Giustizia

Strage di Melilla, dopo 16 mesi inchiesta sui 70 desaparecidos

La magistratura marocchina ha aperto un’inchiesta sulla sorte delle decine di profughi e migranti, in massima parte sudanesi, scomparsi il 24 giugno dello scorso anno nel corso della strage di Melilla, al varco frontaliero di Barrio Chino, lungo l’altissimo, duplice muro d’acciaio e rotoli di filo lamellato che divide il Marocco dal territorio dell’enclave spagnola.

Si tratta di uno degli episodi più neri della nera tragedia dell’immigrazione negli ultimi anni. Le immagini terribili di centinaia di giovani bloccati con estrema violenza dalle forze di sicurezza di Rabat mentre tentavano di entrare a Melilla e costretti poi a restare per ore distesi a terra senza soccorsi, ai piedi delle barriere, ammassati sotto il sole gli uni sugli altri – molti ammanettati, molti feriti, tanti morenti o già morti – hanno fatto il giro del mondo, suscitando, almeno per qualche attimo, indignazione e condanna. Ci vollero giorni perché le “autorità” marocchine ammettessero la mattanza: almeno 23 morti. Ma per molte Ong le vittime, le vite spezzate, sono state in realtà una quarantina, quasi il doppio. E poi, con il passare dei giorni, è emerso che c’erano anche decine di dispersi: una lista che, alimentata dalle denunce delle famiglie, si è via via allungata, fino ad arrivare a 70.

Settanta ragazzi finiti chissà dove: forse morti anch’essi almeno in parte e magari sepolti di nascosto, forse gettati nel buio di qualche galera e abbandonati a se stessi, condannati a una carcerazione senza processo. Cancellati. Di sicuro, scomparsi: le famiglie e gli amici non ne sanno più nulla da quel terribile 24 giugno 2022. Per questo è salita forte, sempre più forte, la richiesta di verità e giustizia. Da quell’alba grigia sono già passati 16 mesi. Tanto, troppo tempo E questa attesa lunghissima renderà sicuramente più difficili l’inchiesta e l’accertamento dei fatti e delle responsabilità, affievolendo le speranze di poter ritrovare qualcuno di quei desaparecidos. Finalmente, però, qualcosa si è mosso. Merito, in particolare, della sezione di Nador della Ong Association Marocaine des Droits Humains, che non ha cessato un solo istante di battersi per squarciare il mistero che circonda la sorte di quelle decine di ragazzi, coinvolgendo in questa battaglia decine di altre Ong e associazioni per i diritti in tutta Europa.

La stessa Association Marocaine non nasconde che, tardiva com’è, l’inchiesta sarà tutta in salita. Ma è un primo passo concreto su un percorso che può portare molto lontano. Non solo per tentare di ritrovare i ragazzi scomparsi e rassicurare le loro famiglie, ma per ricordare in ogni momento a Bruxelles come ai singoli Stati Ue e ai governi africani associati come “gendarmi” alla scelta di esternalizzare le frontiere della Fortezza Europa, con chiusure feroci e respingimenti ad ogni costo, che c’è chi non si rassegna ai “confini che uccidono”. E non cesserà mai di chiamare in causa chi attua, direttamente o indirettamente, queste politiche di morte. Pretendendo verità e giustizia. E portando davanti a un tribunale gli eventuali responsabili.

Nella foto: migranti stesi a terra, esanimi, di fronte alle barriere di Melilla