Dopo sbarco ItaliaDossier vittime

Dopo sbarco – Italia

Migliaia di vittime tra i profughi in fuga dall’Africa e dal Medio Oriente: lungo le piste che conducono alle sponde meridionali del Mediterraneo, nel deserto, presi a fucilate ai confini o uccisi nei centri di detenzione dei paesi di transito, in fondo al mare, persino nel tentativo di passare le frontiere sempre più chiuse all’interno della Fortezza Europa. Ma ancora non basta: può sembrare assurdo, ma si continua a morire anche quando si pensa di essersi finalmente lasciati alle spalle pericoli e minacce. Si muore, ad esempio, mentre si cerca di lasciare o di non entrare nel limbo infinito dei Cas e dei Cara nei quali i richiedenti asilo sono confinati, in Italia, dall’attuale sistema di accoglienza. Oppure perché, uscendo da uno di questi centri, si incontra la persona sbagliata. O vinti dal peso, dalla disperazione di non vedere più un futuro proprio quando il futuro sembrava a portata di mano. E anche queste vittime stanno aumentando. Certo, è una parte infinitamente minore del terribile censimento dei morti scomparsi nel Mediterraneo o nel Sahara. Ma i morti non sono mai pochi: anche uno solo è una sconfitta dolorosa. Tanto più questi del “dopo sbarco”, presi sotto la tutela dello Stato: sommersi mentre pensavano di intravedere una luce di speranza.

La cronaca

Vittime 2024. Totale: 4

Padova: 6-7 gennaio. Tre tunisini avvelenati da un braciere

Tre giovani tunisini sono morti per le esalazioni di un braciere, a Padova, nel rifugio di fortuna dove avevano cercato un riparo per la notte. Arrivati in Italia nei mesi scorsi, i tre sono finiti a Padova, trovando un alloggio precario presso l’ex istituto Configliacchi il cui stabile abbandonato, in via Reni, nel quartiere Arcella, è da tempo la “casa” di diversi gruppi di migranti. Si sono sistemati in un piccolo locale senza finestre dove la notte del 6 gennaio, per difendersi dal freddo, hanno acceso un fuoco con legname di risulta a cartoni, in un recipiente di alluminio. Poco dopo si sono addormentati. Le esalazioni emanate dal braciere improvvisato hanno saturato la camera, uccidendoli nel sonno. I loro cadaveri sono stati trovati in serata da altri migranti che hanno avvertito la polizia, che è intervenuta verso le 22,30. Due delle vittime sono state identificate: sono un diciottenne e un ventiquattrenne tunisini. Del terzo giovane si sa solo che anche lui è un tunisino.

(Fonte: Padovatoday)

Roma: 3-4 febbraio. Guineano suicida nel Cpr di Ponte Galeria

Un ventiduenne originario della Guinea si è suicidato nella notte tra sabato 3 e domenica 4 gennaio nel Centro per il rimpatrio (Cpr) di Ponte Galeria, nei sobborghi di Roma. Gli agenti di custodia lo hanno trovato impiccato a una grata con un lenzuolo arrotolato per farne un cappio. Il giovane era arrivato qualche giorno prima dal Cpr di Trapani, dove era stato rinchiuso dalla metà di ottobre 2023. “Venerdì – ha riferito l’onorevole Riccardo Magi, segretario di Più Europa – era stato visto disperato da alcuni operatori. Piangeva, diceva che voleva tornare nel suo paese perché aveva due fratelli piccoli di cui occuparsi. Era affranto per questo. Ha lasciato sul muro un ritratto di se stesso, con sotto un testo in cui ha scritto che non resisteva più e sperava che la sua anima avrebbe riposato in pace. Da altri detenuti del suo settore, il 5 del Cpr, è stato visto pregare intorno alle 3. Poi, poco prima delle 5, è stato visto impiccato alla cancellata esterna del reparto”. La notizia della morte del giovane ha provocato una lunga, accesa protesta degli altri migranti detenuti. La senatrice Ilaria Cucchi, vicepresidente della Commisisone Giustizia, ha segnalato di aver depositato da mesi un esposto per denunciare le pesanti condizioni di vita nel Cpr di Ponte Galeria ma di non aver ricevuto alcun riscontro.

(Fonte: Il Fatto Quotidiano, Agenzia Ansa)

 

Vittime 2023. Totale: 3

Milano: 18-19 gennaio. Migrante dal Togo trovato morto di freddo

Un giovane migrante proveniente dal Togo è morto di freddo e sfinimento a Milano. Si chiamava Issaka Coulibaly, ed aveva 27 anni. Erano mesi che cercava di regolare la sua presenza in Italia ma gli è sempre stato risposto che non ne aveva i requisiti, né come rifugiato né come lavoratore. Non aveva un lavoro, non una casa, neanche un letto. Il suo corpo senza vita è stato trovato in via Corelli, di fronte alla ex caserma Mancini, in un edificio abbandonato che di notte serve come rifugio precario per disperati come lui. In tasca un documento con nome e cognome. Nella zona era conosciuto. Giocava come portiere nella squadra dei rifugiati del  St. Abreus ed era considerato molto bravo dai compagni. Del resto, a spingerlo a raggiungere l’Italia era stata in gran parte anche la sua passione per il calcio, nella speranza di potersi affermare in qualche squadra ma non aveva avuto fortuna e a poco a poco è scivolato nel mondo degli “invisibili”, non persone senza diritti. “I giornali parlano di morte naturale a causa del freddo – hanno scritto su Facebook alcuni suoi amici – Ci sono morti per cui si può solo provare enorme dispiacere. Ci sono orti, invece, per cui non si può che provare molta rabbia. Morire di gelo in una città come Milano non può essere classificato semplicemente come morte naturale. Se a Issaka fosse stato concesso di vivere regolarmente, con dei documenti, molto probabilmente non staremmo scrivendo questo post e lui, con una vita regolare, magari starebbe pensando a come ricominciare il campionato dopo la pausa invernale. Issaka è morto di clandestinità, perché quando non ti viene concesso di avere dei documenti, sei costretto a vivere e a morire ai margini della società”.

(Fonte: La Stampa)

Borgo Mezzanone, 23 gennaio. Due migranti uccisi da un braciere

Due giovani migranti, un uomo e una donna, sono morti per le esalazioni di un braciere che hanno saturato la baracca dove dormivano, nella enorme baraccopoli di Borgo Mezzanone, nel Foggiano. Altri due sono rimasti intossicati. Entrambi provenienti dall’Africa, erano finiti in Puglia come braccianti agricoli, trovando un alloggio precario solo nell’enorme villaggio spontaneo che ospita oltre 1.500 lavoratori stranieri occupati più o meno saltuariamente nelle campagne della zona. Un braciere era l’unico mezzo per difendersi dal freddo durante la notte. Lo hanno acceso anche la sera di domenica 22 gennaio, proprio accanto al giaciglio dove dormivano. Con il passare delle ore le esalazioni di ossido di carbonio li hanno uccisi nel sonno. A dare l’allarme sono stati al mattino altri migranti alloggiati in baracche vicine. “Quella consumata stanotte nel ghetto di Borgo Mezzanone è l’ennesima tragedia dell’emarginazione”, ha dichiarato Onofrio Rota, segretario della Fai Cisl.

(Fonte: Agenzia Ansa, La Gazzetta del Mezzagiorno)

Vittime 2022. Totale: 4

Trieste, 4 gennaio. Profugo pakistano trovato morto in un parcheggio

Un giovane profugo pakistano, Ibrahim Afridi, 19 anni, è stato trovato privo di vita in un parcheggio a Trieste. Il ragazzo era scomparso tra il 28 e il 29 dicembre 2021 dall’istituto di accoglienza gestito dalla Ong Ics. Non è stato chiarito cosa sia accaduto nei giorni successivi fino a quando, appunto, è stato scoperto il cadavere. Secondo la polizia Ibrahim sarebbe rimasto vittima di una rapina finita in tragedia: un’aggressione condotta da altri giovani che si erano finti poliziotti per una questione di droga. Ma questa ricostruzione è stata respinta dai responsabili dell’istituto: “Ibrahim – ha dichiarato Gianfranco Schiavone, presidente di Ics – non si era mai allontanato dalla nostra struttura. Questa storia ha dei contorni molto oscuri. Il quadro che la circonda è più complesso sia sul piano degli eventi, sia sul piano sociale. Ibrahim era incensurato, un ragazzo che, lontano dallo stereotipo che si è voluto utilizzare per descrivere il fatto, regalava grandi soddisfazioni”.

(Fonte: Triesteprima)

Firenze, 20-21 marzo 2022. Somalo schiacciato in un compattatore per la carta

Un giovane profugo somalo senza casa è rimasto schiacciato a Firenze all’interno di un compattatore per la carta da riciclare. Arrivato da mesi in Italia, era rimasto ai margini senza lavoro e senza un alloggio stabile. La sera di domenica 20 marzo a una pattuglia della polizia lo ha visto camminare da solo nella zona di Novoli, ha detto che cercava un posto per dormire. Gli agenti lo hanno portato in questura e poi , dopo  un breve accertamento, indirizzato alla sede della Caritas, dove avrebbe potuto trovare un riparo. Dalla questura è uscito verso le 23, ma alla Caritas non è mai arrivato. Probabilmente ha continuato a vagare in cerca di una sistemazione di fortuna finché si è rifugiato all’interno di un cassonetto per la raccolta della carta e probabilmente si è addormentato. Durante la notte un compattatore ha svuotato il cassonetto ed è probabile che il ragazzo sia morto schiacciato dal compressore. Nessuno si è accorto di nulla fino a quando il compattatore ha portato il carico al deposito e mentre veniva svuotato è comparso tra i cartoni il cadavere.

