Stragi nel Mediterraneo: il Parlamento rinnova le complicità dell’Italia
di Emilio Drudi
Samy era un ragazzo poco più che ventenne. Veniva dal Camerun. I suoi sogni di un futuro migliore sono finiti a Tripoli, dove è morto per le conseguenze delle torture subite in un centro di detenzione. Arrivato in Libia nei primi mesi del 2021, era riuscito a imbarcarsi con altre decine di migranti subsahariani per cercare di raggiungere l’Italia, ma il gommone è stato intercettato e bloccato sulla rotta per Lampedusa da una delle motovedette fornite proprio dall’Italia alla Guardia Costiera libica. Riportato di forza a terra, è rimasto rinchiuso per circa sette mesi in un campo-lager, sottoposto a un trattamento durissimo. Non di rado a vere e proprie torture. Quando è stato liberato, verso la metà dello scorso marzo, era allo stremo. Alcuni attivisti della Ong Mediterranea, con i quali era entrato in contatto durante la prigionia e ai quali ha raccontato la sua storia, hanno parlato con lui, per l’ultima volta, domenica 27 marzo, con una videochiamata. Al di là delle parole, le immagini del suo corpo scheletrito erano la prova più evidente delle sofferenze che ha patito nel lager. Poco dopo questo contatto si è sentito male ed è stato portato in ospedale, ma era ormai troppo debole e non ce l’ha fatta a riprendersi: è morto nelle prime ore di martedì 29 marzo.
E’ una tragedia di cui non si è ancora spenta l’eco. Anche perché viene alimentata di continuo da un susseguirsi di tragedie simili. L’ultima – come hanno denunciato alcune organizzazioni umanitarie di Nador – è del 31 luglio. Due giovani marocchini morti nel centro di detenzione dove erano stati rinchiusi, nei sobborghi di Tripoli: uno per i maltrattamenti subiti, l’altro – malato e con forti dolori addominali – abbandonato senza cure ed assistenza.
A questo orrore ha portato la politica di chiusura ed esternalizzazione delle frontiere adottata dall’Unione Europea e dall’Italia ormai da vent’anni. Ma questo orrore lascia indifferenti il nostro Governo e il nostro Parlamento. Lo dimostra la recente approvazione da parte delle commissioni esteri e difesa, sia al Senato che alla Camera, del decreto missioni: in particolare la scheda 47 ma soprattutto la 33, che riguardano appunto la Libia. Con questo provvedimento, infatti, l’Italia ribadisce la delega a Tripoli per il “lavoro sporco” della cattura e dei respingimenti in mare dei migranti che sono riusciti a imbarcarsi, facendo finta di ignorare quale sorte terribile è riservata ai ragazzi riconsegnati ai lager libici: proprio come è successo a Samy.
Respingimenti inumani, che non rende certamente meno gravi il fatto che non siano operati direttamente da navi italiane ma attraverso la Marina e le forze di sicurezza libiche: quanto meno si profila una ipotesi di complicità e corresponsabilità. Se non peggio. Non a caso gli accordi italo-libici (specialmente il memorandum firmato il 2 febbraio 2017, con il governo Gentiloni e Minniti a capo del Viminale) sono stati duramente criticati non solo da tutte le Ong ma soprattutto dalle Nazioni Unite. Eloquente la denuncia dell’alto commissario per i diritti umani Zeid Ra’ad Al Hussein, che ha definito come “disumana” l’assistenza fornita dall’Italia e dalla Ue alla Guardia Costiera libica, rilevando come questo genere di interventi abbia peggiorato la situazione dei migranti, le cui sofferenze – ha detto – sono “un oltraggio alla coscienza dell’umanità”. Allo stesso modo, il Comitato contro la tortura, sottolineando come la gestione dei migranti in Libia sia in larga parte condotta da gruppi paramilitari, ha affermato esplicitamente che il memorandum del febbraio 2017, è stato sottoscritto “a dispetto delle sistematiche e generalizzate violazioni dei diritti umani poste in essere contro i migranti nei centri di detenzione”, integrando così una politica di respingimento sistematico dei migranti che cercano di arrivare in Italia. In buona sostanza, un crimine contro l’umanità.
