaia di metri. Immobile. Dal barcone non capiscono cosa stia accadendo. Più il tempo passa più crescono la delusione e l’inquietudine. Fino a che otto ragazzi, tra i quali anche Mosab, decidono di buttarsi in acqua per raggiungere a nuoto quella strana nave. La scena viene ripresa da Sea Bird, il piccolo aereo da ricognizione della Ong Sea Watch, che nel frattempo ha raggiunto la zona e continua a sorvolarla filmando tutto quello che accade da quel momento in poi.

E quello che accade ha dell’incredibile. La Vos Triton è costretta a prendere a bordo gli otto che l’hanno raggiunta a nuoto e poi non può che decidere di avvicinarsi e agganciare il barcone per recuperare tutti i naufraghi, ormai esausti. Sembra fatta: ci sarebbe da aspettarsi che ora la nave punti la prua verso Lampedusa, che è il “porto sicuro” più vicino. E invece no: resta ancora in stallo, come in attesa, con i profughi radunati sul ponte e con il barcone assicurato a una fiancata da un cavo. Per ore. Fin quasi alle 18,30 quando da sud arriva e accosta la motovedetta 656 Zawiya (una delle unità cedute alla Libia dall’Italia) sulla quale Mosab, Adam e tutti gli altri vengono costretti a trasbordare per essere ricondotti nell’inferno libico da cui erano riusciti a fuggire e dove – come hanno più volte dichiarato anche nei messaggi di richiesta d’aiuto lanciati per ore – non vogliono assolutamente ritornare.

Si tratta di un evidente respingimento di massa indiscriminato, effettuato in tandem tra la Vos Triton e la Zawiya. Ma è difficile pensare che il comandante della Vos Triton abbia agito di propria iniziativa, violando palesemente la legge del mare, la convenzione di Ginevra del 1951 e il diritto internazionale sulla tutela dei profughi e richiedenti asilo. Ma se, come tutto lascia credere, non è stata una sua iniziativa autonoma, chi gli ha impartito quelle disposizioni? La notizia che la Vos Triton si stava dirigendo sul luogo dell’emergenza è stata data da Roma ad Alarm Phone. Allora il respingimento è stato disposto e coordinato da Mrcc Italia?

Proprio per dare una risposta a questa domanda terribile il Comitato Nuovi Desaparecidos ha presentato in quei giorni una richiesta di chiarimenti, tramite un “accesso agli atti”, sia al ministero della Difesa che a quello delle Infrastrutture, da cui dipendono la centrale Mrcc e la Guardia Costiera. Nessuna risposta: “segreto di Stato”. Ma il Tar, mesi dopo, ha stabilito che non si poteva opporre il silenzio di fronte alla necessità di chiarire chi e perché si fosse assunto la responsabilità di decisioni che hanno stravolto la volontà e sconvolto la vita di quasi duecento persone, disperati che stavano bussando alle porte della Fortezza Europa per chiedere aiuto in base al diritto internazionale. Era forse la prima volta che il “segreto di Stato” veniva messo in discussione per casi del genere. Ma in extremis, proprio allo scadere del periodo stabilito dal Tribunale Amministrativo per dare delle risposte, i due ministeri hanno fatto ricorso al Consiglio di Stato, che quasi un anno dopo ha bloccato tutto di nuovo, ribadendo la possibilità di “tacere”, da parte dello Stato, e invocando addirittura “ragioni di sicurezza” e di rapporti diplomatici internazionali.

Neanche questa sentenza, però, ha chiuso il caso. Grazie, come si è accennato, al coraggio di Mosab e Adam i quali, anche in nome degli altri ragazzi che erano sul barcone, si sono rivolti alla Procura di Roma, dopo essere stati rintracciati da un pool di organizzazioni: l’Associazione Giuristi per l’Immigrazione (Asgi), il Comitato Nuovi Desaparecidos, Open Arms, Progetto Diritti, Sea Watch, Mediterranea, Jl Project e Alarm Phone. Quello che è accaduto a entrambi dal giugno 2021 è la dimostrazione palese di quali effetti abbiano i respingimenti sui profughi riconsegnati all’inferno della Libia e dei suoi lager. E di quanto siano pesanti le responsabilità, dirette e indirette, di coloro che li attuano materialmente o magari li danno in appalto alla cosiddetta Guardia Costiera libica.

Secondo quanto ha lui stesso riferito quando è stato rintracciato, Mosad, subito dopo lo sbarco a Tripoli, contrariamente a quanto si aspetta, viene rilasciato. Ancora incredulo, si allontana dall’area portuale e raggiunge una delle piazze dove si radunano e dove vengono reclutati i migranti per qualche lavoro occasionale. E’ arrivato da poco quando dei poliziotti, accertato che è sudanese, lo conducono nella prigione di Qaryan. Una detenzione incubo che dura per più di un anno. Il cibo, scarso e di pessima qualità, viene distribuito una sola volta al giorno. Perfino l’acqua da bere è scarsa e per di più salmastra. E ogni momento è scandito dalla paura costante di prepotenze, soprusi, violenze. Finalmente, convincendo una delle guardie a prestargli il cellulare, riesce a contattare l’Unhcr per chiedere aiuto, spiegando le condizioni disperate in cui si trova. Non cambia nulla. E del resto sono tantissimi i suoi compagni di prigione in possesso dei documenti Unhcr che attestano il loro status di richiedenti asilo ma che non riescono a ricevere alcun aiuto. Passano i mesi e le autorità libiche lo trasferiscono nel centro detenzione di Zuwara, a Mellitah, dove resta per oltre tre mesi, fino all’ultima settimana di novembre 2022. Il 24, un martedì, dopo quasi un anno e mezzo di carcere, viene caricato su un autobus insieme a molti altri profughi e portato nel deserto, in una zona vicina al confine con il Sudan e l’Egitto: un fazzoletto di territorio libico dove ci sono numerosi bus e centinaia di migranti di varie nazionalità in attesa di essere smistati.