(Fonte: La Nazione)

Ancona, 8 agosto 2022. Somalo travolto e ucciso da un Tir

Un giovane profugo somalo – Mustafa Hamed Abdi, ventitreenne a ottobre, in Italia da oltre due anni – è stato travolto e ucciso da un Tir nei pressi del porto di Ancona. Fuggito nel 2017 dalla Somalia (dove lavorava come addetto alle pulizie in un albergo), Mustafa è rimasto a lungo bloccato in Libia, fino a quando è riuscito a trovare un imbarco per Lampedusa. Seguendo le procedure per l’accoglienza, era finito da tre mesi ad Ancona, dove all’inizio di agosto aveva presentato una richiesta di protezione internazionale. Privo di documenti di riconoscimento, che gli erano stati rubati, in attesa di essere convocato dalla commissione prefettizia viveva in alloggi di fortuna in varie zone della città e aveva una tessera per poter accedere a una mensa per poveri. L’incidente è accaduto nei pressi della zona di Archi, un quartiere multietnico, all’altezza della fermata dell’autobus. L’autista del Tir, un cinquantaquattrenne di Montemarciano, ha detto di aver visto Mustafa arrivare da una strada laterale, con uno zaino sulla schiena: “Pochi secondi dopo ho sentito un rumore – ha riferito – e guardando nello specchietto retrovisore ho visto uno zaino. Ho pensato che quel ragazzo lo avesse lanciato e mi sono fermato. Sono andato a vedere ma l’ho trovato riverso a terra”. Secondo quanto si è potuto accertare, Mustafa è stato colpito e trascinato per alcuni metri dal Tir ed è morto sul colpo. Il procuratore di Ancona, Rosario Lioniello, ha aperto un’inchiesta, disponendo anche un’autopsia sul cadavere, trasferito presso l’obitorio del cimitero.

(Fonte: Infomigrants)

Gradisca, 2 settembre. Pakistano suicida nel centro rimpatri

Un profugo pakistano ventottenne si è ucciso appena un’ora dopo il suo arrivo nel Centro di permanenza per il rimpatrio di Gradisca d’Isonzo. Non sono state riferite le sue generalità. Secondo quanto è emerso, il giovane, effettuata la visita medica, si sarebbe tolto la vita nella camerata a cui era stato assegnato, dopo aver atteso che le persone con cui divideva quello spazio, fossero uscite. Sono già 5 le persone morte all’interno della struttura da quando è stata riaperta nel 2019. Quando la notizia si è diffusa c’è stata una immediata, forte protesta di numerose organizzazioni che si occupano dei migranti. “Il Friuli, la sua politica, le sue istituzioni e tutta la sua società sembrano ormai assuefatte a quando sistematicamente avviene nel Cpr di Gradisca, da tempo noto per essere il più degradato e problematico d’Italia, al cui interni le persone vivono 24 ore su 24 nelle gabbie, senza alcuna attività. Nella struttura non entra quasi mai nessuno, né associazioni esterne, né esponenti politici, sociali e sindacali per effettuare monitoraggi indipendenti”, hanno dichiarato Il Centro Ernesto Balducci di Zugliano, la comunità di San Martino al Campo, L’Ics Consorzio italiano solidarietà di Trieste, la rete Dasi Friuli Venezia Giulia e la rete nazionale Rivolti ai Balcani. E ancora: “A poco serve sostenere che la tragica scelta del giovane che si è suicidato all’ingresso nel centro è stata imprevedibile o che la brevità della permanenza non consente di legare il gesto alle condizioni della struttura, poiché questa ennesima tragedia, anche per la sua dinamica, solleva, al pari delle altre morti avvenute nel Cpr, interrogativi inquietanti sull’esistenza e il cncreto funzionamento di questa istituzione”.

(Fonte: Altereconomia, Rai News, Infomigrants)

Vttime 2021. Totale: 5

Torino, 25 maggio. Guineano suicida nel centro per il rimpatrio

Musa Balde, un migrante originario della Guinea, si è impiccato la notte tra il 23 e il 24 maggio nel centro per il rimpatrio (Cpr) di Torino dove era rinchiuso in attesa di essere espulso dall’Italia. Era arrivato circa 15 giorni prima da Ventimiglia dove era stato aggredito e duramente picchiato da tre uomini che lo accusavano di aver cercato di rubare un cellulare. Il tentato furto sarebbe avvenuto in un supermarket nel centro di Ventimiglia. I tre uomini, uno di origine calabrese e gli altri due siciliana ma tuti residenti in città, lo hanno seguito e poi assalito, colpendolo duramente anche quando era a terra. La polizia ha poi individuato e fermato tutti e tre mentre il ragazzo, risultato “migrante irregolare”, dopo le cure mediche è stato trasferito a Torino in vista del rimpatrio. Gli hanno assegnato una stanza da solo così nessuno si è accorto del suicidio fino alla mattina del giorno 24. Nel gennaio 2023 i tre aggressori sono stati condannati a 2 anni di carcere per il pestaggio.

(Fonte: Infomigrants del 25 maggio 2021 e del 14 gennaio 2023)

Bosco Mezzanone (Foggia), 30 luglio. Migrante  nigeriano accoltellato e ucciso

Un migrante nigeriano, Oydele Tobi, 31 anni, è morto nel ghetto di Borgo Mezzanone in seguito a una delle frequenti liti provocate dalle durissime condizioni di vita e di convivenza all’interno della struttura. Bracciante nelle campagne della zona, il giovane è venuto a diverbio con un altro ospite del campo, che lo accusava (poi si è scoperto erroneamente) di aver sottratto un cellulare alla sua ragazza. Prima parole concitate e richieste di spiegazioni poi lo scontro fisico, durante il quale Oydele è stato raggiunto a un braccio da un colpo di coltello che gli ha reciso un’arteria vitale. Altri braccianti sono intervenuti per sedare gli animi e poi hanno trasportato il ferito alla postazione del 118 che si trova vicino al centro accoglienza. Il medico di turno, però, non ha avuto neanche il tempo di iniziare una qualche forma di soccorso: Oydele è morto prima ancora di arrivare alla postazione.

(Fonte: Foggia Today, Tgr Puglia, Norbaonline)

Castelvetrano, 30 settembre. Senegalese morto nell’incendio della baraccopoli

Un bracciante emigrato dal Senegal, Omar, è morto nell’incendio che durante la notte ha distrutto la baraccopoli dove alloggiavano centinaia di migranti, nello stabilimento dell’ex Calcestruzzi Selinunte, in contrada Bresciana Soprana, territorio tra Castelvetrano e Campobello di Mazara, in provincia di Trapani. Il rogo pare sia partito da un fornello a benzina che stava usando proprio la vittima. E’ stata questione di pochi minuti: le fiamme si sono propagate rapidamente, attecchendo con facilità tra le baracche e le tende di fortuna realizzate con legname di risulta, cartoni e teli di plastica. Il corpo di Omar è stato trovato carbonizzato solo dopo che i vigili del fuoco sono riusciti a domare l’incendio. La baraccopoli, esistente da anni ed autogestita dagli stessi migranti, era particolarmente affollata, come sempre in questa stagione, per la presenza di numerosi giovani africani in attesa di un ingaggio precario per la raccolta delle olive.

(Fonte: Avvenire)

Roma, 28 novembre–4 dicembre. Tunisino trasferito dal Cpr muore in ospedale

Un giovane migrante tunisino – Wissen Benabdelatif, 26 anni – è morto dopo tre giorni di ricovero al Servizio Psichiatrico dell’ospedale San Camillo di Roma, dove era stato trasferito dal Centro di permanenza per il Rimpatrio (Cpr) di Ponte Galeria. Tre giorni che, secondo diverse testimonianze, avrebbe trascorso legato a un letto di contenzione. La Procura ha aperto un’inchiesta per omicidio colposo sulla scia di una denuncia presentata dal garante dei detenuti per il Lazio, Stefano Anastasia, e da Alessandro Capriccioli, consigliere regionale dei Radicali. Wissen (proveniente da Kebili, nel cuore del paese) era approdato ad Augusta, in Sicilia, il 2 ottobre. Assegnato per circa due settimane a una nave quarantena, tra il 14 e il 15 è stato trasferito al Cpr, dove è rimasto per un mese e mezzo, fino al ricovero in ospedale. Durante questo periodo di detenzione – hanno riferito tre ragazzi che condividevano la camera con lui – sarebbe stato vittima di più aggressioni, sia verbali che fisiche, che lo hanno spinto in uno stato costante di ansia e paura, tanto che una psicologa del centro ne ha consigliato una visita specialistica presso la Asl. La terapia con farmaci per problemi psichiatrici che gli è stata prescritta non ha avuto esito e il 23 novembre si è ritenuto necessario ricoverarlo all’ospedale Grassi di Ostia. Da qui, due giorni dopo, è stato trasferito al San Camillo, dove è morto il 28 novembre. Il direttore del Cpr, Enzo Lattuga, ha riferito a Repubblica che, a parte i problemi psichiatrici, Wissen stava fisicamente bene. Il referto di morte parla di “arresti cardiocircolatorio”, una formula generica che non spiega cosa sia accaduto. Da qui la denuncia alla Procura per far aprire un’inchiesta. Tanto più che è emersa quella serie di testimonianze sulle aggressione al Cpr e sulla costrizione di tre giorni su un letto di contenzione in ospedale.

(Fonte: Repubblica del 4 e 6 dicembre, Il Riformista, Il Manifesto)

Roma, 10 dicembre. Ragazzo guineano morto di freddo per strada

Un giovane guineano – Fode Dahaba, 27 anni – è stato stroncato dal freddo, nel centro di Roma, quasi di fronte alla stazione Termini. Il suo corpo era adagiato vicino ai portici di piazza dei Cinquecento, accanto a Palazzo Massimo. A trovarlo, intorno alle 22, sono stati alcuni  passanti, che hanno avvertito il vicino comando dei carabinieri. Indosso non aveva documenti ma la notte stessa è stato possibile identificarlo attraverso le impronte digitali, rilevate durante un fermo e una fotosegnalazione precedenti. Arrivato in Italia da tempo, Fode si era scontrato con le difficoltà del sistema di accoglienza, non trovando la possibilità di inserirsi e viveva ormai da senza dimora prevalentemente proprio nella zona della stazione. Sul corpo non sono stati trovati segni di violenza. Il medico legale ha invece riscontrato evidenti sintomi di ipotermia e si ritiene che proprio questa sia la causa della morte. In ogni caso prima dell’inumazione è stata disposta l’autopsia.

(Fonte: Corriere della Sera, Roma Today, Avvenire)

Vittime 2020. Totale: 6

Gradisca (Gorizia), 18 gennaio. Migrante muore dopo una protesta al Cpr

Un ragazzo di 20 anni, Vakhtang Enukidze, migrante di origine georgiana, è morto all’ospedale di Gorizia: potrebbero averlo ucciso i colpi ricevuti da un gruppo di agenti di polizia dopo una rissa e una protesta culminate in violenti scontri all’interno del centro per il rimpatrio (Cpr) di Gradisca d’Isonzo nel pomeriggio del 14 gennaio. Rimasto ferito, era stato ricoverato in ospedale. Dimesso dopo le prime cure e arrestato, è rimasto in carcere per un paio di giorni e poi è stato riaccompagnato al Cpr, ma le sue condizioni si sono aggravate, tanto da dover essere di nuovo ricoverato d’urgenza a Gorizia, dove è morto nella mattinata di sabato 18 gennaio. Il primo referto medico parla genericamente di arresto cardiocircolatorio, ma la Procura di Gorizia ha aperto un’inchiesta, disponendo un’autopsia per chiarire con maggiore precisione le cause della morte. La polizia ha mantenuto un riserbo strettissimo ma le notizie filtrate dall’interno del Cpr hanno portato alla luce un quadro che, se confermato, appare estremamente preoccupante: una squadra di almeno otto poliziotti in tenuta anti sommossa avrebbe fatto irruzione nella stanza dove era Vakhtang Enukidze insieme ad altri detenuti agendo con estrema determinazione. Il giovane sarebbe stato pestato anche dopo che si era arreso, fino a cadere a terra, sbattendo con violenza la testa. Anzi, avrebbe ricevuto dei colpi anche quando era steso sul pavimento. A quanto pare, sarebbe essenzialmente sulla fondatezza di questa ricostruzione – pubblicata da gruppi di assistenza ai migranti come Collettivotilt o Are You Syrious e l’associazione No Cpr e no Frontiere Fvg – che verterebbe l’inchiesta aperta dalla Procura, tanto che l’ipotesi di reato contemplata è quella di omicidio volontario. Il Collettivotilt ha anche ricevuto da un gruppo di compagni dellavittima un video su alcune fasi della protesta. Le immagini sono confuse, ma confermano lo stato di enorme tensione vissuto il 14 gennaio all’interno del Cpr in seguito alla protesta. La vicenda è stata anche sollevata alla Camera da alcuni Parlamentari e il giorno 21 il Garante dei detenuti, Mauro Palma, ha effettuato una ispezione nel Cpr che, a poco più di un mese dall’apertura, ha fatto registrare diverse proteste, alcuni tentativi di fuga e frequenti atti di autolesionismo tra i detenuti. Il sindaco di Gradisca ha chiesto la chiusura immediata della struttura. Il giurista Gianfranco Schiavone, dell’Asgi ha sollecitato una tutela dei testimoni e un’azione rapida della Procura, neltimore che si profili “un caso Cucchi 2”.

(Fonte: Triesteprima, Agenzia Ansa, Il Piccolo, sito web Are You Syrious)

Foggia, 7 febbraio. Migrante muore ustionata nel ghetto di Borgo Mezzanone

Una giovane migrante nigeriana è morta dopo tre giorni di agonia per le ustioni riportate a causa dello scoppio di una bombola di gas nella baracca dove viveva, nel ghetto di Borgo Mezzanone, nel Foggiano. L’incidente è avvenuto durante la notte tra il 3 e il 4 febbraio. La bombola esplosa era quella utilizzata per la cucina e, a quanto pare, anche per alimentare una piccola stufa. E’ verosimile che ci sia stata una fuga di gas e che poi una scintilla o qualcosa del genere abbia provocato lo scoppio, appiccando un furioso incendio e distruggendo l’intera baracca ed altri alloggi di fortuna vicini. Soccorsa inizialmente da altri migranti del campo, la giovane, dopo le prime cure a Foggia, è stata condotta al Policlinico di Bari, in rianimazione ma ha cessato di vivere la mattina del 7 febbraio.

(Fonte: Agenzia Ansa)

Agrigento, 5 aprile. Migrante ghanese muore nel Cas di Aragona

Un ragazzo ghanese ventenne, di nazionalità ghanese, è morto nel centro accoglienza per richiedenti asilo di Aragona (Agrigento). Secondo alcuni compagni il decesso sarebbe stato causato da una infezione non curata. La salma è stata sottoposta anche al tampone ma i risultati hanno escluso il contagio. Di certo il giovane stava male da tempo, con febbre alta e diarrea. La sua storia è emblematica della sorte di tantissimi migranti. Giunto in Italia quando era ancora minorenne, è stato ospitato in un centro Sprar per minori non accompagnati fino al compimento dei 18 anni, quando è stato trasferito in un  Centro di accoglienza straordinaria (Cas), anche per effetto del decreto Salvini che ha destrutturato i centri Sprar e imposto il trasferimento dei maggiorenni, anche se già avviati a percorsi di inclusione sociale, verso i Cas, dove i livelli di assistenza e di integrazione son o ridotti al minimo o addirittura pressoché inesistenti, anche per effetto dei tagli di spesa imposti per la gestione e, dunque, ai capitolati d’appalto per i servizi.

(Fonte: Repubblica, Associazione Diritti e Frontiere)

Foggia, 21-22 aprile. Migrante ucciso nel ghetto di San Severo

Un ventenne originario della Guinea è stato ucciso con tre coltellate, la notte tra il 21 e il 22 aprile, nella baraccopoli sorta nelle campagne di San Severo. Secondo quanto è emerso dalle indagini della polizia, la tragedia è maturata durante una lite. A colpire il ventenne è stato un altro migrante, anch’egli proveniente dalla Guinea: uno dei tre fendenti lo ha raggiunto alla gola provocando un’emorragia che lo ha ucciso in pochi minuti. A chiamare i soccorsi sono stati altri migranti presenti alla scena e che non erano riusciti a impedire lo scontro. La lite è maturata nel contesto delle difficili condizioni di vita della baraccopoli, un ghetto che ospita centinaia di migranti in cerca di lavoro come braccianti nelle aziende agricole della zona: una situazione esplosiva che alimenta quotidianamente tensioni e contrasti.

(Fonte: Agenzia Ansa, La Gazzetta del Mezzogiorno)

Foggia, 12 giugno. Migrante carbonizzato nel ghetto di Borgo Mezzanone

Un giovane migrante, probabilmente di origine senegalese, è morto carbonizzato nell’incendio che ha distrutto in pochi minuti la baracca dove aveva trovato alloggio nel ghetto di Borgo Mezzanone, vicino a Foggia. Era uno dei tanti braccianti che lavorano nelle aziende agricole della zona e che non hanno alcuna possibilità di trovare un riparo se non la baraccopoli che ospita centinaia di persone in condizioni durissime. Il fuoco è divampato prima dell’alba e il giovane, colto nel sonno, non ha avuto scampo. Anche l’allarme è partito in ritardo, perché quella baracca si trovava in una zona piuttosto isolata e gli altri ospiti del ghetto se ne sono accorti quando ormai era un rogo indomabile.

(Fonte: Agenzia Ansa)

Gradisca, 14 luglio. Migrante trovato morto nel Cpr

Un migrante albanese di 29 anni è morto durante la notte nella camerata del Cpr di Gradisca dove stava trascorrendo la quarantena disposta per la pandemia di coronavirus. A scoprirlo ormai esanime sono stati altri detenuti nel Cpr, che hanno avvertito il personale di custodia. Nella stessa stanza è stato trovato privo di sensi anche un altro migrante, un giovane marocchino che, ricoverato al pronto soccorso, è stato rianimato ed ha superato la crisi. La Procura ha aperto un’inchiesta per risalire alle cause della morte. L’ipotesi è abuso di farmaci. La fine del giovane albanese ha creato uno stato di tensione e protesta tra i detenuti contro le condizioni di vita nel Cpr e le procedure per il rimpatrio forzato.

(Fonte: Il Piccolo)      

Vittime 2019. Totale: 13

Tortona 28 gennaio. Asilo negato: suicida un migrante nigeriano

Un venticinquenne nigeriano, Pince Jerry, si è suicidato a Tortona gettandosi sotto un treno dopo essersi visto negare il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il giovane, nato nei pressi di Benin  City, era arrivato il 16 giugno 2016 in Sicilia. Trasferito dopo circa un mese a Genova, nel centro accoglienza di Multedo, ha subito presentato richiesta di asilo politico ed ha fatto di tutto per integrarsi, impegnandosi nel volontariato e in varie iniziative sociali. “Era un ragazzo speciale – hanno raccontato alcuni amici – Colto, laureato, ha imparato presto l’italiano, che parlava benissimo, ed ha saputo farsi apprezzare impegnandosi in varie iniziative e mostrando una voglia costante di fare, di apprendere e di rendersi utile. Verso la metà di dicembre ha saputo che la sua domanda era stata respinta e d’altra par te, dopo la recente riforma, gli era preclusa anche la via della tutela umanitaria, che non è più prevista”. E’ stata una delusione enorme: il crollo di un sogno, tato più che ha dovuto anche abbandonare il centro accoglienza dove viveva. Ed ha deciso di farla finita: lunedì 28 gennaio si è gettato sotto un treno  ad Ortona, nell’Alessandrino.

(Fonte: Agenzia Ansa, Dire)

Teverola (Caserta, 4 febbraio. Due migranti travolti e uccisi da un’auto pirata

Due giovani migranti africani sono stati travolti e uccisi da un’auto pirata mentre percorrevano in bicicletta la statale Appia, nei pressi di Teverola, in provincia di Caserta. Provenienti il primo dal Senegal e l’altro dal Gambia, avevano 19 e 20 anni e vivevano in un centro di accoglienza a Casaluce. In possesso entrambi del permesso di soggiorno in Italia, al momento dell’incidente si stavano recando dalla zona di Nola verso Villa Literno e Capua, a quanto pare per lavorare in un’azienda agricola. L’auto pirata li ha investiti in pieno, senza neanche accennare a rallentare: sull’asfalto la polizia non ha trovato alcun segno di frenata. La dinamica, anzi, lascia adito a diversi dubbi tanto che gli inquirenti, oltre all’omicidio stradale plurimo, hanno preso in esame anche l’ipotesi di “omicidio con l’aggravante razziale” a carico del conducente della vettura, individuato ed arrestato circa 24 ore dopo l’incidente.

