Dossier vittimeMar Rosso

Mar Rosso

C’è un cimitero anche in fondo al Mar Rosso e all’Oceano Indiano, intorno allo stretto di Bab el Mandeb, con centinaia, migliaia di desaparecidos. Lo stanno riempiendo i profughi e i migranti che dal Corno d’Africa cercano salvezza e futuro verso lo Yemen e gli Stati arabi del Golfo. Inaugurata oltre dieci anni fa, questa via di fuga non si è mai interrotta, nemmeno dopo che, nel 2014, lo Yemen è precipitato nel caos della guerra civile che dura tuttora. Semmai si è attenuata in parte la rotta più diretta, quella verso le coste yemenite e il grande porto di Hodeidah, mentre risulta più battuta quella dell’Oceano Indiano, a sud dello stretto, puntando su Aden e poi da qui, eventualmente, ancora più a est, verso l’Oman e oltre. A percorrerla, questa via di fuga, sono soprattutto somali, etiopi ed eritrei, partendo da Gibuti o dalla Somalia. A migliaia. Secondo l’ultimo rapporto dell’Organizzazione internazionale per l’immigrazione (Oim), nel 2017 sono passati di qui almeno 100 mila profughi. Nella prima metà del 2018, la media si è attestata su 7/8 mila al mese. Tantissimi non ce la fanno: sono frequenti i naufragi e le stragi simili a quelle registrate nel Mediterraneo e crescono di giorno in giorno i pericoli e le sofferenze. Sempre l’Oim denuncia come i migranti in fuga verso lo Yemen siano costretti a subire abitualmente, “da parte dei trafficanti o di altri gruppi criminali, abusi di ogni genere, inclusi stupri, violenze psichiche e fisiche, torture per costringerli a pagare un riscatto, lunghi periodi di detenzione, lavoro schiavo e non di rado la morte stessa”. Eppure continuano a tentare. Perché è una “fuga per la vita”: alle spalle si lasciano una situazione ancora peggiore. E perché pensano di non avere strade alternative, specie a fronte delle crescenti difficoltà della via del Mediterraneo, dopo che si sono progressivamente chiuse le rotte dal Marocco, dalla Turchia e infine dalla Libia, mentre, nello stesso tempo, sono diventati sempre più difficili e rischiosi anche i percorsi di terra, attraverso il Sahara, per arrivare ai punti d’imbarco del Nord Africa.

Di seguito un censimento, sia pure parziale, delle vittime degli ultimi anni. Ancora una cronaca di morte.

Anno 2024

Totale vittime: 88

Gibuti (Easter Rout verso Aden), 8-9 aprile 2024

Almeno 44 vittime (38 cadaveri recuperati e 6 dispersi) nel naufragio di un barcone carico di migranti africani sulla Eastern Route, al largo delle coste del Corno d’Africa. Il battello, un peschereccio yemenita, era partito lunedì 8 aprile dalla costa di Gibuti, puntando verso il golfo di Aden. A bordo c’erano almeno 66 persone, provenienti dalla Somalia e dall’Etiopia. La tragedia è avvenuta dopo poche miglia di navigazione, presumibilmente a causa del sovraccarico e delle cattive condizioni meteomarine. La notizia è stata diffusa martedì 9 da Yvonne Ndege, portavoce dell’ufficio Oim di Gibuti, precisando che i soccorritori erano riusciti a salvare solo 22 naufraghi e, nel corso delle ricerche successive, a recuperare 38 corpi ormai senza vita. Nessuna traccia degli ultimi sei naufraghi.

(Fonte: Al Jazeera, Infomigrants)

Gibuti (Eastern Rout, Godora), 22-23 aprile 2024

Ventitre migranti dispersi in mare e 21 corpi recuperati (44 vittime) in un naufragio nelle acque di Gibuti. Il barcone, un vecchio peschereccio, era partito dalla Yemen, diretto verso il Corno d’Africa. A bordo c’erano 77 migranti “di ritorno”, quasi tutti etiopi. La tragedia è avvenuta a poche miglia dalla costa di Godoria, 140 chilometri a nord est di Gibuti. Non sono chiare le cause e le circostanze precise: sta di fatto che lo scafo si è ribaltato, andando poi a picco. Per i soccorsi è intervenuta la Guardia Costiera, che è riuscita a trarre in salvo solo 33 naufraghi, recuperando poi 21 corpi ormai senza vita. Scomparsi in mare gli altri 23.

(Fonte: Daily Sabah, Al Jazeera, Infomigrants)    

Anno 2023

Totale vittime: 35

Gibuti (Godonoria, Obock), 17 agosto 2023

Almeno 35 vittime (24 dispersi e 11 corpi recuperati) in nel naufragio di una barca in rotta verso il Golfo di Aden, con a bordo oltre 60 migranti tra i quali, secondo il rapporto dell’Oim, 18 donne e due ragazzi minorenni. La tragedia è avvenuta durante la notte di giovedì 17 agosto, al largo di Godonoria, una località nei pressi della città costiera di Obock, circa 110 chilometri a est di Gibuti. Ignote le circostanze e le cause precise ma è verosimile che lo scafo sovraccarico non abbia retto le condizioni del mare. I primi soccorsi sono arrivati da alcune barche di pescatori, che hanno tratto in salvo 26 naufraghi e recuperato 11 cadaveri. Nessuna traccia degli altri, almeno 24 secondo le testimonianze dei superstiti raccolte dall’Oim, nonostante le ricerche condotte nelle ore successive e per l’intera giornata di venerdì 18 agosto dalla Marina di Gibuti.