Mosab racconta di aver subito intuito che lo stanno espellendo in Sudan e di essere riuscito un’ultima volta a contattare per telefono l’ufficio Unhcr di Tripoli, per insistere che si trattava di un rimpatrio forzato, contro la sua volontà. Tutto inutile. Di lì a poco viene scaricato nel Sahara, oltre il confine sudanese. E’ l’inizio di dicembre 2022. Dopo dodici giorni riesce ad arrivare verso Khartoum e infine cerca rifugio a Port Sudan, dove vive ora in condizioni estremamente precarie, specie da quando, nell’aprile scorso, è scoppiata la guerra civile: non ha un alloggio, deve spostarsi continuamente da un edificio abbandonato all’altro dove trovare riparo, ha già subito un’aggressione e vive costantemente nella paura di essere rintracciato e ucciso da miliziani avversi alla sua tribù.

Adam non conosce Mosad ma si ricorda di lui: “Era nella parte centrale del barcone. Io era a prua”, ha riferito. Lui è ancora a Tripoli. Poco dopo lo sbarco è riuscito a fuggire e non si è più fatto riprendere. Ora vive nascosto nei sobborghi della città, cercando mille espedienti per tirare avanti e correre meno rischi possibile. Sempre con la paura di essere catturato, arrestato e, nella migliore delle ipotesi, espulso nel Sudan dove la guerra totale che sconvolge l’intero paese, ma in particolare Khartoum e il Darfur, ha già provocato circa 10 mila morti e 4 milioni di profughi o sfollati, in un caos totale dove nessuno può considerarsi al sicuro.

Ecco, è a questo genere di inferno che sono stati consegnati Mosad, Adam e più in generale i profughi/migranti intercettati su quel barcone stracarico e respinti in Libia il 14 giugno 2021. Non è accettabile che nessuno sia chiamato a risponderne. Trincerandosi magari dietro un comodo “segreto di Stato” che finisce per coprire anche il comandante e la compagnia della Vos Triton.

“Interpellato dal quotidiano Avvenire durante il respingimento – dice Arturo Salerni, uno degli avvocati che hanno sollevato il caso di fronte alla magistratura – l’amministratore delegato della società di navigazione si è rifiutato di fornire notizie e chiarimenti su quanto stava accadendo. Ora, appena si aprirà il procedimento presso la Procura di Roma, però, sarà costretto a parlare. A maggior ragione sarà obbligato a farlo il comandante della nave. E allora emergeranno con precisione le responsabilità di chi ha impartito gli ordini e di chi li ha eseguiti senza porsi minimamente alcun problema, né di natura legale né di natura etica. Così come mergeranno le responsabilità di chi ha progressivamente creato l’attuale clima politico, denso di pressioni indebite, che, come ha rilevato con amarezza l’ammiraglio Vittorio Alessandro, a lungo portavoce della Guardi Costiera, finisce per pesare spesso anche sulle scelte in mare fatte dalla Marina e dalla stessa Guardia Costiera”.

Di più. Si tratterà di risposte molto significative non solo per l’episodio del giugno 2021 ma, più in generale, per i numerosi respingimenti che continuano ad essere effettuati nel Mediterraneo centrale. Proprio negli ultimi giorni, la notte tra il 15 e il 16 dicembre, c’è stato, in particolare, un episodio ancora più grave, che chiama in causa Mrcc Italia: la strage di Zuwara, con 61 morti nel naufragio di un gommone e 25 superstiti riportati in Libia anche in questo caso dalla Vos Triton. Una tragedia su cui gravano almeno due interrogativi: l’enorme ritardo nei soccorsi, decisi a quanto pare solo quando il battello pneumatico era ormai semi affondato e, secondo punto, da chi e come mai sia stata data disposizione di sbarcare i naufraghi a Tripoli anziché a Lampedusa, il “posto sicuro” più vicino. Lo ha deciso il comandante della Vos Triton o il comandante ha obbedito a un ordine? Ed eventualmente, chi ha impartito un ordine del genere? O, ancora, perché non sono state mobilitate altre navi prima della Vos Triton? Il procedimento giudiziario sul respingimento del 14 giugno 2021 potrebbe essere illuminante in proposito. Perché tutto fa sospettare che i due episodi obbediscano alla stessa linea di condotta. E alla stessa logica. Una logica per la quale la vita umana non conta nulla.

Nella foto: il barcone con oltre 170 profughi agganciato alla Vos Triton nel giugno 2021