Un cimitero chiamato Mediterraneo, 2019 prima parte

Nell’arco del 2018 sono arrivati in Europa circa 142 mila profughi e migranti, il 25 per cento in meno rispetto al 2017, quando se ne sono registrati 187.792. La diminuzione è dovuta essenzialmente al crollo degli sbarchi in Italia: meno di 24 mila a fronte dei 119.310 dell’anno prima. Sulle altre rotte, invece, i flussi sono aumentati: in Grecia gli arrivi sono stati oltre 47.000 (inclusi in particolare quelli via terra, dalla frontiera dell’Evros) a fronte di 30.243; in Spagna addirittura più di 62 mila contro 22.319. Senza contare la “scoperta” della via di fuga verso Cipro, con imbarchi sia dalla Turchia che dalla Siria: quasi 7 mila rifugiati (mentre numerosissimi altri premono alla frontiera fra il nord turco e il sud greco dell’isola), rispetto a poche centinaia dell’anno prima. Contrariamente a quanto previsto e affermato dai promotori della politica di chiusura e respingimento adottata dall’Unione Europea e dall’Italia, tuttavia, questo calo degli sbarchi non ha comportato una diminuzione delle vittime. O, meglio, c’è stato un calo in termini assoluti: 2.642 morti (in mare o lungo le vie di terra) rispetto a 3.498, ma non certamente in proporzione al numero di arrivi. Lo dimostra il tasso di mortalità, che rimasto pressoché immutato nel dato generale europeo (una vittima ogni 53 profughi arrivati nel 2018 e altrettanti nel 2017) ma è aumentato moltissimo nella rotta del Mediterraneo centrale, dalla Libia verso l’Italia, dove si calcola una vittima ogni 18 arrivi, una percentuale da vera e propria decimazione. E’ la conferma che la scelta di alzare barriere non riduce i flussi: semmai li devia ma soprattutto li rende più pericolosi e mortali: non a caso il numero delle vittime è più alto lì dove la “blindatura” è più forte, come è accaduto appunto, dalla seconda metà del 2017 e per tutto l’arco del 2018, sulla rotta Libia-Italia, dove si è arrivati persino a chiudere i porti della nostra penisola a tutte le navi che avevano soccorso e preso a bordo dei migranti in pieno Mediterraneo. Incluse, in taluni casi, navi militari italiane. Questa è la situazione che il 2018 lascia in eredità al 2019, che sarà  il secondo anno in cui tutte le rotte del Mediterraneo risulteranno bloccate, grazie alla serie di accordi che l’Unione Europea e l’Italia hanno stretto con vari Stati africani e del Medio Oriente per esternalizzare le frontiere al di là del mare o addirittura nel Sahara. Ignorando la sorte delle migliaia e migliaia di esseri umani intrappolati in un inferno come quello libico o in realtà non molto dissimili come in Sudan, Sud Sudan, Egitto, Niger. Mentre sono ben lungi dal risolversi le situazioni di crisi che spingono o addirittura costringono così tanti giovani a fuggire dalla propria terra.

 

 

Spagna (Barbate,  Cadice), 2 gennaio 2019

Il cadavere di un migrante di origine subsahariana è stato recuperato al largo di Cadice. Ad avvistarlo, nelle prime ore del mattino, è stato l’equipaggio di un peschereccio, circa 12 miglia a sud est di capo Trafalgar, di fronte alle spiagge di Barbate. La centrale operativa del Salvamento Maritimo, ricevuta la segnalazione, ha inviato sul posto la motovedetta Rio Ulla, della Guardia Civil, che ha recuperato il corpo, trasportandolo poi a Barbate. Stando all’esame medico, la salma era in mare da due o tre giorni. Indosso non aveva documenti o altri elementi di identificazione. Ignote anche le circostanze della morte. Non è escluso che possa trattarsi di un naufragio rimasto sconosciuto, nel quale caso ci sarebbero altre vittime e dispersi.

(Fonte: Europa Press)

Marocco (Stretto di Gibilterra), 2 gennaio 2019

Il corpo senza vita di un giovane subsahariano è stato trovato dalla Marina marocchina a bordo di un gommone con altri 67 migranti soccorso nelle acque dello Stretto di Gibilterra. Il battello era partito dalla costa di Tangeri, con rotta verso l’Andalusia, almeno due giorni prima del ritrovamento. I 68 migranti a bordo sono dunque rimasti in balia del mare per 48 ore, con temperature molto basse, vento forte e onde alte oltre tre metri. Quel giovane è morto, alcune ore prima che arrivassero i soccorsi, per un forte stato di ipotermia, aggravata da sfinimento e malnutrizione. Molto provati anche i 67 superstiti, condotti dopo lo sbarco in uno dei centri di detenzione allestiti nel sud del paese.