(Fonte: Infomigrants)

Anno 2021

Totale vittime: 412

Gibuti (Costa di Obock), 3 marzo 2021

Una tragedia con almeno 20 giovani africani annegati nel golfo di Tagiura, al largo di Obock, a Gibuti. Lo ha comunicato Mohammed Abdiker, direttore regionale dell’Oim, Organizzazione mondiale per le Migrazioni, specificando che si tratta dell’ennesima strage attribuibile alle bande di trafficanti che si offrono di trasportare i migranti verso lo Yemen, al di là del Mar Rosso o del Golfo di Aden, senza fornire tuttavia molti particolari su quanto è esattamente accaduto.. Si sa solo che le venti vittime si trovavano su una barca salpata con circa 200 tra etiopi e somali da Oulebi per raggiungere lo Yemen. Non ha fatto molta strada: era ancora all’altezza. di Obok, nella parte settentrionale del golfo di Tagiura, una città portuale 50 chilometri circa a est di Gibuti, quando i trafficanti, constatato che lo scafo era ingovernabile per il sovraccarico, hanno spinto in mare circa 80 migranti. Per almeno 20 non c’è stato scampo. I superstiti, soccorsi dalla Guardia Costiera, sono stati trasferiti presso il centro assistenza dell’Oim a Gibuti. Nelle ore successive sono stati recuperati cinque cadaveri. Le autorità di Gibuti hanno aperto un’inchiesta. Secondo l’Oim, il grosso gruppo di migranti puntava ad arrivare ad Aden, nel sud dello Yemen, per tentare poi di proseguire verso l’Arabia Saudita, una via seguita da un numero crescente di giovani, sia uomini che donne, dopo la chiusura dei confini con l’Etiopia a causa della guerra in Tigrai e dopo che la meta dello Yemen è stata abbandonata a causa del disastro della guerra civile in corso da anni.

(Fonte: Anadolu Agency, Daily Sabah, Africa News)

Sanaa (Yemen), 8 marzo 2021

Almeno 50 migranti africani morti e centinaia di feriti, nello Yemen, per il furioso incendio che ha distrutto il campo profughi di Sanaa. Nella struttura erano ospitati quasi 900 tra profughi e migranti, nella stragrande maggioranza etiopi o somali che, dopo aver raggiunto lo Yemen con le barche dei trafficanti, attraverso il Mar Rosso o il golfo di Aden, erano stati bloccati, in gran parte in prossimità del confine orientale, mentre tentavano di passare in Arabia Saudita. Molti erano lì da mesi, in attesa di essere rimandati in Africa. Non sono chiare le cause dell’incendio. Secondo fonti giornalistiche, però, da giorni era in corso nel campo una protesta contro le condizioni di detenzione e, in particolare, l’enorme affollamento e  la mancanza pressoché totale di misure sanitarie per prevenire la possibilità di contagi da coronavirus. La contestazione sarebbe progressivamente salita di tono, fino a sfociare in uno sciopero della fame e nel blocco degli accessi. Il fuoco si sarebbe innescato durante il tentativo di riprendere il controllo del campo da parte delle forze di polizia del governo ribelle Houthi, che controlla la capitale e il nord ovest del paese. Secondo alcune fonti giornalistiche, in particolare, sarebbero state sparate alcune granate per rimuovere gli ostacoli agli ingressi. Sta di fatto che il fuoco è divampato improvviso e violento in un grosso capannone nel quale o attorno al quale alloggiavano circa 350 persone. Da qui si sarebbe poi propagato all’intera struttura. Si è subito parlato di oltre 500 tra morti e feriti. La prima stime dell’Oim riferivano circa 30 vittime e almeno 130/150 feriti. Il bilancio è diventato però via via più grave. Secondo testimonianze raccolte da Arab News attraverso testimonianze sul posto, i morti sarebbero almeno 50 e 170 i feriti gravi, alcuni dei quali in condizioni critiche. A questi andrebbero aggiunte centinaia di feriti o intossicati lievi. Il governo yemenita con sede ad Aden, riconosciuto dalla comunità internazionale, ha chiesto una indagine indipendente su quanto è accaduto, sostenendo tra l’altro che il contro delle vittime potrebbe essere ancora più grave di quanto è emerso. Il governo Houthi viene anche accusato di  ricattare i profughi/migranti detenuti per costringerli ad arruolarsi nelle sue milizie cvombattenti.

(Fonte: Arab News, Rapporto Oim Yemen, Asia News, Anadolu Agency, Un News, Middle East Eye, Bbc News, Dw News, Al Jazeera, Infomigrants)

Gibuti (Obock), 11-12 aprile 2021    

Almeno 42 morti nel naufragio di un barcone carico di migranti al largo della città portuale di Obock, a Gibuti, nelle acque dell’Oceano Indiano, all’altezza dello stretto di Bab el Mandeb. Tra le vittime, anche molti bambini. Il battello – secondo quanto ha riferito l’Oim, basandosi su notizie fornite dalla France Presse – era partito dallo Yemen con oltre 60 persone a bordo: migranti “di ritorno” che, non avendo altre vie per lasciare il paese sconvolto da anni di guerra, sono stati costretti ad affidarsi ai trafficanti anche per rientrare in Africa. Una traversata difficile, ostacolata dal maltempo e dal mare sempre più mosso. Giunto ad alcune miglia da Gibuti, è stato intercettato da un motovedetta della guardia costiera. Ne è nato un inseguimento durante il quale la barca si è rovesciata e, per più della metà dei migranti a bordo non c’è stato scampo. Le stime iniziali parlavano di 34 vittime. Nelle ore successive è emerso che sono invece almeno 42.

