Storie

Migranti: accordo Ue con la Tunisia, che già blocca deporta e uccide

di Emilio Drudi

All’inizio di luglio una giovane originaria della Guinea è morta nella terra di nessuno al confine tra la Tunisia e la Libia, dando alla luce un figlio. Anche il bimbo è morto. Faceva parte di un gruppo di migranti subsahariani abbandonati nel deserto, senza acqua né cibo, dopo essere stati trascinati dalla polizia fino alla frontiera a est di Ben Gardane, vicino al posto di controllo libico di Ras Agedir. Alcuni giorni dopo, sempre al confine tra la Tunisia e la Libia, ma più a sud, verso Bahiret el Bibane, in pieno Sahara, un altro migrante subsahariano, Mousa Dembeley, si è sentito male ed è morto, verosimilmente per un colpo di calore. Lo ha raccontato ad Al Jazeera il fratello, Ousman: “Io, Mousa e numerosi altri siamo stati presi dalle forze di sicurezza tunisine e abbandonati qui, senza acqua, senza nulla per ripararci dal sole se non qualche rado albero, senza la possibilità né di tornare indietro né di entrare in Libia. E’ tutto questo che ha ucciso mio fratello. Il suo corpo ora sta bruciando nel deserto: non posso neanche seppellirlo…”. Ma ci sono casi analoghi anche al confine con l’Algeria. Tra il 4 e il 10 luglio i cadaveri di due giovani sono stati trovati in punti diversi del deserto di Hazoua, a sud ovest di Kasserine, a breve distanza dalla frontiera algerina. Due ragazzi morti di sete e di sfinimento.

Sono alcune delle vittime della campagna di deportazione di massa scatenata dallo stesso presidente Saied contro i migranti subsahariani, con l’accusa razzista di compiere nel paese “una sostituzione etnica ai danni dei tunisini”. E queste violenze terribili sono confermate da numerose altre testimonianze raccolte da Human Rights Watch e da Al Jazeera. “Ogni notte vengono (gli agenti di polizia tunisini: ndr) e ci picchiano – ha raccontato Cini Kamada, originaria della Sierra Leone incinta di sette mesi – Sono stressata. Non so cosa succederà al mio bambino. Non si muove più…”. Altri hanno detto che le guardie di frontiera non esitano a sparare, ad altezza d’uomo, se qualcuno prova a tornare indietro. Una delle ultime testimonianze l’ha raccolta domenica 16 luglio una pattuglia della polizia libica che ha sorpreso vicino al confine con la Tunisia un piccolo gruppo di migranti quasi esanimi i quali, appena sono stati in grado di parlare, hanno riferito che alcuni loro compagni si erano separati, rimanendo indietro, e forse erano scomparsi nel deserto.

Domenica 16 luglio è lo stesso giorno in cui l’Italia e l’Unione Europea – rappresentate dalla premier Giorgia Meloni, dalla presidente Ursula von der Leyen e dall’olandese Mark Rutte – hanno firmato un memorandum d’intesa con il presidente Saied. L’accordo prevede vari capitoli – assistenza finanziaria, economia, energia, ecc. – ma l’obiettivo immediato, ribadito sia dai leader europei che da Saied, è quello di bloccare o quanto meno ridurre i flussi migratori. A questo scopo la Ue ha messo a disposizione subito 105 milioni di euro e previsto un piano di controllo nel Mediterraneo e di incremento dei rimpatri. Una necessità, si è detto, dovuta al fatto che, dei quasi 78 mila migranti arrivati quest’anno in Italia via mare, oltre 35 mila (almeno l’ottanta per cento subsahariani) si sono imbarcati in Tunisia. Però la Tunisia già svolge questo compito spietato di gendarme: da gennaio ad oggi le sue forze di sicurezza hanno bloccato complessivamente 35.960 disperati, più di ogni altro paese mediterraneo: 31.192 in mare e gli altri (4.768) arrestati a terra prima dell’imbarco o nelle retate come quelle degli ultimi giorni, concluse con la deportazione nel deserto di circa 1.300 persone, incluse donne e bambini, verso i confini con la Libia e l’Algeria. Che cosa si vuole di più? Che la Tunisia sia un gendarme ancora più spietato? Del resto, dai premier europei non si è sentita una sola parola di condanna delle violenze e dei veri e propri pogrom che, specie a Sfax, hanno fatto seguito alle accuse razziste di Saied e affiancato le forze di sicurezza, giungendo persino a togliere la casa a migliaia di migranti subsahariani e costringendoli a vivere per strada, lontano dai centri abitati.

Nel sito dell’Unione Europea si legge che “i diritti dell’uomo rivestono un’importanza decisiva nelle relazioni della Ue con altri paesi e regioni del mondo”. C’è da chiedersi se Giorgia Meloni, Ursula von der Leyen e Mark Rutte abbiano mai letto queste parole. Giorgia Meloni, anzi, sembra aver dimenticato anche il terzo comma dell’articolo 10 della nostra Carta Costituzionale: “Uno straniero al quale nel suo Paese sia impedito di esercitare le libertà democratiche garantite dalla Costituzione Italiana ha diritto d’asilo nel territorio italiano, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Forse perché anche nel governo italiano prevale il timore della “sostituzione etnica” paventato settimane fa, in linea con Saied, dal ministro Lollobrigida?

Nella foto: migranti subsahariani abbandonati nel deserto al confine tunisino