(Fonte: sito web Helena Maleno e Ong Caminando Fronteras)

Libia (Sirte), 3-4 gennaio 2019

I cadaveri di 5 giovani migranti sono stati trascinati dal mare sulla spiaggia di Al Sawawa, nei pressi di Sirte. I primi tre sono affiorati la mattina del giorno 3 gennaio. Erano a breve distanza l’uno dall’altro sulla battigia o a pochi metri dalla riva: li hanno trovati alcuni abitanti del posto, che hanno subito avvertito la polizia e la guardia costiera. Una squadra di operatori della Mezzaluna Rossa li ha recupersati e trasferiti all’obitorio dell’ospedale Ibn Sina, per le procedure legali. Indosso non avevano documenti o altri elementi di identificazione. Il giorno dopo, nello stesso tratto di litorale, sono state recuperate altre due salme. Devono essere vittime di un naufragio rimasto sconosciuto e si teme, dunque, che possano esserci numerosi altri morti o dispersi. Secondo alcuni operatori e fonti di stampa sarebbero tre le barche scomparse nei giorni precedenti. Le autorità libiche non hanno fornito notizie: non una parola neanche dal portavoce della Guardia Costiera, il brigadiere generale Ayoub Qasim che, facendo il punto sulle operazioni condotte dall’inizio di dicembre al 5 gennaio, ha parlato di 200 migranti tratti in salvo ma non ha neanche citato il ritrovamneto dei cinque cadaveri a Sirte.

(Fonte: Libya Addres, sito Alarm Phone Zakariva El Zaidy e Angela Casponnetto)

Spagna (Mijas, Malaga), 4 gennaio 2019

Il cadavere di un migrante, probabilmente subsahariano, è stato spinto dalle correnti sulla spiaggia La Luna de Calahonda, nel villaggio di Mijas, presso Malaga. A dare l’allarme, verso le otto del mattino, è stato un dipendente del servizio di nettezza urbana, che stava lavorando lungo l’arenile. E’ apparso subito chiaro che doveva trattarsi di un migrante perché aveva alla vita una camera d’aria per auto usata come galleggiante e un giubbotto salvavita fosforescente, tutte cose di cui spesso si dotano, nell’illusione di assicurarsi un minimo di sicurezza, numerosi migranti che tentano la traversata dello Stretto o del mare di Alboran per raggiungere l’Andalusia dal Marocco. A giudicare dal punto in cui la salma si è spiaggiata, non lontano da Malaga, la vittima doveva essere su un battello affondato nel mare di Alboran. Si ignorano le circostanze del naufragio che, visto l’avanzato stato di decomposiizone del corpo, deve essere avvenuto diversi giorni prima del ritrovamento. La salma, sulla quale non c’era tracc ia di documenti o altri elementi per l’identificazione, è stata composta presso l’obitorio dell’Istituto di Medicina Legale.

(Fonte: La Opinion de Malaga, Europa Press, Andalucvia Informacion)

Grecia (Lesbo), 8 gennaio 2019

Un profugo camerunense di 24 anni è morto di freddo e sfinimento nel camapo di transito di Moria, sull’isola di Lesbo. Il suo corpo senza vita è stato trovato da alcuni compagni la mattina del giorno 8 gennaio nella tenda dove aveva trovato un riparo di fortuna in attesa di poter proseguire verso il Centro Europa. Il decesso è avvenuto nel sonno, durante le ore più fredde della notte. Quando la notizia si è diffusa, decine di altri migranti hanno dato vita a una lunga manifestazione di protesta contro le condizioni di vita nel centro di accoglienza e i lunghi tempi  necessari per l’esame delle loro richieste di asilo.

(Fonte: The National Herald) 

Grecia (Rodi), 8 gennaio 2019

Un giovane profugo pakistano è stato ucciso a Rodi dal monossido di carbonio sprigionato dal braciere lasciato acceso durante la notte per tentare di scaldare la stanza dove dormiva. In attesa di poter raggiungere il continente europeo, dopo aver presentato la richiesta di asilo, viveva in una casa abbandonata che aveva occupato insieme ad alcuni compagni. Una sistemazione di fortuna, resa ancora più precaria dal freddo portato dall’ondata di maltempo che ha investito tra dicembre e gennaio tutta la Grecia e la Turchia. Per resistere lui e gli altri ogni notte accendevano fuochi con legname di risulta e carbone. La notte dell’otto il monossido prodotto dalla brace ha saturato la stanza e il giovane è morto. Due suoi compagni, gravemente intossicati, sono stati ricoverati all’ospedale di Rodi.

(Fonte: sito web Are You Syrious)

Libia (Harawa, Sirte), 8-14 gennaio 2019

Quindici cadaveri di migranti sono stati trascinati dalla corrente sul litorale del golfo della Sirte nell’arco di una settimana. I primi 5 sono affiorati sulla spiaggia di Harawa, un villaggio situato circa 50 chilometri a est di Sirte. A notarli sulla spiaggia o a pochi metri dalla riva sono stati alcuni abitanti del posto, che hanno avvertito la polizia. Una squadra della Mezzaluna Rossa ha poi provveduto a recuperarli e a trasferirli in un obitorio di Sirte. A giudicare dallo stato di conservazione, erano in mare ormai da diversi giorni. Alcune ore dopo se ne sono spiaggiati, nei pressi di Sirte, altri tre. Infine 7 sono stati recuperati in mare, da una squadra della Mezzaluna Rossa, tra il 13 e il 14 gennaio, a breve distanza dalla riva, sempre a Sirte. Sembra scontato che questi ritrovamenti siano ricollegabili alle cinque salme recuperate fra il 3 e il 4 gennaio sulla spiaggia del quartiere di Al Sawawa, alla periferia di Sirte. In tutto dunque, dall’inizio di gennaio, i corpi di migranti ritrovati sono 20. Ciò dà forte consistenza al timore di un naufragio rimasto sconosciuto, con altre vittime e dispersi.

(Fonte: Libyan Express, Address Libya edizioni dell’8 e del 14 gennaio, Agenzia Ansa International) 

Italia (Torre Melissa, Crotone), 9-10 gennaio 2019

Un profugo curdo risulta disperso nel mare di Crotone in seguito al naufragio di una grossa barca che si è schiantata contro una scogliera, sul litorale di Torre Melissa. A bordo c’erano altri 51 profughi curdi, tra cui tre bambini di pochi anni e un neonato, tutti portati in salvo dagli abitanti di Torre Melissa. Il battello – un piccolo motoveliero da turismo – era partito dalle coste della Turchia o della Grecia alcuni giorni prima del naufragio, puntando verso l’Italia. Quando è arrivato al largo di Crotone, verso le 4 del mattino tra il 9 e il 10 gennaio, poco prima dello sbarco, i due scafisti, entrambi russi, ne hanno perso il controllo a causa del mare in burrasca e la corrente lo ha spinto verso la scogliera. Dopo l’urto, la barca si è rovesciata su un fianco, spezzandosi quasi in due. Gli scafisti si sono dileguati. Ad aiutare i naufraghi abbandonati a se stessi sono accorsi numerosi abitanti di Torre Melissa che, destati in piena notte dalle grida di aiuto e dal pianto dei bambini, si sono gettati in acqua e, servendosi anche di un moscone di salvataggio messo a disposizione dal titolare di un albergo situato nei pressi della scogliera, hanno cominciato a fare più volte la spola tra la riva e il relitto, recuperando quante più persone possibile. Poco dopo sono arrivati anche marinai della Capitaneria, vigili del fuoco e guardie di finanza. Particolarmente drammatico il salvataggio di una donna e del suo bambino, rimasti intrappolati sotto lo scafo capovolto. Appena a terra, alcuni dei superstiti hanno segnalato che un loro compagno era stato trascinato via dal mare poco dopo l’urto del battello contro la scogliera. Le ricerche non hanno dato esito. I due scafisti sono stati arrestati la notte stessa in un altro albergo, dove avevano chiesto una stanza per la notte. A farli scoprire è stato l’albergastore stesso che, insospettito dal loro atteggiamento e dagli abiti bagnati, ha avvertito i carabinieri di Cirò Marina.

(Fonte: La Repubblica, Agenzia Ansa edizione Calabria)

Marocco (Nador), 11 gennaio 2019

All’obitorio dell’ospedale di Nador, uno dei principali punti d’imbarco di migranti sulla costa marocchina, è stato portato il cadavere di una giovane subsahariana. Poco dopo, nello stesso ospedale, sono stati ricoverati sei migranti, sempre subsahariani, che presentavano varie ferite. La polizia non ha fornito informazioni. Si sa solo, da voci raccolte in città, che altri migranti sarebbero stati arrestati. La notizia è stata comunicata dalla sezione di Nador dell’Associazione Marocchina per i Diritti Umani che, in mancanza di notizie più precise, ha avviato una serie di accertamenti per cercare di ricostruire quanto è accaduto.

(Fonte: Sito web Are You Syrious)    

Siria (Al Hol, governatorato di Deir Az Zor), 11 gennaio 2019

Sei bambini sono morti di freddo e sfinimento durante la marcia o subito dopo l’arrivo a Al Hol, il campo profughi situato nel nord est della Siria, quasi al confine con l’Iraq e vicino alla Turchia, verso la quale spesso cercano poi di fuggire numerosi degli ospiti, dopo una prima sosta-rifugio. I sei piccoli venivano con le loro famiglie da Hajin, la città sull’Eufrate, a sud-est di Deir Az Zor, che, occupata dai miliziani dell’Isis nel novembre 2017, si è trovata per mesi al centro di furiosi combattimenti e bombardamenti e, dal dicembre 2018, di nuovi scontri tra gruppi dell’Isis e reparti delle Forze Democratiche Siriane. “Le condizioni disastrose in cui è stata ridotta la città, la pressoché assoluta mancanza di cibo, i pericoli quotidiani, hanno costretto tantissimi abitanti ad affrontare una fuga disperata, prendendo con sé solo il poco che potevano trasportare a braccia”, ha riferito Andrej Mahecic, portavoce dell’Unhcr. Centinaia di profughi hanno patito questa odissea, marciando per giorni verso Al Hol, quasi senza cibo, al freddo, trascorrendo più di una notte all’addiaccio. Tra loro, anche le famiglie di quei sei bambini stroncati dalla fatica e dagli stenti. Non è escluso che ci siano altre vittime perché, come ha riferito l’Unhcr, numerosi profughi arrivati ad Al Hol hanno raccontato di essere stati costretti a lasciare indietro diversi familiari e amici.

(Fonte: Al Jazeera)

Marocco-Spagna (Mare di Alboran), 12-17 gennaio 2019

Cinquantatre morti nel naufragio di un gommone nel Mare di Alboran, tra il Marocco e la Spagna. La tragedia è stata ricostruita grazie all’unico superstite, rimasto in mare per oltre 24 ore prima di essere salvato e poi rintracciato solo sei giorni dopo. Il battello era partito dalla costa di Tangeri, diretto verso l’Andalusia, prima dell’alba del 12 gennaio. A bordo erano in 54, tra cui tre donne, in maggioranza provenienti dalla Mauritania. Verso le 8 hanno inviato una richiesta di aiuto, intercettata dalla Ong Caminando Fronteras, che ha diramato l’allarme al Salvamento Maritimo Spagnolo e alla Marina marocchina. Da quel momento si è perso ogni contatto con la barca. Le ricerche si sono protratte per più giorni, senza esito, mentre l’allarme veniva rilanciato periodicamente sia da Caminando Fronteras che da Alarm Phone. La tragedia è stata scoperta giovedì 17 gennaio quando, su indicazione di un familiare, Caminando Fronteras ha potuto mettersi in contatto con il superstite, ricoverato in un ospedale in Marocco. Il naufragio è avvenuto verso le 11 del mattino, tre ore dopo l’Sos, del giorno 12.  “C’è stato un incidente. Il nostro battello è stato urtato da qualcosa ed è affondato, facendo annegare tutti”, ha raccontato il naufrago, asserendo di essere rimasto in mare, aggrappato a un relitto, per oltre un giorno, finché è stato avvistato e salvato da una barca di pescatori. Tutta la documentazione delle ricerche e le dichiarazioni del superstite sono state messe a disposizione da Caminando Fronteras per una eventuale inchiesta sulle cause della tragedia.

(Fonti: Sito web e documentazione Caminando Fronteras, siti  web Helena Maleno e Alarm Phone, El Faro de Ceuta, El Diario, Europa Press)

Spagna (Ceuta), 14 gennaio 2019

Un migrante morto e uno disperso nelle acque dello Stretto di Gibilterra mentre tentavano di raggiungere la costa dell’Andalusia da Ceuta a bordo di un Kayak. Altri due, su un secondo kayak, sono stati portati in salvo. I quattro – due fratelli e due loro amici, tutti algerini, ospiti del centro per richiedenti asilo dell’enclave spagnola – sono salpati insieme su due kayaks la sera di domenica 13 gennaio. I due fratelli si sono divisi: uno per ciascun kayak, insieme a uno degli amici. Nessuno si è accorto della loro partenza. La navigazione a forza di remi attraverso lo Stretto si è rivelata molto difficile a causa delle condizioni meteomarine avverse. Diverse ore più tardi, nella mattinata di lunedì, non avendo più notizie di loro, alcuni amici rimasti a Ceuta, al corrente del loro tentativo e preoccupati per il mare sempre più agitato, hanno dato l’allarme, facendo scattare le ricerche. Uno dei kayak è stato avvistato e recuperato, poco dopo mezzogiorno dalla salvamar Atria, del servizio di Salvamento Maritimo. Nessuna traccia dell’altro. Anche i due giovani tratti in salvo e ricondotti a Ceuta non hanno saputo fornire indicazioni, in quanto durante la rotta i due piccoli battelli si erano persi di vista nel buio. Senza esito il pattugliamento delle unità di salvataggio fino a sera e il mattino dopo- Nessuna traccia anche nei giorni successivi, fino alla mattina del 24 gennaio, quando il corpo di uno dei due, Adel Mebrek, è affiorato sulla spiaggia di Ain Tmouchent, in Algeria, 72 chilometri a sud est di Orano.

(Fonte: El Faro de Ceuta, edizioni del 14 e del 25 gennaio)

Turchia-Grecia (Kusadasi, distretto di Aydin), 15 gennaio 2019

Una bimba irachena è annegata nel naufragio di un gommone carico di profughi nelle acque dell’Egeo. Aveva solo 4 anni. La piccola, insieme ai genitori e a due fratellini, si era imbarcata sulla costa turca di Kusadasi, nel distretto di Aydin. A bordo erano in 47. Puntavano verso Samo, la più vicina delle isole greche a quel tratto di litorale della penisola anatolica. Dopo poche miglia il battello si è trovato in difficoltà a causa del mare molto mosso. Era ormai semi-affondato quando è stato raggiunto da  una motovedetta della Guardia Costiera turca che ha tratto in salvo 40 naufraghi e recuperato il corpo senza vita della piccina. Le ricerche successive hanno consentito di trovare altri 6 superstiti. Una volta a riva, il padre della piccola ha fornito alla Guardia Costiera di Kusadasi e ad alcuni reporter incontrati nell’ospedale dove è stato ricoverato, una ricostruzione terribile della tragedia, mettendo sotto accusa una unità sconosciuta della marina greca. “Una nave della Guardia Costiera greca ci ha bloccato in mare aperto – ha raccontato – Le onde erano molto alte. Abbiamo pensato che fossero venuti a salvarci. Invece ci hanno ordinato di spegnere il motore. Poi hanno agganciato il nostro battello con una fune, cominciando a trainarci in circolo. E’ stata una cosa inumana. Hanno tentato di ucciderci, abbandonandoci poi al nostro destino, fino a quando è arrivata la Guardia Costiera turca a portarci al sicuro. Io sono riuscito a salvare i miei due bambini, ma non sono riuscito a farlo con la mia bambina”. Sulla scorta della sua denuncia è stata sollecitata un’inchiesta.

(Fonti: Hurriyet Daily News, Anadolu Agency, Repubblica, Agenzia Ansa, Telegiornale La 7 ore 13,30, Telegiornale Rai 3 ore 14,20)

Spagna (Melilla), 15 gennaio 2019

Un giovane migrante maghrebino è morto sotto le ruote del Tir al quale si era aggrappato per tentare di imbarcarsi clandestinamento su un ferry di linea direttto da Melilla alla Spagna. Il ragazzo deve essersi nascosto sotto la parte posteriore dell’automezzo, aggrappato tra le ruote, prima dell’alba, eludendo la sorveglianza del personale dell’area d’imbarco del porto. E’ restato lì per ore, fino a che, poco dopo mezzogiorno, sono iniziate le operazioni per far salire Tir e auto sul ferry in partenza per l’Andalusia. Il suo Tir aveva fatto solo pochi metri quando, prima ancora di entrare nella nave, deve aver perso la presa ed è caduto a terra, finendo sotto le ruote posteriori. Il camion è stato immediatamente fermato, ma è stato subito chiaro che per il giovane c’erano poche speranze. I pompieri ne hanno liberato il corpo dalle ruote, trasferendolo poi su un’ambulanza, ma è morto dopo pochi minuti.

(Fonte: El Faro de Mellilla)

Libia (golfo della Sirte), 15 gennaio 2019

Altri 5 cadaveri sono affiorati sul litorasle del golfo della Sirte, in Libia, dopo i 20 recuperati fra il 3 e il 13 gennaio. Gli ultimi 4 sono stati avvistati a breve distanza dalla battigia o sulla spiaggia di Hawawa, circa 50 chilometri a est di Sirte, dove sono arrivati anche parte dei 20 precedenti. Notati da alcuni abitanti del posto, li ha recuperati una squadra di volontari della Mezzaluna Rossa, con la collaborazione della Guardia Costiera. Il quinto era stato trovato in precedenza. Appare scontato che questo ritrovamento va messo in stretta correlazione con quelli dei 20 corpi recuperati a partire dal 3 gennaio e che evidentemente deve esserci stato il naufragio di un grosso battello di cui non si è avuta notizia. A giudicare dalle condizioni di conservazione, anche queste salme sono state in mare per lungo tempo. Non sono stati trovati né documenti né altri elementi utili all’identificazione. Tutti i 25 cadaveri sono stati composti nell’obitorio di Sirte per le procedure di legge, prima dell’inumnazione.

(Fonte: Africa News, Alwasat Cairo, Speciale Libia)

Turchia-Grecia (Farmakonisi), 18 gennaio 2018

Profugo annega cadendo da una barca diretta verso l’isola greca di Farmakonisi, nell’Egeo sud orientale. Il battello era partito in piena notte dalla vicina costa della Turchia con 53 migranti, tra cui 7 donne e 10 bambini. Al momento di approdare, forse a causa dell’urto contro uno scoglio, alcune delle persone a bordo sono rimaste ferite e un uomo è caduto in mare, sparendo quasi subito alla vista degli altri nel buio. Erano le 4 del mattino quando la centrale operativa di Watch the Med ha ricevuto una richiesta di aiuto, subito girata alle autorità greche della vicina isola di Leros, nel Dodecaneso. Mezz’ora circa più tardi la Guardia Costiera greca ha riferito di aver trovato due gruppi di profughi appena arrivati a Farmakonisi: 79 in totale, trasferiti tutti poco dopo a Leros. Alcuni di loro hanno subito riferito che un compagno risultava disperso, facendo scattare una operazione di ricerca che si è conclusa circa dieci ore più tardi, verso le due del pomeriggio, quando una pattuglia della Guardia Costiera ha trovato in mare il corpo senza vita del giovane di cui si erano perse le tracce all’approdo a Farmakonisi. Il giorno 19 sono sbarcati a Farmakonisi altri 25 profughi

(Fonte. Rapporto Watch the Med del 19 gennaio 2019)

Libia-Italia (Mediterraneo centrale), 18-19 gennaio 2019

Una strage con almeno 117 vittime, tra cui 10 donne e 2 bambini. Uno di appena due mesi. E’ il bilancio del naufragio di un gommone di migranti, quasi tutti provenienti dal Sudan o dall’Africa Occidentale. Tre soltanto i superstiti: due sudanesi e un gambiano. Il battello era partito da Garabulli, a est di Tripoli.  Dopo circa 10-11 ore di navigazione, circa 50 miglia a nord-est di Tripoli, ha avuto un’avaria, cominciando ad imbarcare acqua e ad affondare lentamente. E’ stato l’inizio della tragedia: molti sono progressivamente scivolati in mare e le onde li hanno trascinati via. L’allarme è scattato nel pomeriggio, quando un aereo militare italiano dell’operazione Mare Sicuro ha avvistato casualmente il gommone, che non era ormai più in grado di galleggiare. La prima segnalazione parlava di almeno 50 persone a bordo. I piloti hanno lanciato due zattere di salvataggio e avvertito la nave Duilio, che si trovava a circa 200 chilometri di distanza. Dall’unità è partito un elicottero di soccorso che, raggiunta la zona segnalata, ha avvistato e recuperato un uomo in mare e due su una delle zattere di salvataggio. Poco distante flottavano anche tre salme. Nessuna traccia degli altri. I tre superstiti, tutti in preda a una forte crisi di ipotermia, sono stati trasferiti d’urgenza a Lampedusa. Le ricerche condotte fino a notte inoltrata non hanno dato esito. Nonostante il naufragio sia avvenuto in acque della zona Sar di Tripoli, nessun intervento da parte della Marina di Tripoli, tranne l’invio sul posto di una nave mercantile di passaggio. L’equipaggio della nave Ong tedesca Sea Watch, informato del gommone in difficoltà dal suo aereo da ricognizione, che aveva intercettato i messaggi dell’aereo militare, dopo essersi viste rifiutare indicazioni più precise da parte della centrale di coordinamento della Guardia Costiera di Roma, ha anche cercato di mettersi in contatto con Tripoli, senza però ricevere risposta. Sulla base delle prime indicazioni fornite dall’aereo militare di Mare Sicuro, si è parlato di una cinquantina di vittime; poi, secondo l’elicotttero della Duilio, di 20. Appena però i tre superstiti sono stati in grado di parlare, hanno dichiarato ai funzionari dell’Oim a Lampedusa che erano partiti in 120 e che i loro compagni hanno cominciato ad annegare via via che il gommone affondava. Si spiega così la forte differenza tra la segnalazione dell’aereo e quella dell’elicottero. “Siamo rimasti in acqua per ore, senza ricevere alcun soccorso”, hanno riferito i tre ragazzi, che presentano ustioni da benzina, tipiche in questo tipo di naufragi. Diverse Ong hanno denunciato che se la Guardia Costiera libica fosse intervenuta subito, il conto delle vittime sarebbe stato molto meno doloroso: “Nessuno si è accorto di nulla fino a quanto il gommone non è stato avvistato casualmente da un aereo italiano. Per di più, 50 miglia si coprono in meno di tre ore con una motovedetta. E’ l’ennesima dimostrazione che la marina di Tripoli non è affidabile: non è in grado di gestire una zona Sar e averle delegato totalmente il controllo e i soccorsi in mare significa rendersi complici di tragedie come questa”.

(Fonti: Repubblica, Il Fatto Quotidiano, La Stampa, Agenzia Ansa, Hurriyet Saily News, siti web Marina Militare e Sea Watch)

Libia-Italia (Mediterraneo Centrale), 20 gennaio 2019

Due migranti subsahariani sono morti a bordo del gommone con cui stavano cercando di raggiungere l’Italia dalla Libia. Erano su uno dei due battelli intercettati e bloccati, nel pomeriggio di domenica 20 gennaio, oltre 90 miglia a nord est di Tripoli, in acque internazionali, dalla nave Fezzan, il pattugliatore d’altura donato dall’Italia alla Guardia Costiera di Tripoli nel contesto degli accordi per il controllo dell’immigrazione firmati il 2 febbario 2017. I due corpi senza vita sono stati trovati durante il trasbordo dei migranti costretti a rientrare in Libia, 141 in tutto, ripartiti tra i due natanti. Le salme sono state sbarcate a Tripoli insieme ai superstiti. E’ probabile che i due ragazzi siano morti di freddo e sfinimento. Nella stessa giornata del 20 gennaio la Guardia Costiera libica ha bloccato in mare più di altri 250 migranti, per un totale di circa 400, smistati in centri di detenzione di Tripoli, Misurata e Khums.

(Fonte: Sito web Migrant Rescue Watch, Libya Addres)

Libia (Al Zintan), 20 gennaio 2019

Un profugo è morto di sfinimento e malattia nel centro di detenzione di Al Zintan, una città situata circa 160 chilometri a sud ovest di Tripoli, sul massiccio del Nefusa, nel distretto di Gebel al Gharbi. Lo ha comunicatio uno dei compagni, via twitter, a Sally Hayden, giornalista del Guardian, che si occupa in particolare di diritti umnai e del problema dei profughi in Libia e in Africa. Sembra scontato che il giovane abbia contratto la malattia, forse tubercolosi, all’interno del campo dov’era detenuto da mesi: la mancanza di cure e le stesse condizioni di vita del centro di detenzione gli sono state fatali. Secondo la fonte di Sally Hayden, sarebbe il settimo prigioniero a morire in questo modo ad Al Zintan a partire dalla metà del mese di settembre 2018.

(Fonte: sito web di Sally Hayden)

Libia-Italia (60 miglia a nord di Misurata), 20-21 gennaio 2019

Sono morti sei degli oltre cento migranti che erano su un gommone abbandonato alla deriva, senza soccorsi, per una intera giornata, nel Mediterraneo, 60 miglia a nord di Misurata. La tragedia, come in altri casi del genere, non è stata confermata dalla Guardia Costiera libica, che solo a tarda sera, dopo ore di chiamate di soccorso inascoltate, ha dirottato verso il natante in difficoltà un mercantile della Sierra Leone, la Lady Sharm, arrivato sul posto dopo le 23. Alcuni dei superstiti, una volta a terra, la mattina del 21, hanno però denunciato la scomparsa di 6 compagni al personale di Medici Senza Frontiere che li ha assistiti allo sbarco a Khoms. Sia pure in forma dubitativa (“Si teme che almeno 6 persone siano annegate mentre il gruppo tentava la traveresata”), Medici Senza Frontiere ha diffuso la notizia, che è stata ripresa da vari media africani. D’altra parte i profughi hanno parlato di morti, per ipotermia o perché scivolati in acqua, fin dalle prime richieste di soccorso intercettate da Alarm Phone fin dalla mattina del giorno 20, quando il battello era in mare già da oltre 10 ore, mentre i primi soccorsi sono arrivati soltanto dopo le 23, nonostante la situazione sia stata descritta come “disperata” già alle 12,20, con il battello che stava imbarcando acqua, diverse delle persone a bordo prive di conoscenza e il motore in avaria.

(Fonte: Ufficio Stampa Medici Senza Frontiere, Liberté Algerie, Sito Web Alarm Phone, Huf Post, Il Fatto Quotidiano, Repubblica)

Libia (Khoms), 21 gennaio 2019

E’ morto poche ore dopo essere stato costretto a rientrare in Libia uno dei ragazzi che erano a bordo del gommone abbandonato alla deriva per l’intera giornata di domenica 20 gennaio, 60 miglia a nord di Misurata, fino all’arrivo, intorno alle 23, del mercantile Lady Sharm, dirottato sul posto dalla Guardia Costiera di Tripoli. Aveva appena 15 anni. Lo ha comunicato, il giorno 23, l’equipe di Medici Senza Frontiere che, allo sbarco nel porto di Khoms, si è presa cura dei 106 migranti recuperati, tutti molto provati dalle ore trascorse in mare. “Allo sbarco – scrive Julien Raickman, responsabile di Msf a Misurata, Khoms e Bani Walid – diverse persone avevano bisogno di cure urgenti. Per dieci, inparticolare, abbiamo organizzato il trasferimento in un ospedale vicino, ma un ragazzo di 15 anni è morto poco dopo il ricovero”.

(Fonte: Ufficio stampa di Medici Senza Frontiere)

Turchia-Grecia (frontiera dell’Evros), 2 febbraio 2019

Quattro profughi, tra cui tre bambini, sono annegati nell’Evros mentre tentavano di superare la linea di confine tra la Turchia e la Grecia. Facevano parte di un gruppo di 12, tra afghani e iracheni, che, giunti venerdì due febbraio nei pressi della frontiera, per eludere la sorveglianza della polizia sulle due rive dell’Evros hanno atteso fino alle primissime ore di sabato due prima di imbarcarsi su un canotto pneumatico. Durante la traversata, quasi a metà percorso, il battello, travolto dal fiume in piena, si è rovesciato, scaraventando tutti in acqua. Otto sono riusciti a raggiungere a nuoto una piccola isola quasi al centro del fiume, sulla parte greca. I tre bambini e uno degli adulti sono stati invece trascinati via dalla corrente e se ne sono perse le tracce. L’allarme è stato dato dai superstiti che, dalla piccola isola dove si erano rifugiati, sono riusciti a chiedere aiuto alla polizia greca, che li ha recuperati. Senza esito le ricerche dei quattro dispersi.

(Fonte: Ekathimerini, Associated Press, The National Herald)

Libia (Al Zintan), 2 febbraio 2019

Un altro profugo è morto nel centro di detenzione di Al Zintan, 160 cilometri a sud ovest di Tripoli, dopo il giovane deceduto il 20 gennaio. Si chiamava Abdullah (Abdela): anche lui è stato ucciso da stenti, sfinimento e una grave malattia, verosimilmente una infezione polmonare sfociata in tbc. La notizia è arrivata a Sally Ayden, giornalista del Guardian, da uno dei compagni della vittima, lo stesso che ha comunicato la morte dell’altro giovane il 20 gennaio. “E’ duro condurre questa vita – ha detto in un messaggio inoltrato col cellulare, scritto in un inglese stentato – Sto perdendo ogni speranza. Dillo al mondo e racconta quello che stiamo passando prima che si perdano molte altre vite…”. E’ l’ottavo profugo a morire così, nel campo di Al Zintan, dalla metà del mese di settembre 2018.

(Fonte: sito web e pagina facebook di Sally Hayden).

Libia-Italia (Zawiya), 3 febbraio 2019

Risultano dispersi 24 profughi salpati dal litorale di Zawiya: di loro non si ha più notizia nonostante le ricerche condotte dai familiari per oltre un mese. L’allarme è stato lanciato, in particolare, da due donne che si sono rivolte al Coordinamento Eritrea Democratica: una migrante etiope residente in Arabia, che a bordo della barca scomparsa aveva il figlio diciassettenne; e una giovane esule eritrea in Svezia, che ha perso ogni traccia della sorella minore, Fiori, diciottenne. Prigionieri nel centro di detenzione di Zawiya, i 24 ragazzi, di varia nazionalità (Eritrea, Etiopia, