Storie

Il Niger non vuole più essere gendarme di migranti: crolla un pezzo di frontiere Ue sternalizzate

di Emilio Drudi

E’ crollato un muro. Anzi, il pilastro del “palazzo dell’esternalizzazione” delle frontiere costruito dall’Unione Europea per bloccare o almeno contenere il flusso dei migranti, africani e non solo. Lo ha fatto crollare il governo militare del Niger, guidato dal generale Abdurahamane Tehiani, annullando l’accordo con Bruxelles che faceva del paese il principale hub dove fermare e concentrare le migliaia di disperati che cercano di arrivare in Libia o in Algeria nella speranza di trovare poi un imbarco per arrivare a bussare alle porte della Fortezza Europa.

Quell’accordo è stato firmato all’indomani della cosiddetta “crisi dei rifugiati” del 2015, quando sono arrivati in Europa quasi un milione e centomila profughi/migranti. L’anno non era ancora finito che la Ue, subito dopo il vertice convocato a Malta in novembre, ha puntato su due progetti. Il primo è il più noto: il patto con la Turchia, firmato nel marzo 2016, con cui Erdogan, in cambio di 6 miliardi di euro, si è impegnato a blindare la frontiera marina dell’Egeo e quella terrestre dell’Evros per arginare il gran numero di arrivi in Grecia di richiedenti asilo provenienti per lo più da realtà terribili come l’Afghanistan, la Siria, l’Iraq, il Kurdistan. Non ci si è posti il problema di come quelle persone sarebbero state fermate e di che fine avrebbero fatto. L’unica cosa che importava era che venissero fermate. Il secondo progetto è quello del Niger, che è storicamente uno dei principali crocevia degli itinerari e delle emigrazioni nel cuore dell’Africa e che si doveva trasformare invece in un immenso hub chiuso, con le frontiere militarizzate, in modo da sbarrare tutte le vie di fuga verso il Mediterraneo, fermando i profughi/migranti in pieno Sahara, molto prima di poter avere qualche possibilità di imbarcarsi.

L’intesa è stata trovata nell’ultimo scorcio dell’anno con l’allora presidente nigerino Mohamelou Issofou, che l’ha sancita con una legge entrata in vigore nel 2016.  Mohamed Bazoum, il presidente eletto il due aprile 2021 e deposto dal golpe del 26 luglio 2023, non ha esitato a confermare questa scelta, che ha riempito il Niger di campi precari dove vivono migliaia di persone respinte dalla Libia o dall’Algeria e i tantissimi profughi in fuga dalle guerre, dalle carestie e dai disastri ambientali dell’intero Sahel, ma che non sono riusciti o non hanno neanche provato a proseguire verso altri paesi. In cambio del ruolo di “gendarme del deserto” anti-immigrazione che con questo accordo il Niger si è assunto, l’Europa ha destinato a Niamey, tra il 2014 e il 2020, oltre un miliardo di euro dei cinque totali del Fondo fiduciario per l’Africa. E anche negli anni successivi, fino al colpo di stato, ha continuato a inviare finanziamenti, aiuti, materiali e assistenza tecnica. Inclusi vari contingenti militari, in aggiunta ai grandi presidi già presenti della Francia, l’ex potenza coloniale nella regione, e degli Stati Uniti, che a Niamey hanno la loro più importante base africana per i droni. Tra i “nuovi contingenti” non manca quello dell’Italia, con un reparto dislocato nel nord del paese, proprio dove passano le piste sahariane verso la Libia, con compiti di assistenza e addestramento delle forze di sicurezza locali incaricate di intercettare nel deserto i convogli di migranti.

L’Europa e l’Italia hanno presentato questa operazione come un capitolo fondamentale della lotta contro il mercato di esseri umani, vantando importanti risultati, riassumibili, a partire dal 2017, in 273 reti di contrabbando smantellate, 938 arresti di personaggi sospettati di essere coinvolti nel traffico e 876 contrabbandieri perseguiti. Ma il rovescio della medaglia di questi dichiarati “buoni risultati” solleva non pochi interrogativi. E conferma i timori espressi da più parti fin dal 2016, all’indomani della firma dell’accordo. Le misure di polizia introdotte hanno sconvolto e bloccato la libertà di movimento, incluse le migrazioni interafricane, stagionali o di lungo periodo, in una regione vastissima, che comprende i 15 paesi dell’Ecowas, la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale, rompendo tradizioni e contatti spesso secolari. I contraccolpi maggiori si sono avuti nell’area di Agadez, portando in breve alla rovina un vasto tessuto economico che si basava proprio sulla libertà di movimento e i flussi di transito e di migranti (diretti non solo verso la Libia ma in altre aree africane), offrendo possibilità di trasporto relativamente sicuro, una rete di alloggi e ospitalità, negozi, piccoli ristoranti. “E’ stata una catastrofe economica per il nord del Niger, in un momento di estrema vulnerabilità regionale, che ha decimato un’industria di trasporto di migranti che sosteneva gran parte della regione, remota e trascurata, e che in genere era ben regolamentata per consentire ai migranti di compiere la pericolosa traversata del deserto con scorte di sicurezza e autisti autorizzati dallo Stato”, ha osservato al quotidiano Al Jazeera, Hannh Rae Armstrong, ex analista del Sahel per l’International Crisis.