Si sperava che quest’anno potesse esserci un’inversione di rotta. Quanto meno, un tentativo di stop al mandato conferito da Roma a Tripoli. Induceva a crederlo tutta una serie di prese di posizione che sembrava si fossero fatte strada nel Pd. Punto di partenza, il documento approvato dall’assemblea del partito nel febbraio 2020 (nell’ultimo periodo della gestione Zingaretti), che chiedeva una “discontinuità” con la politica Gentiloni-Minniti adottata fino ad allora. E’ vero che quel documento è stato poi “dimenticato” e ignorato in aula, in occasione del rinnovo del Memorandum votato nel 2021, ma negli ultimi mesi si sono levate di nuovo diverse voci che chiedevano un deciso cambiamento, aprendo la strada all’impegno a non accettare più la collaborazione “ad occhi chiusi” con la Libia e di fatto la delega totale a Tripoli per il controllo del Mediterraneo centrale. Proprio con gli stessi argomenti evidenziati dalle Nazioni Unite e in contrasto, oltre tutto, con le dichiarazioni di stima e riconoscenza fatte dal premier Mario Draghi al governo libico in occasione della sua visita a Tripoli. Lo stop, invece, non è arrivato: il decreto non è stato neanche portato in aula ed è passato sostanzialmente senza alcuna vera opposizione del Pd. Non sembra possa definirsi “opposizione”, infatti, la decisione di non partecipare al voto. Anzi, non può definirsi nemmeno un vero “distinguo”: piuttosto una evidente ipocrisia, perché era fin troppo chiaro che decidere di non votare avrebbe comunque lasciato campo libero all’approvazione da parte dei partiti di destra.
Contro questa decisione di non provare nemmeno a cambiare la situazione il Comitato Nuovi Desaparecidos e il gruppo Mani Rosse hanno presentato un documento, con l’obiettivo di fare chiarezza e soprattutto di cercare di promuovere un movimento di larga opposizione nella la società civile e nella politica in vista del rinnovo del memorandum Italia-Libia del 2017, che è il completamento delle schede 33 e 47 del decreto missioni e ne trae anzi sostegno e concretezza.
Si tratta di porre fine alla strage dovuta in gran parte alla politica di chiusura e respingimento adottata dall’Italia e dalle Ue e che si ripete, anzi, si moltiplica di anno in anno. Solo nei primi sette mesi del 2022, nella fuga verso l’Europa, si contano 2.002 vite spezzate, una ogni 39 profughi/migranti arrivati: 187 lungo le vie di terra in Africa e in vari paesi europei e 1.815 in mare. Più della metà, 1.030, sono donne, bambini, uomini inghiottiti dal Mediterraneo sulla rotta verso l’Italia e Malta: uno ogni 40 arrivati.
Di seguito il testo integrale del documento.
Per l’ennesima volta il Parlamento ha ratificato il finanziamento delle missioni militari all’estero. Alcune di queste hanno lo scopo di assicurare, manu militari, l’esternalizzazione sempre più a Sud delle frontiere dell’Italia e dell’Unione Europea, per impedire, con qualsiasi mezzo, che vengano varcate da migranti e richiedenti asilo.
Si è trattato di un vero e proprio colpo si mano antidemocratico, se non nella forma, sicuramente nella sostanza. Infatti, per la prima volta da quando l’Italia invia missioni militari all’estero, il voto sul finanziamento delle stesse non è passato nelle aule parlamentari, dove avrebbe potuto essere oggetto di un approfondito dibattito e di un voto secondo coscienza di tutti i singoli parlamentari, ma soltanto nelle Commissioni Esteri e Difesa, che hanno sbrigato il tutto in qualche decina di minuti. E’ da rilevare, inoltre, che ancora una volta si è scelta la fine del mese di luglio, con sette mesi di ritardo, nel momento di maggiore distrazione dell’opinione pubblica.
Le missioni all’estero sono molteplici e complessi i settori interessati. In alcuni casi, più interventi vengono realizzati in uno stesso Paese, con finanziamenti ad hoc. Tale è il caso della Libia, dove si interviene con diverse operazioni, tese in gran parte a fermare il flusso migratorio diretto verso l’Italia e l’Europa.
Dato per scontato il voto favorevole dei partiti di destra, ampiamente prevedibile, dobbiamo rilevare che purtroppo il Partito Democratico ha giocato con estrema ambiguità. Da un lato, infatti, il Senato ha approvato tutte le missioni senza obiezione alcuna, mentre dall’altro, alla Camera, i rappresentanti del Pd hanno espresso posizioni critiche riguardo l’operato della cosiddetta Guardia Costiera libica ma si sono limitati all’astensione, come del resto i loro colleghi del Movimento 5 Stelle e di Italia Viva. Gli unici deputati del Pd a votare contro, a titolo personale, sono stati gli onorevoli Boldrini e Palazzotto, che tuttavia hanno limitato il loro dissenso alla sola scheda 47.
La scheda 47 riguarda un aspetto specifico e parziale, cioè l’addestramento della sedicente Guardia Costiera libica, che in realtà da mesi è svolto da personale turco. La scheda 47 appare quindi come una scatola vuota, perché riguarda un impegno che non è più nostro, mentre ben più gravi sono le conseguenze delle altre operazioni italiane in Libia (soprattutto quanto è previsto nella scheda 33) e che sono state approvate a larghissima maggioranza. Voti contrari a tutte le operazioni in Libia e ad altre operazioni simili in Mali e in Niger, sono soltanto quelli espressi dal gruppo ManifestA, che aveva presentato numerosi emendamenti soppressivi, e dal gruppo di Alternativa.
Ad esempio, a parte l’impegno ad assicurare l’assistenza nella manutenzione delle motovedette, fornite dall’Italia con il compito di bloccare chi tenta la fuga via mare dall’inferno libico, il punto fondamentale della scheda 33 è che sono previste “attività di collegamento e consulenza a favore della Marina libica” e soprattutto la “collaborazione per la costituzione di un centro operativo marittimo in territorio libico per la sorveglianza, la cooperazione marittima e il coordinamento delle attività congiunte da svolgere”.
Uscendo dalla fumosità di questo enunciato, ciò significa in concreto che la Libia, pur essendosi attribuita una vastissima zona Sar fin dal giugno 2018, non ha ancora una centrale Mrcc per gestire le operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo. Di fatto q fondamentale funzione finora è stata svolta, direttamente o indirettamente, dall’Italia, attraverso le navi della nostra Marina che si alternano alla fonda nel porto di Tripoli, dando le istruzioni alla cosiddetta Guardia Costiera libica per la ricattura in mare dei profughi/migranti che sono riusciti a fuggire e che vengono poi ricondotti nei lager, come è noto autentici luoghi di schiavitù, tortura, sistematica violenza sessuale e morte. Uil via libera alla scheda 33 equivale a perpetuare questa situazione, che continua ad ignorare come la Liba non possa in alcun modo considerarsi un “porto sicuro” e come Tripoli non abbia alcun requisito per gestire una zona Sar. Ne consegue che, in sostanza, l’Italia continua a rendersi complice degli abusi e dei soprusi a cui sono condannate le migliaia di persone riportate in Libia e riconsegnate all’orrore dei centri di detenzione. Un orrore che – come de nunciato in varie sedi, inclusa la Corte Penale Internazionale, da diverse organizzazioni – può configurare un vero e proprio crimine di lesa umanità.
L’affermazione di alcuni dirigenti del Pd, secondo cui il loro partito avrebbe votato contro la missione in Libia e il Finanziamento alla Guardia Costiera libica è pertanto capzioso, se non palesemente falso. La tempestività e l’ambiguità delle procedure imposte non hanno purtroppo consentito la reazione della società civile e delle associazioni solitamente in prima linea per la difesa dei diritti umani.
Nella foto: Migranti bloccati in mare e riportati a Tripoli dalla Guardia Costiera libica