(Fonte: Agenzia Ansa, Avvenire, Anadolu Agency, Taz)

Gibuti-Yemen (Ras al Ara stretto di Bab el Mandeb), 12-13 giugno 2021

Circa 300 vittime tra morti e dispersi nel naufragio di una grossa barca carica di migranti in navigazione tra Gibuti e lo Yemen, nelle acque a sud dello stretto di Bab el Mandeb, tra il Mar Rosso e il golfo di Aden. Il primo bilancio, già terribile, parlava di 200 tra morti e dispersi ma una decina di giorni dopo un funzionario delle Nazioni Unite, David Gressly, coordinatore degli aiuti umanitari, ha precisato che in base alle ultime informazioni hanno perso la vita non meno di 300 persone. La maggior dei migranti venivano dal Corno d’Africa, in prevalenza Etiopia e Somalia: puntavano sullo Yemen solo come tappa, con l’intenzione di proseguire verso l’Oman, l’Arabia o gli Emirati. Pochi altri erano yemeniti. Secondo quanto ha riferito l’ufficio dell’Unhcr, il battello è partito da Gibuti, facendo rotta verso lo Yemen poco a sud dello stretto, uno dei tratti in cui le coste africane e asiatiche sono più vicine e proprio per questo molto frequentato dalle barche dei “passatori” che trasportano migranti. La tragedia si è verificata quando il porto di Ras al Ara, nella provincia yemenita di Lahj, era quasi in vista. Non è chiaro come sia accaduto. Sta di fatto che lo scafo si è ribaltato, probabilmente a causa del sovraccarico. In pratica non c’è stato scampo per quasi nessuno. Si è parlato inizialmente di 25 morti, in base ai cadaveri recuperati da alcuni pescatori, dai quali sono arrivati i primi soccorsi ma che non hanno trovato superstiti. L’ufficio Unhcr di Gibuti ha poi appurato che a bordo dovevano esserci tra 150 e 200 persone e si è cominciato a parlare dunque di decine di dispersi. Nella giornata di martedì 15, come ha riferito l’Associated Press, è poi arrivata la conferma che le vittime erano non meno di 200 e, infine, il 24 giugno, 300, inclusi i 25 cadaveri recuperati.

(Fonte: Associated Press, La Stampa, Asia News, Il Post, Al Jazeera, Bbc News, Ansamed, Avvenire)     

Anno 2020

Totale vittime: 30

Gibuti (rotta del Bab el Mandeb), 4-5 ottobre 2020

Almeno otto profughi etiopi morti e dodici dispersi al largo di Gibuti dopo essere stati costretti a gettarsi in mare dai trafficanti che si erano impegnati a riportarli nel Corno d’Africa dallo Yemen attraverso lo stretto di Bab el Mandeb. Quattordici i superstiti: il massacro è stato ricostruito in base al loro racconto, riferito a funzionari dell’Oim. L’intero gruppo veniva dall’Arabia dove le condizioni dei migranti, specie con il diffondersi della pandemia di coronavirus e per i riflessi della guerra nello Yemen, sono diventate durissime, con migliaia di detenuti in attesa dell’espulsione, senza alcun tipo di assistenza. Raggiunte le coste yemenite, hanno concordato con tre “passatori” la traversata fino a Gibuti su una barca di legno. Quando sono stati in vista della costa africana, però, anziché accostare per cercare un punto di approdo, i trafficanti hanno costretto tutti, donne e uomini, a gettarsi in acqua sotto la minaccia delle armi. La tragedia si è compiuta in pochi minuti. Solo 14 sono riusciti a salvarsi. Nelle ore successive otto corpi senza vita sono stati recuperati in mare e sepolti dalle autorità di Gibuti. Nessuna traccia degli altri 12. L’Oim ha riferito che nelle tre settimane prima di questa strage circa 3 mila migranti africani “di ritorno” sono arrivati a Gibuti dallo Yemen. “Questa tragedia deve metterci in allerta – ha dichiarato Yvonne Ndege, portavoce dell’Oim – Tragedie simili possono ancora accadere perché centinaia di migranti stanno tentando ogni giorno di lasciare lo Yemen affrontando la pericolosa traversata del Bab el Mandeb”.