(Fonte: Agenzia Ansa, La Stampa)

Foggia, 25 aprile 2019. Migrante muore nel rogo della sua baracca

Un gambiano di 26 anni è morto nel rogo della baracca costruita con lamiere e vecchie tavole di legno dove aveva trovato alloggio, nella vasta tendopoli-ghetto di Borgo Mezzanone, l’agglomerato abusivo sorto a pochi chilometri da Foggia. L’incendio si è sviluppato durante la notte: il giovane deve essere stato sorpreso nel sonno dal fuoco e non ce l’ha fatta a uscire in tempo. Il suo corpo carbonizzato è stato scoperto solo quando, al mattino, si sono concluse le operazioni di spegnimento da parte dei vigili del fuoco. Fino a pochi giorni prima la vittima era ospite del Cara che si torva proprio accanto alla baraccopoli ma era diventato irregolare perché la sua domanda di asilo non era stata accolta

(Fonte: Repubblica)

Ventimiglia, 29 maggio 2019. Migrante disperso in mare.

Un giovane migrante si è gettato in mare, forse per sottrarsi a un’aggressione, e poco dopo è scomparso. Senza esito le ricerche condotte nelle ore e nei giorni successivi: tutto lascia credere che sia annegato anche se, non essendo stato trovato il corpo, è stato dato per disperso. Stando alla ricostruzione dei fatti operata dalla polizia, il ragazzo sembra abbia avuto un diverbio con altri stranieri, nel cmapo improvvisato lungo gli argini de fiume Roja. Diverbio presto degenerato tanto che il giovane si sarebbe visto costretto a fuggire per sottrarsi a un probabile pestaggio. Alcuni testimoni hanno riferito di averlo visto gettarsi in mare, alla foce del Roja, mentre era inseguito da altri giovani. Poche bracciate e poi è sparito sott’acqua. Da quel momento nessuno lo ha più visto.

(Fonte: Repubblica, Agenzia Ansa)

Restinco (Brindisi), 1-2 giugno. Giovane nigeriano suicida nel Cpr

Un giovane migrante originario della Nigeria si è suicidato la notte tra il primo e il 2 giugno nella stanza dove alloggiava nel Centro per il rimpatrio di Restinco, in provincia di Brindisi. Secondo diversi operatori sociali che lo conoscevano e lo hanno avuto in assistenza, si tratterebbe quasi di una “morte annunciata”. Arrivato in Italia da oltre un anno, dopo l’odissea del viaggio nel Sahara, la detenzione in Libia e la traversata del Mediterraneo su un gommone, è stato via via assegnato a diversi Cas, prima nel Nord Italia e poi al sud, fino ad arrivare a Restinco. Alcuni assistenti sanitari e sociali lo hanno quasi subito individuato come un soggetto a rischio, soggetto a profondi stati di depressione, alternati talvolta ad atteggiamenti di ribellione. In sostanza, una persona fragile, in compatibile col regime di detenzione al quale è stato sottoposto. La decisione di farla finita è maturata probabilmente in questo contesto. Sta di fatto che la mattina del 2 giugno i compagni e il personale del campo lo hanno trovato impiccato nella sua stanza.

(Fonte: Brindisi Report, sito web Are You Syrious)

Gorizia (Ponte di Piuma), 14-15 giugno. Profugo suicida nell’Isonzo

Un profugo pakistano trentenne si è suicidato gettandosi nell’Isonzo dal ponte di Piuma, a Gorizia. L’allarme è scattato la sera di venerdì 14 giugno, quando un passante ha avvisato la polizia di aver visto una persona lasciarsi cadere nelle acque del  fiume da una spalletta del ponte. Le ricerche, condotte da pattuglie dei vigili del fuoco e della polizia, si sono protratte senza esito per tutta la serata e l’intera giornata di sabato. Poi, la domenica mattina l’Isonzo ha restituito la salma, trovata più a valle, impigliata nella grata della centrale idroelettrica di Straccis. Poche ore dopo si è risaliti all’identità della vittima: un richiedente asilo fuggito dal Pakistan, ospite da tempo del Cara di Gradisca. L’uomo non ha lasciato nulla di scritto per spiegare le ragioni del suo gesto estremo, ma alcuni compagni del campo hanno riferito che da mesi, ormai, era precipitato in un profondo stato di depressione perché non intravedeva alcuna soluzione per la sua condizione, dopo mesi di attesa e dopo tutte le sofferenze e le difficoltà affrontate nella sua lunga fuga dal Pakistan in Italia.

(Fonte: Il Piccolo, Il Friuli it, rapporto settimanale Are You Syrious)

Torino, 8 luglio. Giovane bengalese muore nel centro di rimpatrio

Un bengalese è morto nel suo alloggio del Centro per i rimpatri (Cpr) di via Santa Maria Mazzarello, a Torino. Si chiamava Sahid Mnazi ed aveva 32 anni: lo hanno trovato privo di vita nel suo alloggio la mattina dell’otto luglio ma si presume che il decesso sia avvenuto alcune ore prima, durante la notte. Secondo i primi esami medici la morte sarebbe dovuta a cause naturali, ma la Procura ha comunque disposto una inchiesta. Sono diversi, infatti, i punti da chiarire. L’uomo, rinchiuso nel Cpr dal mese di febbraio, era stato messo in isolamento da una quindicina di giorni, nel reparto Ospedaletto, pare per ragioni sanitarie. Secondo alcuni testimoni, tuttavia, in precedenza avrebbe avuto dei forti contrasti con altri ospiti della struttura e, soprattutto, c’è chi dice che abbia subito una violenza sessuale, per la quale non sarebbe mai stato curato e meno che mai condotto in ospedale. La Questura di Torino ha comunicato di non aver ricevuto mai alcuna denuncia su questa supposta violenza, ma i cronisti del periodico Fanpage hanno trovato una mail indirizzata il 25 giugno alla Procura e a varie testate locali nella quale si segnala appunto un caso di stupro nei confronti di un detenuto. Resta da chiarire, ovviamente, se la vittima a cui si fa riferimento è il giovane bengalese, ma in ogni caso quella mail denuncia in maniera eloquente il “clima” all’interno del Cpr ed appare singolare che la Procura non ne abbia informato la polizia. Quando si è diffusa la notizia della morte di Sahid, numerosi ospiti del centro hanno organizzato una protesta, sfociata quasi in una rivolta, con l’incendio di materassi e suppellettili.

(Fonti: Fanpage, Corriere della Sera)

Metaponto Bernalda, 7 agosto. Nigeriana muore nel rogo di una tendopoli

Una giovane nigeriana è morta a Metaponto Bernalda (Matera) nel violento incendio divampato nella vasta tendopoli e nell’ex complesso industriale abbandonato “La Ferlandina”, in cui vivono da anni oltre 500 migranti, impiegati in nero come braccianti nelle campagne della zona. Il fuoco si è sviluppato in piena notte, tra il 6 e il 7 agosto, da una delle baracche di fortuna, estendendosi poi rapidamente alle altre tende e agli alloggi ricavati nello stabile in rovina. Non è escluso che tutto sia iniziato proprio nella baracca della vittima, che sarebbe rimasta intrappolata all’interno. La salma è stata recuperata solo al mattino, quando i vigili del fuoco sono riusciti a circoscrivere e a soffocare le fiamme. La donna era in Italia da tempo e, come gli altri migranti del campo, faceva lavori stagionali presso varie aziende agricole. Lascia due figlie piccole, che vivono in Nigeria con i nonni. Il sindaco ha denunciato che da anni la Regione e il Governo hanno promesso un centro accoglienza per i braccianti stranieri, mai realizzato.

(Fonte: Agenzia Ansa, News Pisticci.com)

Gioia Tauro, 5 novembre. Migrante muore con cesoie conficcate nel collo

Un giovane migrante è stato trovato morto ai piedi di un albero: conficcate nel collo, all’altezza della gola, aveva un paio di cesoie del tipo usato per la raccolta delle arance e la potatura. Si chiamava Keita Ousmane, 24 anni. Arrivato dalla Costa d’Avorio, era da tempo in Italia. Nella piana di Gioia Tauro lavorava come bracciante. Non è chiaro cosa sia accaduto. Nell’aranceto, in contrada Bosco, c’erano numerosi braccianti ma lui, ma a quanto pare lavoravano a diversi metri di distanza l’uno dall’altro. Interrogati dai carabinieri, tutti hanno detto di non essersi accorti di nulla fino a quando, verso le 15,30, il corpo non è stato notato il cadavere. Si è presa in esame anche l’ipotesi di un delitto, magari conseguenza di una lite violenta. Sul corpo, però, a par te la profonda ferita provocata dalle lame delle cesoie, non sono stati trovati segni di violenza, contusioni o altro. Si ipotizza, allora, che possa essere caduto accidentalmente da un albero mentre stava potando e che le cesoie utilizzate per  il lavoro si siano conficcate nella gola.

(Fonte: News 24, Associated Press, Agenzia Ansa, Open)

Goriano Sicoli, 23 novembre. Pastore guineano intossicato da un braciere

Ousmane Kourouma, un pastore di 23 anni originario della Guinea, è morto intossicato da ossido di carbonio, prima dell’alba di sabato 23 novembre, nel piccolo alloggio dove dormiva, nelle campagne di Goriano Sicoli, in Abruzzo. Ingaggiato da alcuni imprenditori agricoli della Valle Peligna, viveva in una stanzetta di meno di cinque metri quadrati, ricavata in un ex caseificio trasformato in stalla per le pecore che doveva accudire. Non avendo il piccolo locale alcun sistema di riscaldamento, il giovane ha cercato di scaldarsi accendendo un fuoco, con legna rimediata, dentro un bidone. Durante la notte le esalazioni di ossido di carbonio provenienti da questo grosso braciere improvvisato lo hanno ucciso nel sonno. Dalle indagini sarebbe emerso che non aveva a disposizione nemmeno delle coperte per ripararsi dal freddo. Ovvero, che quanto meno concause della sua morte siano state le condizioni di vita a cui il giovane era costretto. Proprio partendo da questa constatazione, il datore di lavoro è stato indagato: l’uomo ha dichiarato di aver stipulato un contratto regolare con Ousmane ma alla base dell’indagine c’è la necessità di stabilire se gli fossero state garantite tutte le tutele necessarie.