Va da sé che alla “catastrofe economica” ha fatto seguito un enorme, allarmante dissesto sociale. Per di più il flusso dei migranti attraverso il Sahara, in realtà, non si è fermato. L’unica vera differenza è che la traversata, che generalmente parte da Agadez, è diventata estremamente più rischiosa e mortale. “Per evitare i posti di blocco della polizia e le pattuglie lungo le piste, i contrabbandieri hanno escogitato nuove e più pericolose rotte. Le conseguenze sono morti e sparizioni nel deserto, oltre che centinaia di arresti tra autisti e contrabbandieri”, ha spiegato più volte Azizou Chehou, coordinatore di Alarm Phone Sahara, una Ong con sede ad Agadez che soccorre i migranti e cerca di tutelarne i diritti. Dello stesso parere è Nathaniel Powel, analista per l’Africa presso la società di consulenza geopolitica Oxford Analytica, anche lui intervistato da Al Jazeera: “La legge (del 2016: ndr) ha messo l’esercito e le forze di sicurezza contro i migranti, che vengono abbandonati nel deserto”. Appare evidente il riferimento al fatto che mentre prima i migranti in difficoltà nel Sahara venivano aiutati dalle pattuglie di agenti, dopo l’accordo Ue, per sfuggire ai controlli, sono stati costretti a percorrere itinerari “segreti” e non le piste più battute, con il rischio o di perdersi nel Sahara senza che nessuno ne sapesse più nulla, oppure, quando venivano intercettati, di essere tratti in arresto e finire in carcere. Non a caso il primo atto della giunta militare, appena cancellato l’accordo Ue, è stato un’amnistia, con la liberazione degli autisti e dei contrabbandieri detenuti, molti dei quali sono, in realtà, trasportatori che fino al 2016 svolgevano legalmente il loro lavoro e hanno poi continuato a farlo come “contrabbandieri” quando le vie del deserto e le frontiere sono state militarizzate.

Un altro punto del “rovescio della medaglia”, forse il più importante, è infine che tra la popolazione – non solo della regione di Agadez ma dell’intero Niger – si è diffusa la convinzione che l’accordo sia stato imposto dall’Unione Europea a un governo fin troppo acquiescente. Che, in una parola, si tratti dell’ennesima operazione di sapore coloniale, come dimostrerebbe l’incremento stesso della presenza nel paese di basi militari straniere proprio mentre se ne chiede ormai da tempo la chiusura e l’allontanamento, con manifestazioni di piazza che a Niamey e nelle altre città maggiori hanno visto la partecipazione di migliaia di persone.

La revoca dell’accordo con la Ue decisa dalla giunta militare si basa proprio su queste motivazioni: ripristinare la sovranità del Paese e l’autorità del governo contro” una costrizione colonialista alla libertà del Niger”. Una “lettura” che ha tratto forza anche dal fatto che, all’indomani del golpe sono stati sospesi i finanziamenti europei che, in base all’intesa del 2015, dovevano servire ad arginare la crisi dell’economia “di migrazione” e che, pur avendo in gran parte mancato lo scopo previsto, costituivano comunque un “tampone”. “Quegli aiuti – contestano due giovani nigerini che studiano in Italia – avrebbero dovuto essere la dimostrazione che l’Europa cerca di farsi carico almeno in parte dei sacrifici che ha chiesto al nostro popolo. Il fatto stesso che siano stati sospesi per ‘punire’ la giunta militare che ha rovesciato il presidente Bazoum, dimostra invece che la Ue continua a badare unicamente ai propri interessi. Come nel secolo scorso, ai tempi delle colonie”.

Nei commenti della politica e dei media europei sulla notizia della cancellazione unilaterale dell’accordo del 2015 da parte del Niger prevalgono in massima parte le preoccupazioni per il prevedibile, temuto incremento degli arrivi di migranti alle porte della Fortezza Europa. “Da luglio, quando i militari sono andati al governo – ha scritto Repubblica – la situazione si è assai complicata per richiedenti asilo e rifugiati e il lavoro delle Nazioni Unite ha cominciato ad essere ostacolato… Una situazione che ora, con l’abrogazione della legge che prevede pene severe per il traffico di esseri umani, potrebbe spingere verso Libia e Algeria, e dunque mettere nelle mani delle organizzazioni criminali che lì fanno base, centinaia di migliaia di nuovi migranti pronti a partire per l’Europa”. Ancora più esplicito Ulf Laessing, direttore dell’ufficio regionale della fondazione Konrad Adenauer per il Sahel: “Ora si sta delineando lo scenario dell’orrore per l’Europa”.

Pochi hanno ricordato che, sulla scorta delle perplessità sollevate da numerosi esperti e diplomatici africani e, in particolare, sulla scia delle critiche che l’hanno definita una “prepotente influenza dell’Occidente sull’Africa”, anche l’Ecowass ha dichiarato illegale la legge che nel 2016 ha sancito l’accordo del Niger con la Ue. Così come, almeno finora, non sembra si sia riflettuto granché sulla possibilità tutt’altro che larvata che la decisione della giunta militare di Niamey provochi un effetto domino sugli altri accordi dello stesso genere stipulati in Africa negli ultimi vent’anni, dal Processo di Rabat in poi. Anzi, si continua a difendere la “validità” dell’intesa raggiunta, su pressione italiana, tra la Ue e la Tunisia. Nonostante il presidente Saied abbia più volte dichiarato che, in ogni caso, non intende fare del suo paese “né un hub per migranti, né un gendarme” al servizio del Nord del mondo. Gli stessi concetti espressi dopo la conferenza Ue sull’immigrazione di Lisbona del 2021 dal governo algerino.

Chissà, forse Ulf Laessing, parlando di “scenario dell’orrore”, si riferiva proprio a questo possibile effetto domino. Forse. Certo è, però, che stanno emergendo i nodi creati proprio da quella esternalizzazione delle che ci si ostina a difendere.

Nella foto: la partenza di un pick-up di migranti nel Sahara nigerino