(Fonte: Rapporto Oim, Al Jazeera, L’Unione Sarda)

Gibuti (rotta del Bab el Mandeb), 15 ottobre 2020

Almeno 10 profughi sono annegati al largo della costa di Gibuti mentre tentavano di rientrare in Africa dallo Yemen. I loro corpi, avvistati in mare poco lontano dalla costa, sono stati recuperati e portati a terra dalla marina gibutiana. La notizia è stata diffusa dall’ufficio Oim del Corno d’Africa ma non si sa praticamente nulla delle circostanze della strage. Appare scontato che c’è stato un naufragio rimasto sconosciuto fino a quando non sono affiorate le prime salme e  che, dunque, le vittime devono essere molte di più. L’Oim ha chiesto di intensificar le ricerche di eventuali dispersi e di predisporre misure di salvataggio per le barche di migranti in arrivo sempre più numerose dallo Yemen. “Nelle ultime settimane – ha dichiarato l’Oim – sono rientrati dallo Yemen a Gibuti più di 2.000 migranti africani, in massima parte etiopi e somali: disperati che non sono riusciti ad arrivare in Arabia a causa della chiusura delle frontiere per la guerra e la pandemia di coronavirus. Sono arrivati stanchi, affamati, bisognosi di assistenza medica dopo l’insidioso tragitto in barca nel Golfo di Aden e il lungo viaggio a piedi fino alla città di Obock attraverso il deserto di Gibuti, dove le temperature raggiungono i 40 gradi”.

(Fonte: Anadolu Agency)

Anno 2019

Totale vittime: 311

Gibuti (Godoria, stretto di Bab el Mandeb), 29-30 gennaio 2019

Una strage di migranti, con oltre 210 vittime, verosimilmente 214, per il naufragio quasi contemporaneo di due barche al largo delle coste di Gibuti, nelle acque del Bab el Mandeb. I due battelli, entrambi vecchi scafi da pesca in legno, sono partiti dalla zona di Godoria, facendo rotta verso il golfo di Aden, nello Yemen, che nonostante la guerra civile che sta devastando il paese da anni, resta la meta di migliaia di profughi del Corno d’Africa, magari come tappa prima di proseguire il viaggio verso l’Oman. A bordo della prima barca, secondo quanto ha dichiarato uno dei pochi superstiti, un ragazzo di 18 anni, c’erano almeno 130 profughi (di cui 16 donne), in maggioranza etiopi ma anche numerosi somali. Si hanno notizie meno precise del secondo natante ma, a giudicare dalle dimensioni, doveva trasportare non meno di un centinaio di persone. Partiti quasi insieme, i due pescherecci hanno navigato l’uno in vista dell’altro. Il mare era molto mosso, con onde alte tre o quattro metri. Proprio alle condizioni meteomarine avverse, sempre secondo il racconto dei superstiti, è da attribuire la causa della tragedia, avvenuta poco più di mezz’ora dopo la partenza, ancora in vista della costa di Gibuti: le due barche si sono rovesciate quasi di colpo, l’una dopo l’altra, e tutti i migranti a bordo sono scomparsi in mare. La Guardia Costiera di Gibuti ha recuperato 16 naufraghi ancora in vita. Nelle ore successive numerosi corpi sono stati trasportati dalle onde sulla spiaggia tra Godoria e Gibuti. In tutto ne sono state trovate 53. Tenendo conto che i migranti a bordo doveva essere complessivamente almeno 230, si calcola che ci siano 161 dispersi, per un totale di 214 vittime.

(Fonte: Associated Press, Al Jazeera, The Guardian, The New York Times, sito web Helena Maleno Caminando Fronteras)

Yemen (Mar Rosso), 13 aprile 2019

Almeno 70 morti nel naufragio di una barca carica di profughi e migranti salpata da una spiaggia sul Mar Rosso, a Gibuti, e diretta verso lo Yemen. Non sono note le circostanze precise della tragedia. Verosimilmente ci sono più componenti, a cominciare dal sovraccarico del natante, che tutte le fonti descrivono come una “barca piccola”. La Tv di Stato di Addis Abeba non si è dilungata in particolari sul naufragio, ma ha riferito che quasi tutte le vittime erano etiopi, circa 60 su 70, provenienti in maggioranza da Atsbi Wenbereta, nella regione del Tigray. Il Governo regionale del Tigray, per parte sua, ha confermato a sua volta  la tragedia, specificando che almeno 40 dei morti erano tigrini. Una decina i somali.

(Fonte: Etv Reports, New Business Ethiopia)

Yemen (Golfo di Aden), 31 luglio 2019

Almeno 15 profughi morti (ma probabilmente molti di più) su una barca rimasta alla deriva per diversi giorni nel Golfo di Aden. Il battello, un vecchio scafo da pesca in legno, era partito da Gibuti verso la fine di giugno. A bordo erano in 90, tutti etiopi: volevano raggiungere Aden e da qui, verosimilmente, proseguire la fuga per cercare di entrare ed essere accolti in Oman, negli Emirati o in uno degli altri Stati arabi della regione. Durante la rotta, quando erano ancora molto lontani dal porto di Aden, il motore è andato in avaria e la barca si è persa alla deriva. Giorni interi in balia del mare, durante i quali sono state esaurite tutte le scorte di cibo e di acqua. Nessuno si è accorto della tragedia che si stava consumando. Prima che arrivassero i soccorsi, il 31 luglio, diversi migranti sono morti di sete e di sfinimento. “Alcuni, quasi impazziti dalla sete e dalle sofferenze – hanno raccontato i superstiti – si sono gettati in mare, lasciandosi affogare”. Il calvario è finito solo quando la barca è stata casualmente avvistata e soccorsa. I superstiti sono stati portati ad Aden. Erano tutti allo stremo, tanto che alcuni sono morti poco dopo, prima ancora di arrivare in ospedale. Le comunicazioni ufficiali parlano di “almeno 15 vittime”, ma sembra che questo bilancio non comprenda i migranti che sono morti nell’imminenza dell’arrivo ad Aden o subito dopo, quando erano già a terra.