(Fonte: Open)

Borgo Mezzanone, 23 novembre. Due migranti intossicati da una stufa

Due migranti africani sono morti nell’alloggio di fortuna ricavato nel rudere di un casale  in rovina a causa delle esalazioni di ossido di carbonio emanate da una stufa lasciata accesa per scaldare l’ambiente durante la notte tra il 23 e il 24 novembre. Sono un nigeriano, Emmanuel Elimhimingel, e un camerunense, Elvis Bakendaga, entrambi di 37 anni. Il rudere si trova nella campagna di Borgo Mezzanone, in provincia di Foggia, poco lontano dalla baraccopoli che ospita centinaia di braccianti. Emmanuel, che lavorava in alcune aziende agricole della zona, abitava lì da mesi. Elvis ci è capitato per caso: era stato a Roma per seguire il procedimento del ricorso per il permesso di soggiorno e, arrivato in treno a Foggia a un’ora in cui non c’era più mezzi per raggiungere il campo migranti di Lesina, dove abitava, aveva chiesto all’amico ospitalità per la notte. Si sono addormentati e le esalazioni li hanno uccisi nel sonno. L’allarme è stato dato da altri braccianti, conoscenti di Emmanuel, i quali, non vedendolo arrivare, prima hanno cominciato a cercarlo e poi accompagnato i carabinieri fino al rudere.

(Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno, Avvenire)

Vittime 2018. Totale: 7

Lampedusa, 5 gennaio 2018. Suicida tunisino del centro accoglienza

Un trentenne tunisino si è impiccato, a Lampedusa, in un casolare distante circa 400 metri dal centro di prima accoglienza di contrada Imbriacola. Il giovane era ospite dell’hotspot da oltre due mesi, insieme a numerosi altri migranti tunisini. Arrivato sull’isola il 30 ottobre 2017, dopo aver espletato le procedure di identificazione, doveva essere trasferito in altre strutture, in attesa che la sua posizione fosse esaminata per decidere se rimpatriarlo o concedergli un permesso di soggiorno in Italia. La partenza era prevista per il 31 dicembre, ma era stata rimandata a causa di un guasto del ferry per la Sicilia e la nuova data del trasferimento, a quanto pare, non era stata fissata. Il suo corpo senza vita è stato trovato verso le 12,30 del 5 gennaio. I compagni hanno dichiarato che “nell’ultimo periodo si era isolato” e per di più, qualche giorno dopo il suo arrivo, gli psicologi del centro accoglienza ne avevano consigliato il trasferimento nel più breve tempo possibile a causa di un grave disagio psichico. E’ verosimile che abbia deciso di farla finita per il timore che, dopo oltre 60 giorni senza aver ricevuto alcuna risposta, fosse costretto a tornare in Tunisia. La sua tragica morte ha provocato una dura presa di posizione del sindaco Totò Martello: “La notizia del suicidio di un giovane migrante ospite del centro accoglienza provoca dolore e tristezza. Naturalmente bisogna attendere l’esito degli accertamenti per comprendere lo scenario nel quale è avvenuto questo drammatico episodio. Di certo, però, occorre verificare e far rispettare le modalità di permanenza dei migranti che arrivano sulla nostra isola. Dovrebbero sostare 48 ore per poi essere accompagnati in strutture più adeguate, ma sembra che il migrante che si è tolto la vita fosse qui da più di due mesi”.

(Fonte: Repubblica, Agrigento Notizie)

Rosarno, 26/27 gennaio. Migrante muore nel rogo della tendopoli dei braccianti

Becky Moses, una migrante nigeriana di 26 anni, è morta nell’incendio scoppiato durante la notte tra il 26 e il 27 gennaio nella vasta tendopoli di San Ferdinando, il ghetto di baracche e alloggi di fortuna che d’inverno ospita i braccianti arrivati nella Piana di Gioia Tauro per la stagione delle arance. Due sue compagne sono rimaste gravemente ferite. L’allarme è scattato intorno alle due. Le fiamme – secondo quanto hanno riferito altri migranti – sono divampate poco lontano dalla tenda dove Becky stava dormendo: quando se ne è resa conto era ormai troppo tardi per mettersi in salvo, anche perché il fuoco si è propagato con estrema rapidità, distruggendo oltre duecento tra capanne e tende nella parte centrale dell’accampamento. Sembra escluso che l’incendio sia doloso: a causarlo – come è già avvenuto più volte in passato – potrebbe essere stato un braciere o un falò acceso dai migranti per cercare di scaldarsi durante la notte. Becky Moses era alloggiata nella tendopoli soltanto da tre giorni. Arrivata in Italia nel 2015 dalla Nigeria, è stata ospite del programma Sprar del Comune di Riace. Verso la fine del 2017 si è però vista respingere la richiesta di asilo politico e, in base alle attuali disposizioni di legge, ha dovuto immediatamente interrompere i progetti in cui si era integrata e lasciare Riace, dove aveva trovato casa, stava imparando l’italiano e un mestiere. Rimasta praticamente da sola, si è rivolta ad alcuni connazionali che vivono da tempo a Gioia Tauro lavorando come braccianti in nero e si è trasferita a sua volta nella tendopoli di San Ferdinando, dove ha trovato la morte.

(Fonte: Repubblica)

Bari, 7-8 agosto. Nigeriano muore in una lite nel Cara di Bari

Un nigeriano di 27 anni è morto in seguito alle ferite riportate in una violenta lite nel Cara di Bari, dove viveva in attesa che la sua richiesta di asilo venisse esaminata. Secondo la ricostruzione fatta dalla Procura, il giovane sarebbe stato colpito da un altro o da due altri richiedenti asilo e cadendo a terra avrebbe battuto con violenza la testa, procurandosi lesioni mortali. Quando, subito dopo lo scontro, la sera del 7 agosto, è stato portato all’infermeria del Centro accoglienza era privo di sensi. Il personale del 118, arrivato poco dopo sul posto, ha cercato di rianimarlo ma la morte è sopraggiunta pochi minuti dopo. La lite sarebbe sorta per questioni di poco conto ma che, nel contesto delle difficili condizioni di vita in centri di accoglienza grandi e promiscui come i Cara – come hanno rilevato più volte varie organizzazioni umanitarie – finiscono spesso per innescare gravi episodi di violenza.

(Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno).

Ventimiglia, 10 settembre. Migrante annega di fronte alla scogliera

Il corpo senza vita di un migrante nordafricano è stato recuperato in mare dalla Capitaneria, nel pomeriggio del 10 settembre, nella scogliera della diga foranea del porto. A dare l’allarme, dopo aver notato sul fondale il cadavere incastrato tra gli scogli, è stato il bagnino di un vicino stabilimento balneare. Il corpo non presentava segni di violenza. L’ipotesi della polizia è che il giovane sia annegando scivolando o cadendo accidentalmente in mare. E’ escluso che si sia tuffato volontariamente perché la vittima indossava i vestiti. Nelle tasche non sono stati trovati documenti né indizi che possano facilitarne l’identificazione. E’ probabile che fosse uno dei numerosi migranti che stazionano a Ventimiglia in attesa di trovare il modo di attraversare il confine con la Francia.

(Fonti: Riviera 24.it, Libero.it)

Castellaneta Marina (Taranto), 15 ottobre. Asilo negato, migrante si uccide.

Un profugo del Gambia, Amadou Javo, 22 anni, si è impiccato al cornicione della casa di Castellaneta Marina (Taranto) dove viveva con altri migranti. Alcuni compagni sono subito accorsi nel tentativo di prestargli aiuto. E’ stato chiamato anche il 118, ma era già troppo tardi. Pochi giorni prima la commissione provinciale aveva respinto la richiesta di asilo presentata da Amadou, non rinnovandogli il permesso di soggiorno, dopo due anni di permanenza in Italia. Secondo l’associazione Babele, che ha seguito il suo caso, sarebbe proprio questo il motivo del suicidio: “Non poteva più restare in Italia – ha spiegato – Lui desiderava anche ritornare in Africa, ma temeva di essere additato come un fallito e si vergognava. Ha pensato di non avere scelta”. Prima di arrivare a Castellaneta, il giovane era stato in una struttura d’accoglienza in provincia di Lecce. I volontari di Babele hanno lanciato una sottoscrizione per il rimpatrio della salma.

(Fonti: Repubblica, Agenzia Ansa)

Vercelli, 25 ottobre. Profugo muore lanciandosi dal treno in corsa

Un profugo nigeriano di 33 anni è morto lanciandosi dal treno tra le stazioni di San Germano Vercellese e Olcenengo, in provincia di Vercelli. Terribile il commento di una dipendente delle Ferrovie in servizio all’ufficio movimento della stazione di Santhià: “Meglio che si sia ucciso uno così che un’altra persona”. Lo ha denunciato uno dei passeggeri, che l’ha udito casualmente. Non sono ben chiare le circostanze dell’incidente. Il giovane nigeriano non aveva problemi con il permesso di soggiorno: sbarcato in Italia nel 2011, aveva ottenuto la tutela umanitaria dalla Prefettura di Bergamo. L’unica spiegazione plausibile è che non avesse il biglietto per il treno. Alcuni passeggeri lo hanno visto salire alla stazione di Santhià. Poco dopo ha raggiunto il vagone del capotreno e avrebbe cominciato a sbattere i pugni sulla porta che divide lo spazio riservato al personale da quello per i passeggeri. Alcuni agenti della Polfer hanno cercato di calmarlo ma lui, dopo averne colpito uno, si sarebbe divincolati e poi, poco dopo la stazione di San Germano, si è buttato dal finestrino prima che qualcuno potesse fermarlo. Quando l’hanno raggiunto, riverso sui binari, era ormai morente: un elisoccorso del 118 l’ha trasferito all’ospedale di Vercelli ma non c’è stato nulla da fare.

(Fonte: Repubblica)

San Ferdinando, 2 dicembre. Migrante carbonizzato in una baracca

Un giovane rifugiato è morto carbonizzato nel rogo della baracca dove abitava, nel campo-ghetto di San Ferdinando, nella piana di Gioia Tauro. Si chiamava Surawa Jaithe, aveva solo 18 anni ed era fuggito dal Gambia. Nel grosso accampamento “spontaneo”, dove vivono migliaia di migranti che lavorano come raccoglitori stagionali, il ragazzo era arrivato da poco. Fino a poche settimane prima era ospite dello Sprar di Gioiosa Jonica, gestito dalla rete dei Comuni Solidali, dove a breve avrebbe dovuto iniziare un tirocinio di quattro mesi. Secondo diversi compagni, avrebbe deciso di abbandonare il “circuito dell’accoglienza” per timore degli effetti del decreto sicurezza. Un timore molto più forte dei disagi della baracca tirata su alla meglio, nella quale aveva trovato alloggio. “Aveva paura – hanno dichiarato altri braccianti – di essere allontanato e magari bloccato. Così è venuto a San Ferdinando, dove ha cominciato a lavorare anche lui come raccoglitore”. L’incendio che lo ha ucciso sarebbe stato provocato da un braciere, acceso nella baracca o nella baracca vicina per difendersi dal fuoco. Sta di fatto che le fiamme hanno avvolto e distrutto in pochi istanti le due strutture di fortuna e attaccato anche diverse tende vicine. Surawa Jaithe stava dormendo e quando si è accorto del pericolo era ormai troppo tardi per scappare: soffocato dal fumo, deve aver perso i sensi e poi il rogo lo ha carbonizzato. I compagni hanno dato vita a una manifestazione di protesta per il degrado in cui sono costretti a vivere. Il prefetto ha convocato una riunione del comitato sicurezza. La realtà più vera l’ha descritta Giovanni Maiolo, presidente della rete dei Comuni Solidali: “Ora dovrò chiamare una madre per dirle come è morto suo figlio…”.

(Fonti: Tg-3 edizione delle 14, Ansa, Il Fatto Quotidiano, La Stampa, Repubblica)    .

Vttime 2017. Totale: 10

Sesto Fiorentino, 11 gennaio 2017. Profugo muore nel rogo di un capannone

Un profugo somalo è morto nel rogo del capannone occupato abusivamente, dove alloggiava insieme a decine di altri migranti. Si chiamava Ali Muse, 35 anni, con un regolare permesso di soggiorno ma costretto a quell’abitazione di fortuna perché, come accade a tutti i rifugiati in Italia, lo Stato, dopo averlo accolto accordandogli la protezione internazionale, lo ha poi abbandonato a se stesso. Sono anzi nella sua stessa condizione tutti i circa cento migranti che vivevano nella struttura andata distrutta, l’ex fabbrica di mobili Aiazzone, abbandonata da anni e diventata rifugio di immigrati che, non avendo altra alternativa, avevano cercato di adattarne gli spazi con tramezzi di legno e separé improvvisati. Una specie di “accampamento coperto”, senza servizi, già sgomberato circa un anno fa ma di nuovo occupato e adattato alla meglio. Una sistemazione, in ogni caso, certamente inadeguata e a rischio. E’ quasi certo, infatti, che l’incendio si sia sviluppato a causa di un fuoco o di un braciere accesi da qualcuno degli occupanti per cercare di difendersi dal freddo. Ali Muse è riuscito inizialmente a mettersi in salvo, fuggendo all’esterno. Una volta fuori, però, si è reso conto che, nella concitazione, aveva dimenticato i documenti e, in particolare, quelli per il ricongiungimento con la moglie. Nonostante gli amici abbiano cercato di trattenerlo, ha deciso allora di tornare all’interno per recuperarli. Una decisione che gli è stata fatale: il denso fumo che si era sviluppato nel locale lo ha soffocato, facendogli perdere conoscenza: lo hanno trovato più tardi i vigili del fuoco, riverso a terra e ormai senza vita. Altri due profughi sono rimasti feriti e tre intossicati.

La protesta: “Morto per colpa dello Stato”. Il giorno dopo la tragedia una cinquantina di migranti ha dato vita a Firenze a una manifestazione di protesta. Un piccolo corteo ha percorso il centro della città, con in testa uno striscione con la scritta: “Ali Muse è morto per colpa dello Stato”. Evidente il riferimento/denuncia al fatto che i rifugiati vengono abbandonati a se stessi una volta ottenuto l’asilo e il permesso di soggiorno, senza alcun percorso di integrazione sociale. La protesta si è conclusa con l’occupazione del cortile di Palazzo Strozzi, sede della mostra sulla emergenza profughi allestita dall’artista cinese dissidente Ai Weiwei. Una scelta non casuale. “Vanno benissimo – ha denunciato un volontario che si occupa di migranti – iniziative come questa di Palazzo Strozzi per sensibilizzare l’opinione pubblica. Purché però non diventino un alibi: il problema dei profughi abbandonati a se stessi si trascina da anni. In particolare, era nota da anni la situazione della ex fabbrica di Sesto Fiorentino, ma nessuno è intervenuto se non con ordinanze di sgombero. Neanche le istituzioni che hanno organizzato la mostra a Palazzo Strozzi”.

(Fonte: La Repubblica, Agenzia Ansa 11 e 12 gennaio 2017)

Venezia, 22 gennaio 2017. Profugo suicida nel Canal Grande

Un giovane profugo fuggito dal Gambia si è sucidato a Venezia, gettandosi nel Canl Grande. Si chiamava Pateh Sabally e aveva 22 anni: pare gli fosse stato revocato il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Arrivato in Italia nel 2015, al momento dello sbarco, a Pozzallo, era così provato da non ricordare nemmeno la sua data di nascita. Secondo il regolamento imposto agli hotspot dall’Agenda sulla migrazione dell’Unione Europea, la polizia gli ha attribuito un’età convenzionale, vent’anni, facendo figurare il primo gennaio 1995, come data di nascita, nei documenti che gli sono stati rilasciati. Dopo un lungo soggiorno in Sicilia, è stato trasferito a Milano. E da Milano, appunto, il 22 gennaio, ha raggiunto Venezia. Appena sceso dal treno, ha lasciato il suo zaino fuori dalla stazione di Santa Lucia e si è diretto verso il Canal Grande, buttandosi in acqua, davanti a centinaia di persone. L’equipaggio di un vaporetto gli ha gettato alcuni salvagente, ma lui si è lasciato affondare, senza nemmeno tentare di nuotare. Nessuno si è a sua volta tuffato in acqua per cercare di salvarlo. Anzi, da alcuni gruppi di persone – come risulta da un filmato girato con un cellulare e pubblicato dal Gazzettino – si sono levate urla e insulti: c’è chi lo ha apostrofato “uno scemo che vuole morire” e chi lo ha chiamato “Africa”. Il suo corpo senza vita è stato recuperato in serata dai vigili del fuoco. Alla sua identità si è risaliti dai documenti trovati nello zaino. Ad avanzare l’ipotesi che il giovane si sia suicidato perché gli sarebbe stato ritirato il permesso di soggiorno è stata Daniela Padoan in un servizio pubblicato da Il Fatto Quotidiano. Altre fonti non specificano le cause.

(Fonti: Il Gazzettino, The Post International, Il Fatto Quotidiano).

Pomezia, 15 marzo 2017. Suicida un giovane somalo

Un giovane profugo somalo si è impiccato ad un albero in un parco di Pomezia. Si chiamava Maslah Mohamed: aveva appena 19 anni. Da gennaio alloggiava nel centro di accoglienza per richiedenti asilo del quartiere “Roma 2”, tra Pomezia e Santa Palomba, dove era stato trasferito dal Belgio. E’ la tragedia di un “dublinato”: sbarcato in Italia dopo aver lasciato l’Africa, era riuscito a varcare le Alpi ed a raggiungere il Nord Europa, ma al primo controllo è scattato il rimpatrio forzato verso l’Italia in base al regolamento di Dublino, che impone di chiedere asilo nel primo paese Schengen di arrivo. In questo caso, appunto, l’Italia. “Riconsegnato” a Roma, la Prefettura lo ha destinato al Cas di Pomezia. Questo rientro forzato e il lento scorrere del tempo senza aver null’altro da fare che aspettare devono averlo gettato in uno stato di profonda depressione. Ad alcuni compagni di stanza pare avesse confidato di essere disperato. E alla fine questa disperazione lo ha ucciso: ha raggiunto il parco di via Fiorucci, poco lontano dal centro accoglienza dove alloggiava, ed ha deciso di farla finita.

(Fonti: La Repubblica, Il Caffè)

Milano, 7 maggio 2017. Migrante si impicca vicino alla stazione centrale

Un migrante trentunenne originario del Mali si è impiccato nei pressi della stazione centrale di Milano appendendosi con  un cappio a un pilone lungo la massicciata ferroviaria, dal lato della strada, via  Ferrante Aperti, davanti ai passanti. Alcune persone lo hanno visto arrampicarsi sul muro di contenimento del terrapieno della ferrovia e poi gettarsi nel vuoto, dopo aver assicurato la corda al pilone: hanno dato immediatamente l’allarme e i primi soccorritori hanno trovato il giovane ancora in vita, trasportandolo all’ospedale Niguarda, dove però è morto pochi minuti dopo, verso le 13. Non è stato possibile identificarlo subito: indosso non aveva documenti e nessuno lo conosceva presso i servizi di accoglienza comunali, incluso il Casc, il centro aiuto sociale aperto poco distante, in sostituzione dell’hub di via Sammartini. Solo in serata, attraverso le impronte digitali, si è riusciti a risalire al suo nome e a ricostruirne la storia: era arrivato in Italia dal Mali un anno e mezzo fa ed aveva fatto domanda di protezione internazionale. La tragedia fa seguito al discusso maxi-blitz condotto il 2 maggio alla stazione contro i migranti su iniziativa della Prefettura e all’oscuro del Comune.

(Fonti: La Repubblica, Corriere della Sera, Ansa Lombardia)

Ventimiglia, 13 giugno 2017. Annega a 16 anni per un paio di vecchie scarpe

Un migrante sudanese di appena 16 anni è annegato a Ventimiglia per cercare di recuperare un paio di vecchie scarpe. Il ragazzo era arrivato in città da alcuni giorni insieme alla sorella e a un piccolo gruppo di altri giovani sudanesi, con la speranza di poter entrare in Francia. In attesa di trovare l’occasione per passare il confine, si era sistemato alla meglio, insieme ai compagni, nel campo “spontaneo” sorto sotto il ponte del fiume Roja, che ospita circa 250 persone, in condizioni di estremo degrado, senza acqua né tantomeno servizi igienici. Secondo quanto hanno raccontato la sorella e gli amici, nel pomeriggio del giorno 13, verso le 15,30, si era recato sulla vicina scogliera per lavare le sue vecchie scarpe: un’ondata gliele ha fatte scivolare di mano e lui si è gettato in mare d’istinto, vestito, per cercare di recuperarle, ma è stato trascinato via dalla corrente. Il corpo è stato ritrovato soltanto quattro ore più tardi, intorno alle 19,30, dai sommozzatori dei vigili del fuoco, incagliato sott’acqua contro delle rocce, a dieci metri dalla riva. Nel novembre del 2016 un altro giovane profugo, un eritreo, che si era sistemato sotto il ponte sul Roja, è annegato, travolto dalla piena del fiume.

(Fonte: La Repubblica)

Ventimiglia, 12 luglio 2017. Suicida un profugo respinto dalla Francia

Era stato appena rimandato in Italia dalla Francia. Stava camminando lungo l’Aurelia, diretto verso Ventimiglia quando è finito sotto le ruote di un’autobetoniera, morendo sul colpo. Si è pensato inizialmente a un incidente stradale ma, sulla base delle indagini successive, tutto farebbe pensare a un suicidio. La vittima è un ventitreenne originario del Gambia. Arrivato da tempo in Italia, sembra che abbia tentato ripetutamente di varcare il confine francese per stabilirsi oltralpe. L’ultima volta pochi giorni fa, quando è riuscito a raggiungere Marsiglia. Intercettato dalla polizia, non avendo documenti validi per l’espatrio è stato condotto al confine per l’espulsione. Nel primo pomeriggio del 12 luglio è arrivato sotto scorta alla frontiera di Ventimiglia ed è stato costretto a “rientrare”. Lasciato il posto di confine, si è incamminato da solo lungo l’Aurelia. Tra le mani, due buste di plastica con i pochi, poveri effetti personali che gli erano rimasti. Procedeva sul marciapiede in direzione levante quando, a Latte, una frazione occidentale di Ventimiglia, l’autobetoniera lo ha travolto. L’ipotesi iniziale è stata quella di un caso fortuito, ma alcuni testimoni asseriscono che il giovane si è lanciato all’improvviso in mezzo alla strada, proprio mentre la betoniera stava arrivando, confermando la versione dell’autista, un trentaseienne di Ventimiglia. In particolare, una signora che camminava sullo stesso marciapiede ha raccontato di aver visto il ragazzo posare a terra le due buste di plastica e poi scartare improvvisamente verso il centro della strada al passaggio della betoniera, come se avesse lui stesso voluto cercare la morte. L’ipotesi ritenuta più probabile, dunque, è che il giovane, vinto dalla disperazione di essere stato ancora una volta respinto dalla Francia, abbia deciso di farla finita.

(Fonti: Il Secolo XIX, Agenzia Ansa, Riviera 24.it)

Milano, 24 agosto 2017. Profugo afghano suicida al centro di accoglienza.

Un profugo afghano si è suicidato nel centro di accoglienza di via Corelli, l’ex Cie di Milano. Aveva 34 anni. Sbarcato in Italia all’inizio di agosto, ha risalito la penisola fino al Brennero, per tentare di entrare in Austria ma, intercettato dalla polizia austriaca al confine, è stato rimandato indietro in base al regolamento di Dublino. A Milano è arrivato tra il 19 e il 20 agosto, trovando alloggio nel centro di via Corelli gestito dal Comune. E’ emerso subito che si trovava in un grave stato di disagio psichico a causa di una profonda forma di depressione, tanto che il 24, il giorno in cui si è ucciso, gli era stata fissata la visita di uno psichiatra. Lo hanno trovato morto la mattina, verso le otto, in un locale appartato del centro accoglienza: durante la notte ha lasciato la stanza dove alloggiava ed ha deciso di farla finita, impiccandosi con un cappio rudimentale. Non risulta che abbia lasciato un messaggio per spiegare le ragioni del suo gesto, ma appare evidente che deve essere stato determinante il respingimento subito al confine italo-austriaco. “E’ vittima delle ignobili norme europee: non voleva restare in Italia, ma in Italia era costretto a restare”, ha commentato l’Assessore ai servizi sociali Majorino, sottolineando come il disagio psichico sia ormai una vera e propria emergenza pe ri profughi intrappolati dal regolamento di Dublino.

(Fonte: La Repubblica, Fan Page.it, Corriere della Sera)

Bolzano, 7/8 ottobre 2017. Profugo disabile non accolto muore in ospedale

Un profugo iracheno appena tredicenne, affetto da distrofia muscolare, tagliato fuori dai programmi di assistenza benché disabile e minorenne, è morto nel reparto di rianimazione dell’ospedale San Maurizio di Bolzano per una infezione contratta dopo una frattura. Il ragazzo era arrivato in Italia verso la fine di settembre. Era con la sua famiglia, originaria di Kirkuk (i genitori, lui e tre fratelli di 6, 10 e 12 anni), alla quale il governo di Stoccolma aveva negato sia l’asilo che altre forme di tutela internazionale, rimandandola nel paese di “primo sbarco”. Il padre, una volta a Bolzano, si è rivolto ai servizi di assistenza provinciali, ma la sua richiesta è stata respinta in base alla cosiddetta Circolare Critelli, un’ordinanza provinciale che esclude dai beneficiari dell’accoglienza i migranti non assegnati dal Ministero dell’Interno, inclusi quelli respinti e rimpatriati da altri paesi europei. L’intera famiglia ha così passato le prime notti all’aperto e poi in una pensione pagata dai Verdi, dalla comunità islamica di Trento e Bolzano e da varie associazioni umanitarie, come Antenne Migranti e il gruppo Antifa. Venerdì 6 ottobre il ragazzo è caduto accidentalmente dalla sua carrozzella, in seguito all’urto contro un gradino, nel tragitto dalla Questura alla mensa della Caritas, fratturandosi entrambe le gambe. Ricoverato in ospedale, le sue condizioni sono apparse subito gravi, anche a causa della sua malattia. I medici sospettavano un’infezione e stavano effettuando degli accertamenti ma la febbre è salita rapidamente e il ragazzino si è rapidamente aggravato, fino al decesso. E’ poi emerso, tra l’altro, che c’era stato un precedente ricovero, il 2 ottobre, a causa di forti dolori e difficoltà respiratorie. La caduta che poi si è rivelata fatale, dunque, si è verificata poco dopo che era stato dimesso.

Due Stati “sotto accusa”. Le associazioni che hanno assistito il ragazzo a Bolzano mettono implicitamente “sotto accusa” il sistema: “Non sappiamo se questo ragazzino oggi sarebbe ancora vivo se Paesi come Svezia e Italia avessero deciso di rispettare le convenzioni internazionali e le normative relative ai minori. Le responsabilità di questa tragica vicenda sono ancora tutte da accertare…”. Appare inspiegabile, i n effetti, che il ragazzo sia stato respinto in Svezia nonostante le sue condizioni e che in Italia sia stato in pratica abbandonato in strada dalle istituzioni. Duramente contestata, in proposito, la Circolare Critelli. L’Unhcr, in particolare,  ha sollecitato alla Provincia di Bolzano una inchiesta per chiarire “le responsabilità nella gestione dell’accoglienza a livello locale” e chiesto intanto “la necessaria e doverosa abrogazione della Circolare Critelli”.

(Fonte: Sky Tg 24, La Stampa, Sito Are You Syrious).

Cerignola (Foggia), 25 ottobre 2017. Migrante muore di freddo

Un giovane immigrato è morto di freddo nelle campagne di Cerignola, a Borgo Tre Titoli, in provincia di Foggia, dove viveva in una tenda. Si chiamava Daniel Mensah e veniva dal Ghana. Arrivato con uno dei gommoni soccorsi nel Mediterraneo, si era stabilito da mesi in Puglia, dove lavorava come bracciante, nonostante le precarie condizioni di salute, dovute a una grave forma di diabete che gli aveva quasi paralizzato una gamba. Dopo aver abitato per mesi in una vecchia macchina, aveva perso anche questo rifugio precario e si era adattato a dormire in una tenda costruita con teli di plastica. La notte tra il 24 e il 25 ottobre una tempesta di vento ha spazzato via anche questo misero riparo. Daniel Mensah ha cercato di coprirsi alla meglio ma il freddo della notte gli è stato fatale. Alcuni abitanti della zona, trovandolo al mattino intirizzito e semi svenuto, hanno fatto intervenire un’ambulanza del 118 ma quando è arrivato in ospedale era ormai privo di vita. Il decesso, hanno stabilito i medici, è stato provocato da un profondo stato di ipotermia.

(Fonte: Ansa, edizione Puglia)

Codevigo, 15 novembre 2017. Migrante ucciso da un’auto durante una protesta

Un migrante ivoriano di 35 anni è stato travolto e ucciso da un’Auto mentre partecipava a una manifestazione contro le condizioni di accoglienza del grosso hub ricavato nell’ex base militare Nato di Cona, in provincia di Venezia. L’incidente è avvenuto a Codevigo, un paese della provincia di Padova, raggiunto dalla marcia di protesta organizzata da circa 200 migranti, con l’intento di raggiungere la Prefettura di Venezia, per dare maggior forza alla contestazione scoppiata all’interno dell’hub e alla quale hanno aderito tutti gli ospiti, circa 1.300. A scatenare il malcontento, oltre alla situazione generale all’interno della struttura, è stato in particolare il freddo, dopo che i responsabili della cooperativa che gestisce l’hub hanno ritirato numerose stufe mal funzionanti, senza sostituirle nonostante il forte abbassamento della temperatura registrato nei giorni precedenti. Obiettivo del corteo: arrivare a Venezia per convincere il prefetto a chiudere il complesso e a trovare una sistemazione diversa per tutti i 1.300 ospiti. La marcia dei 200 migranti, tutti con le loro masserizie per sottolineare la volontà di non rientrare a Cona, è partita la mattina del 15. La sera del 16, dopo 50 chilometri, ha raggiunto Codevigo, accampandosi lungo la strada, nelle vicinanze della chiesa parrocchiale. E’ lì che il migrante ivoriano stava per unirsi ai compagni, per partecipare anche lui alla marcia, dopo averli raggiunti in bicicletta, quando è stato travolto e ucciso da un’auto il cui conducente, a causa del buio e della nebbia, non lo ha visto attraversare la carreggiata. Dopo l’incidente il parroco ha aperto la chiesa, ospitando per la notte tutti i migranti, che l’indomani mattina hanno ripreso il cammino. Uno dei leader della rivolta, Camarà Alsane, 32 anni, da 18 mesi in Italia, in attesa dell’esito del ricorso contro il respingimento della richiesta di asilo, ha spiegato nei dettagli le condizioni dell’ex base Nato di Cona: “I posti disponibili regolamentari sono 540 ma lì dentro siamo almeno 1.300. Le strutture in muratura sono insufficienti. Gran parte di noi è ammassato in 10 grosse tende, ciascuna con soli 5 bagni e 5 docce disponibili. Tutte con acqua fredda, anche con le temperature basse degli ultimi giorni. Anche il cibo è scadente: sempre pasta al pomodoro…”.

(Fonte: Agenzia Ansa e Repubblica)

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Vittime 2016. Totale: 6

Cagliari, 19 dicembre 2015. Profugo muore tentando la fuga

Un giovane profugo eritreo muore a Cagliari durante un tentativo di fuga dall’ospedale dove era stato ricoverato dopo essere stato assegnato a un centro di accoglienza in Sardegna. Si chiamava Tedros, aveva 23 anni e veniva da Ghinda, capoluogo del distretto omonimo, nella regione costiera del Mar Rosso settentrionale, tra Asmara e Massaua. I funerali si sono svolti solo l’11 gennaio 2016, a causa delle procedure d’inchiesta.

Fuggito dall’Eritrea, Tedros è stato sequestrato due volte, prima da una banda di trafficanti nel deserto del Sahara e poi a una formazione di miliziani in Libia. In entrambi i casi la sua famiglia ha dovuto pagare un riscatto per farlo rilasciare. Poi, finalmente, è riuscito a imbarcarsi per raggiungere l’Italia. Il gommone su cui si trovava è stato intercettato nel Canale di Sicilia. Il gruppo di profughi in cui è stato inserito dopo i soccorsi (285 persone) è stato portato in Sardegna il 4 dicembre 2015 dalla nave spagnola Canarias. Trovato affetto da scabbia e fortemente debilitato per le sofferenze patite durante il viaggio, è stato ricoverato all’ospedale di Cagliari. Era praticamente guarito e prossimo ad essere dimesso quando, il 19 dicembre, ha deciso di scappare: si è calato da una finestra ma è precipitato ed è morto.

(Fonte: Africa Express del 12 gennaio 2016)

Fermo, 5/6 luglio 2016. Profugo ucciso a calci da un ultrà razzista

Un profugo nigeriano, ospite con la moglie del seminario arcivescovile di Fermo, è stato ucciso a pugni e calci da un ultrà razzista della squadra di calcio locale. Si chiamava Emmanuel Chidi Namdi, aveva 36 anni e aveva lasciato la Nigeria, insieme alla compagna, Chinyery, 24 anni, per sfuggire alle violenze dei miliziani di Boko Haram, dopo un attentato contro una chiesa nel quale erano morti la sua figlioletta e i genitori.

A Fermo la coppia è arrivata nel settembre 2015, proveniente dalla Sicilia, raggiunta qualche settimana prima con un dei tanti gommoni carichi di profughi partiti dalla Libia. Anche la traversata è stata particolarmente dura: Chinyery ha perduto il bambino che aveva in grembo a causa di un aborto spontaneo, dovuto probabilmente alla forte debilitazione ma forse anche allo stress e alle conseguenze dell’aggressione e del pestaggio subiti insieme a Emmanuel, in Libia, prima dell’imbarco.

L’aggressione è avvenuta in pieno centro. Emmanuel e sua moglie stavano camminando lungo via XX Settembre quando due fermani hanno cominciato ad insultare Chinyery. Insulti razzisti: sarebbero stati ripetuti più volte, in particolare, frasi come “scimmie africane” e “negri di merda”. Emmanuel ha reagito, chiedendo spiegazioni. Tanto è bastato per scatenare la violenza. Emmanuel nella colluttazione ha afferrato un segnale stradale mobile di metallo, scagliandolo contro l’aggressore, il quale a sua volta gli ha sferrato un pugno violento sul viso, facendolo stramazzare a terra. Nella caduta ha battuto la testa, perdendo i sensi e a quel punto l’aggressore avrebbe continuato a infierire a calci. E’ risultato fatale l’urto contro il selciato, dal quale è derivata una emorragia cerebrale, che lo ha portato in coma irreversibile. Nel pomeriggio del giorno 6 i medici ne hanno decretato la morte clinica. Non era chiaro inizialmente chi per primo avesse afferrato il paletto, ma le indagini hanno stabilito che è stato Emmanuel, come poi ha confermato anche sua moglie, modificando in parte la prima testimonianza. Di certo tutto è cominciato dalla serie di insulti razzisti. Chinyery, la moglie, ha disposto la donazione degli organi di Emmanuel.

(Fonte: Repubblica, Il Fatto Quotidiano, La Stampa, Corriere della Sera).

Giugliano, 21 settembre 2016. In fuga dal campo: travolta e uccisa

Una ragazzina eritrea travolta e uccisa da un’auto, a Giugliano, nella cintura metropolitana di Napoli, poco dopo essere fuggita da un centro di accoglienza. La giovane profuga, poco più che sedicenne, faceva parte di un gruppo di migranti eritree, di età compresa tra i 16 e i 20 anni, condotte al Cas di Giugliano da Lampedusa, dove erano state sbarcate dalla nave della Marina che le aveva soccorse su un gommone alla deriva nel Canale di Sicilia. Volevano tutte essere inserite nel programma di relocation, per poter raggiungere un altro Stato europeo. La sera stessa dell’arrivo al Cas hanno deciso di fuggire da Giugliano tutte insieme, così come tutte insieme avevano attraversato il Mediterraneo.

Non sono noti i motivi di questa decisione: forse il timore di non poter accedere alla relocation o magari i tempi troppo lunghi di attesa. Oppure, come accade spesso, la mancanza di informazioni precise che desta incertezza e sfiducia in tantissimi giovani profughi, inducendoli ad affidarsi a canali clandestini o alle organizzazioni di trafficanti per passare il confine delle Alpi. Sta di fatto che hanno abbandonato il Cas di Giugliano e si sono allontanate a piedi verso Napoli, fino ad arrivare alla strada di Circumvallazione esterna della città, una via a scorrimento veloce, molto trafficata e pericolosa. Il rischio ad attraversarla è evidente, ma le sei ragazze hanno tentato ugualmente. Cinque sono riuscite a passare. Lei ha avuto forse un attimo di esitazione e deve essere rimasta un po’ attardata: un’auto in corsa l’ha investita, uccidendola sul colpo.

(Fonte: Diritti e Frontiere)

Cagliari, 4 novembre 2016. Misteriosa caduta da un albero: eritreo muore

Un giovane profugo eritreo, Alizar Brhane, è stato trovato morente nel centro di accoglienza dove era ospitato dal mese di maggio: era steso sotto un albero, nel giardino dell’albergo Santa Maria, messo dai proprietari a disposizione della prefettura per un Cas. Trasportato in ospedale, è spirato poche ore dopo. Secondo gli amici potrebbe essersi trattato di un suicidio, dovuto alla disperazione e allo sconforto per la lunga attesa di essere ammesso al programma di relocation e raggiungere così un altro paese europeo dove aveva parenti e amici disposti ad aiutarlo. In sostanza, si sarebbe gettato da una finestra o da un terrazzo durante la notte. Secondo la polizia è stato invece un tragico incidente: Alizar, forse rientrato nel centro dopo l’orario di chiusura, potrebbe aver tentato di arrampicarsi sull’albero per entrare da una finestra ma avrebbe perso l’equilibrio, precipitando a terra, lì dove è stato trovato la mattina dopo. A dire degli inquirenti, infatti, pur tenendo conto dello sconforto accumulato eventualmente in precedenza, il giovane non avrebbe avuto motivo di suicidarsi perché aveva appena ricevuto i documenti e il permesso di lasciare il centro accoglienza di Cagliari.

(Fonte: La Stampa, Cagliari Online, L’Unione Sarda)

Borghetto (Trento), 16 novembre 2016. Etiope travolta da un treno

Una giovane profuga etiope è stata travolta e uccisa da un treno mentre camminava lungo la ferrovia, nei pressi di Borghetto, in prossimità del confine tra Trentino e Veneto. Non si è riusciti a stabilire come mai si trovasse sulla massicciata ferroviaria e come sia arrivata sin lì. Indosso non le sono stati trovati documenti, tranne un foglio dal quale risulta che, dopo lo sbarco in Sicilia, sarebbe passata per un centro assistenza di Milano. Sta di fatto che, in piena notte, verso le 22, stava camminando lungo i binari, quando è sopraggiunto un treno diretto a Verona, che l’ha investita. Il macchinista ha riferito di non aver visto nessuno sui binari ma che, essendosi accorto di aver urtato un ostacolo, si è fermato a Peri, la prima stazione, per dare l’allarme. Una pattuglia di vigili del fuoco che ha ispezionato la linea ha poi trovato il corpo senza vita della ragazza. La salma è stata tumulata nel cimitero di Avio.

(Fonte: Il Trentino, Melting Pot)

Ventimiglia, 21/22 novembre 2016. Profugo annega nel Roja in piena

Un giovane profugo eritreo è annegato nel fiume Roja in piena alla periferia di Ventimiglia. Il ragazzo era in città da alcuni giorni: era arrivato nella speranza di trovare l’occasione per passare il confine con la Francia e proseguire poi il suo viaggio verso il Nord Europa. Era senza un alloggio, sia pure provvisorio: non si sa se per mancanza di posti disponibili oppure perché lui e i suoi compagni avevano preferito non rivolgersi ai centri di accoglienza allestiti dal Comune e da volontari. Sta di fatto che il 22, in serata, lui e altri quattro profughi, pure eritrei, hanno cercato riparo sotto il ponte sul Roja della strada statale per Tenda. Il nubifragio che si è scatenato durante la notte ha provocato una piena improvvisa. I suoi compagni si sono rifugiati su un pilone. Lui, a quanto pare, ha cercato di guadare il fiume per andare a cercare aiuto, ma è stato travolto dalla corrente. L’allarme è stato dato la mattina del 22, quando gli altri quattro profughi sono stati visti aggrappati al pilone. Il corpo della vittima è stato trascinato via dal fiume.

(Fonte: .La Repubblica, edizione di Genova)