(Fonte: Eritrea Hub, Agenzia Reuters, Jerusalem Post)

Yemen (Saada), 26 dicembre 2019

Erano migranti etiopi 12 delle 17 vittime civili del bombardamento condotto a Sadaa, nello Yemen, contro un mercato, Al Raqw Marcket, affollato di gente, nel cuore della città. L’attacco è stato scatenato nel corso della mattinata ad opera di una formazione di cacciabombardieri della coalizione saudita in lotta contro le forze ribelli degli Houti filo iraniani, che hanno conquistato gran parte del paese. Alla identificazione delle vittime, insieme alle autorità locali, ha partecipato anche personale delle Nazioni Unite ed è’ stata appunto la delegazione Onu a comunicare che c’erano ben 17 morti tra i civili e che 12 risultavano migranti o rifugiati etiopi, denunciando che attacchi del genere sono frequenti nella guerra civile in corso, pur costituendo una palese, grave violazione del diritto internazionale. Ai morti vanno aggiunti decine di feriti, almeno 70.

(Fonte: Open the Way Live Tv)

Anno 2018

Totale vittime: 172*

Yemen (Golfo di Aden), 23/26 gennaio 2018

Almeno 30 profughi in fuga dal conflitto nello Yemen sono morti nel naufragio di un barcone da pesca nel golfo di Aden. Il battello era salpato la mattina del 23 gennaio dalla costa di Al Buraiqa, non lontano da Aden. A bordo erano in 152 tra uomini e donne: 101 etiopi e 51 somali, profughi che, fuggiti dal Corno d’Africa nei mesi o addirittura negli anni scorsi per cercare rifugio in Yemen o nella Penisola Arabica, avevano deciso di ritornare nel Corno d’Africa, per sottrarsi alle violenze della guerra tra i ribelli Houti insediati a Sana’a e la coalizione a guida saudita che sostiene il governo e le forze legittiste ripèarate ad Aden. Dovevano attraveresare il golfo di Aden per raggiungere Gibuti, con l’intenzione di chiedere asilo o eventualmente di proseguire la fuga verso altri Stati africani. A provocare la strage sono stati gli stessi trafficanti ai quali i profughi si erano rivolti per compiere la rottta inversa a quella percorsa quando si erano rifugiati nel sud dello Yemen. L’imbarco è avvenuto senza problemi. Durante la navigazion, quando erano ormai da ore in mare aperto – hannao raccontato alcuni dei supersiti – l’equipagfgio degli scafisti ha preteso altro denaro per con tinuare il viaggio fino a Gibuti, minacciando in caso contrario di tornare immediatamente indietro. Ne è nata una decisa protesta, quasi una sommossa, guidata da alcuni dei profughi più decisi e, per sedarla, gli scafisti non hanno esitato a sparare. Nel tentativo di ripararsi o per la paura di essere colpiti, quasi tutti i 152 profughi si sono ammassati su un lato del barcone, compromettendone l’assetto e facendolo rovesciare. I soccorritori, arrivati dala costa yemenita, hanno tratto in salvo oltre 100 naufraghi e recuperato almeno 30 corpi senza vita, ma si teme che ci siano anche dei dispersi. Per ricostruire con maggiore precisione le circostanze del naufragio, anche alla luce della sparatoria ad opera dei trafficanti, sono state aperte due inchieste: la prima della Guardia Costiera e l’altra condotta dall’Unhcr, che ha pubblicato un primo rapporto il giorno 26.

(France Press, Un News Center, Daily Sabah Mideast, Abs News, The Independent, Al Jazeera)

Yemen (Golfo di Aden), 6 giugno 2018

Sessantadue vittime (46 morti e 16 dispersi) nel naufragio di un vecchio peschereccio carico di migranti al largo delle coste dello Yemen, nel golfo di Aden. Il barcone era partito il giorno 5 dal porto di Bosasso, in Somalia, con a bordo cento profughi eitopi e somali (83 uomini e 17 donne) facendo rotta verso il porto di Aden, lungo la rotta che passa a sud dello stretto di Bab el Mandeb, nell’Oceano Indiano, per trovare rifugio nello Yemen o proseguire eventualmente la fuga verso l’Oman. Era ancora a qualche chilometro dalla riva quando, nelle prime ore del mattino del 6 giugno, forse a causa del sovraccarico, si è rovesciato affondando in pochi minuti. Nessuno dei profughi a bordo aveva un giubbotto di salvataggio: si sono salvati soltanto quelli che hanno potuto aggrapparsi a qualche relitto, riuscendo in qualche modo a tenersi  agalla. I soccorritori, giunti da Aden, hanno potuto salvare complessivamente 38 persone e recuperato 46 corpi senza vita. Alcuni dei superstiti hanno subito segnalato che il mare aveva porttao via numerosi altri compagni. Le ricerche si sono protratte fino a sera ma dei dispersi non è stata trovata traccia.

(Fonte: Anadolu Agency, Al Jazeera, rapporto Oim Ginevra)

Yemen (provincia di Shabwa), 18-19 luglio 2018

Un barcone carico di profughi si è rovesciato al largo delle coste della provincia yemenita di Shabwa. Non è stato specificato il numero delle vittime, ma tra morti e dispersi è ipotizzabile che siano molte decine, almeno la metà ma forse anche di più) dei 160 tra uomini e donne 100 somali e 60 etiopi) che erano a bordo. Le autorità di polizia e alcuni leader tribali hanno comunicato che il battello, un vecchio peschereccio di legno, era partito dal porto di Bosaso, in Somalia, uno dei principali porti d’imbarco per i migranti sulla rotta dell’Oceano Indiano. Navigando verso est, ha superato Aden e si è spinto più a oriente, puntando forse verso l’Oman oppure proprio sul litorale della provincia di Shabwa, dove si è verificato il naufragio, per cause e in circostanze che lo stretto riserbo della polizia e degli stessi capi tribali non ha consentito di chiarire.

(Fonti: Associated Press, Sbs News, Yhaoo News, The Garden Island, Tg La 7 ore 13,30, Il Fatto Quotidiano)

Nota

*Ipotizzate almeno 80 vittime nel naufragio del 18-29 luglio

Anno 2017

Totale vittime: 146

Yemen (Hodeidah), 15 marzo 2017

Almeno 42 uccisi e numerosi feriti, di cui 24 in modo grave, su un barcone carico di profughi somali mitragliato e affondato da un elicottero da combattimento nel Mar Rosso, a poche miglia dallo stretto di Bab al Mandeb, al largo del porto pescherecio e commerciale di Hodeidah, sulla costa yemenita. Il battello stava facendo rotta verso il Sudan: a bordo oltre 120 rifugiati arrivati mesi o addirittura anni prima in Yemen per salvarsi dalla guerra civile in Somalia e costretti a una nuova fuga, sotto la tutela dell’Unhcr, a causa del conflitto e della carestia che hanno investito dal 2014 anche lo stesso Yemen. Non è chiaro di dove la barca sia salpatra: se dalla zona di Hodeidah o più a sud, sul litorale del Golfo di Aden, al di là del Bab al Mandeb. Quando l’elicottero l’ha l’ha presa di mira, la sera del 15 marzo, quando era già quasi buio, navigava a poche miglia dallo stretto, quasi di fronte ad Hodeidah. Inspiegabili i motivi dell’attacco. L’elicottero, un Apache d’assalto fabbricato in America, quasi certamente appartiene alla flotta aerea della coalizione a guida saudita che si oppone ai ribelli sciiti Houti che hanno conquistato gran parte del paese, scacciando il presidente Mansour Hadi, riparato ad Aden, nell’estremo sud, sotto la protezione dell’Arabia e del Qatar. Trovandosi nei pressi di Hodeidah, controllata dagli Houti e colpita nelle ultime settimane da pensati bombardamneti e raid aerei sauditi, l’equipaggio dell’elicottero deve aver ritenuto che fosse un natante in qualche modo legato ai ribelli, decidendo così di distruggerlo nonostante non si trattasse con ogni evidenza di un obiettuvo militare. Colpito in pieno il barcone è affondato rapidamente. I primi soccorsi sono arrivati da alcune barche di pescatori yemeniti, che hanno recuperato 42 cadaveri e tratto in salvo un’ottantina di naufraghi, molti dei quali feriti. Tra le vittime, tante donne e tanti bambini. Non è escluso che ci siano anche dei dispersi, perché secondo alcune fonti al momento della partenza sul barcone avrebbero preso posto 130/140 persone.

(Fonte: Al Jazeera, El Diario, Ansa, Globalist, Avvenire, Il Manifesto, In Terris)

Yemen (Shabwa), 9 agosto 2017

Almeno 50 migranti annegati nel golfo di Aden, Oceano Indiano, di fronte alle coste dello Yemen, dopo che i trafficanti li hanno costretti a gettarsi in acqua dal barcone dove erano stipati insieme a non meno di altri 70. La strage è stata ricostruita da Laurent de Boeck, capo della missione Oim nella regione, sulla base del racconto di alcuni dei sopravvissuti. La barca era salpata dalla Somalia, non è chiaro se dal Puntland o dal Somaliland, con 120 migranti a bordo, quasi tutti minorenni, fuggiti dalla stessa Somalia, dall’Etiopia e dall’Eritrea. Chiusa la rotta del Mar Rosso tra l’Africa e la costa yemenita, molto più facile e breve, a causa della guerra civile che sconvolge da anni lo Yemen e con le vie di fuga verso nord e il Mediterraneo sempre più blindate e incerte, si stanno moltiplicando i tentativi di raggiungere via mare, a sud dello stretto del Bab el Mandeb, le regioni yemenite più orientali e da qui magari proseguire via terra verso l’Oman: secondo le stime dell’Oim, dall’inizio dell’anno sono non meno di 55 mila (di cui un terzo donne) i migranti che hanno percorso questo itinerario, in massima parte dalla Somalia, dall’Etiopia (soprattutto dalla regione dell’Ogaden) e dall’Eritrea. Gli stessi paesi dei 120 che erano sul “barcone della strage”. Non si sa se puntassero ad andare direttamente nell’Oman via mare o se fossero diretti nello Yemen, contando di poter sbarcare facilmente perché, con la guerra in corso, i controlli sono pressoché inesistenti o comunque aleatori. Sta di fatto che mentre navigava a poco distanza dalla riva di fronte al porto di Shabwa, la barca è stata avvistata da una motovedetta della polizia. I trafficanti, per sottrarsi alla cattura, hanno accostato e poi costretto i migranti a gettarsi in acqua. La spiaggia, in realtà, era ancora molto lontana e difficilmente raggiungibi.le a nuoto. Almeno in 50, infatti, hanno perso la vita. Sulla spiaggia sono state trovate 29 salme, sepolte a fior di sabbia dai compagni prima di allontanarsi e alcuni dei superstiti hanno riferito che almeno 22 compagni risultavano dispersi.

(Fonte: Il Fatto Quotidiano, Agenzia Ansa, Repubblica, El Diario)

Yemen (Shabwa), 10 agosto 2017

Hanno perso la vita in 55 su 180: di cinque è stato recuperato il cadavero, almeno 50 risultano dispersi. Le vittime sono profughi giovanissimi, la maggior parte appena adolescenti fuggiti dalla Somalia, dall’Etiopia e dall’Eritrea. E’ la fotocopia della tragedia verificatasi il giorno prima (49 morti): i trafficanti hanno costretto l’intero gruppo a gettarsi in mare a una certa distanza dalla riva e molti non ce l’hanno fatta a raggiungere la spiaggia. Anche la zona è la stessa: la costa yemenita della provincia di Shabwa, nel Gofo di Aden, Oceano Indiano. A scoprire la strage sono stati alcuni funzionari dell’Oim che, tornati sul litorale di Shabwa per completare le indagini sul massacro del giorno prima, hanno trovato cinque cadaveri spiaggiati e incontrato alcuni superstiti i quali, prima di dileguarsi, hanno ricostruito la vicenda e segnalato che altri 50 loro compagni erano scomparsi in mare. Il barcone era salpato dalla Somalia. A bordo, in maggioranza, migranti somali giovanissimi, ma anche alcuni eritrei ed etiopi dell’Ogaden. Identica a quella del battello del giorno prima la rotta, nel Golfo Aden in direzione est, per sbarcare nella zona orientale dello Yemen o magari raggiungere l’Oman. Al largo di Shabwa gli scafisti hanno costretto tutti a saltare in mare. Chi ha cercato di fare resistenza è stato gettato fuoribordo con la forza. Poi la barca ha invertito la marcia ed ha puntato verso la Somalia. Meno di 130 dei naufraghi ce l’hanno fatta a mettersi in salvo a nuoto.

La denuncia dell’Oim. Queste due stragi “gemelle” nel giro di appena 24 ore, con oltre 300 migranti costreti a buttarsi in acqua dagli scafisti e più di cento vittime, ha destayo un allarme particolare tra i funzionari dell’Oim, che chiedono un intervento a livello internazionale. Il timore è che quella di costringere i migranti trasportati a saltare fuoribordo abbandonandoli in mare, anche a notevole distanza dalla riva, diventi una “pratica” abituale. “L’intensificarsi dei controlli non ferma i flussi – si afferma – Semmai li rende più diffiicili e pericolosi. I trafficanti sanno di correre rischi maggiori e allora non esitano a disfarsi in qualsiasi modo dei migranti, al minimo segnale di allarme o magari al minimo contrattempo”.

(Fonte: Aljazeera, Repubblica, Tg Com 24, Euronews)     

Anno 2016

Totale vittime: 106

Somaliland (porto di Bossaso), 8/9 gennaio 2016

Almeno 106 morti sul relitto di un barcone carico di profughi alla deriva al largo delle coste del Somaliland. L’imbarcazione, un vecchio battello da pesca in legno, era salpato dal porto di Bossaso circa due settimane prima del ritrovamento. A bordo, al momento della partenza, c’erano a quanto pare non meno di 180 migranti circa, tutti rifugiati somali ed etiopi di etnia somala, presumibilmente provenienti in maggioranza dall’Ogaden e dall’Oromia, le due province etiopiche dove è in corso da anni un forte contrasto con le autorità centrali di Addis Abeba. Si pensa che volessero raggiungere una località non identificata della Penisola Arabica: data la guerra in corso nello Yemen, presumibilmente puntavano verso l’Oman, molto più lontano ma più sicuro. Ignote le circostanze che hanno bloccato la rotta. Sta di fatto che il barcone è rimasto a lungo alla deriva. Quando è stato rintracciato a bordo c’erano dieci cadaveri e 72 giovani ormai allo stremo, molti dei quali esanimi. Le ricerche successive hanno consentito di recuperare altre 96 salme. Le vittime accertate sono dunque 106, ma non è escluso che ci siano anche dei dispersi.

La rotta del Mar Rosso e Oceano Indiano è da anni una via di fuga alternativa a quella verso il Mediterraneo per i profughi del Corno d’Africa.

Nel 2014 è stato riconosciuto il diritto d’asilo come rifugiati a 35.900 somali, di cui 17.600 nello Yemen, 11.500 in Kenya, 6.300 in Etiopia.

(Fonte: El Diario Es.).

Anno 2014

Totale vittime: 263

Yemen (Golfo di Aden), ottobre, giorno imprecisato

Nel naufragio di un barcone avvenuto nel Golfo di Aden morti 64 migranti e tre membri dell’equipaggio. Imprecisate le circostanze e le cause della tragedia, forse attribuibile al mare in tempesta e alle cattive condizioni del battello: la notizia è stata riportata da Al Jazeera senza particolari e solo come “precedente”, nell’ambito di un servizio relativo ad un altro naufragio. Viene riferito per certo che l’imbarcazione era partita dalla Somalia e stava seguendo una rotta a sud dello stretto di Bab el Mandeb. E’ presumibile che tutte le vittime siano profughi somali.

(Fonte: Al Jazeera)

Yemen (Al Makha), 8 dicembre 2014

Almeno 70 migranti annegati nel naufragio di un barcone all’ingresso del Mar Rosso, al largo delle coste dello Yemen, di fronte alla città portuale di Al Makha, che si trova quasi  all’imbocco dello stretto di Bab al Mandeb. La causa della sciagura, a quanto riporta il sito online di Le Monde e come hanno riferito all’Associated Press le autorità della provincia di Taiz, sarebbe stato il maltempo: il barcone, una vecchia “carretta” stracarica, non avrebbe retto alla furia di una tempesta. Non ci sarebbero superstiti. Tutte le vittime erano di nazionalità etiope, probabilmente giovani di etnia somala, provenienti dalle regioni dell’Ogaden e dell’Oromo.

Altri naufragi a Taiz (maggio: 60 morti) e nel Bab el Mandeb (marzo: 42 morti). Si tratta del naufragio più tragico dell’anno al largo dello Yemen, seguito da quello avvenuto nel mese di ottobre nel golfo di Aden, con 67 vittime: 64 profughi e tre membri dell’equipaggio del barcone. Altre decine di morti, almeno 60, quasi tutti somali – riferisce il sito di Le Monde – si sono registrati nel braccio di mare di Taiz per l’affondamento di un’altra imbarcazione il 31 maggio. Voci raccolte tra i profughi parlano comunque anche di altre vittime in episodi meno clamorosi ma tutt’altro che infrequenti. Non solo: secondo Al Jazeera, nel mese di marzo un’altra grave tragedia si è verificata di fronte alla costa meridionale dello Yemen, nel Mare Arabico, a sud dello stretto di Bab al Mandeb, la via di fuga parallela a quella del Mar Rosso: 42 migranti morti nel naufragio di un barcone partito sempre dal Corno d’Africa. Solo con i quattro episodi principali, tra marzo e i primi di dicembre si arriva ad almeno 239 vittime, inclusi tre scafisti. La via di fuga del Mar Rosso e del Mare Arabico, dal Corno d’Africa verso lo Yemen, “aperta” ormai da anni, si è fortemente incrementata di recente dopo la chiusura della via del Sinai e le crescenti difficoltà di quella attraverso il Sudan e la Libia. Secondo i dati più recenti dell’Unhcr, negli ultimi cinque anni sono arrivati nello Yemen, seguendo questo percorso, almeno 500 mila migranti. Molti hanno poi proseguito il viaggio verso l’Arabia, l’Oman ed altri emirati. Un “ramo” della stessa via si prolunga fino all’Australia: partendo dallo Yemen, si prosegue attraverso l’Arabia o gli Emirati e poi, via terra o in aereo, fino alla Cambogia o al Viet Nam, paesi nei quali non è previsto il visto consolare ma solo una tassa d’ingresso che si può pagare direttamente al posto di frontiera dell’aeroporto.  Dopo una sosta più o mano lunga in Vietnam o in Cambogia, infine, i profughi raggiungono in qualche modo l’Indonesia, da cui parte la via marittima clandestina aperta a suo tempo dai boat-peoples vietnamiti verso l’Australia.

(Fonte: La Stampa, Repubblica, Le Monde edizione online, Al Jazeera)

Yemen (Al Makha), 29 dicembre 2014

Nel naufragio di un barcone al largo della città portuale di Makha, nello Yemen, provincia di Taiz, morti almeno 24 migranti. Come riferisce il portavoce del ministero degli interni, il bilancio si basa sul numero dei corpi recuperati dalla Guardia Costiera, ma potrebbero esserci anche dei dispersi. Ignota l’identità di buona parte delle vittime. E’ presumibile, tuttavia, che siano tutti etiopi, in maggioranza di etnia somala, come quelle identificate. La sciagura è avvenuta nelle stesse acque in cui, meno di un mese prima, si è registrato il naufragio di un altro barcone di profughi, con 70 morti circa.

Dal primo gennaio 263 vittime. Riferendo la notizia, Al Jazeera riporta anche il tragico bilancio dei profughi morti durante la fuga, nelle acque dello Yemen (Mar Rosso e Golfo di Aden), nel corso del 2014. Secondo i dati riferiti dal Commissariato Onu per i rifugiati, sarebbero 223 ma questa cifra appare sottostimata: anche sommando soltanto le vittime delle quattro tragedie più gravi riferite dalla stampa nell’arco dell’anno, si arriva a 263, inclusi tre scafisti. Senza contare gli affondamenti e gli incidenti minori emersi ufficiosamente dai racconti degli stessi migranti. In ogni caso, rileva la stessa Al Jazeera, anche “solo” 223 è un conto finale superiore di ben 179 vittime rispetto al bilancio unificato dei tre anni precedenti (dal 2011 al 2013). E’ fortemente cresciuto, del resto, anche il numero dei profughi arrivati dal Corno d’Africa sulle coste yemenite: oltre 82 mila nell’arco del 2014 contro i 65 mila del 2013. La stima del ministro degli interni è ancora più alta: una media di 100 mila arrivi l’anno, includendo però, oltre al Corno d’Africa, anche l’area sub sahariana.

(Fonte: Al Jazeera)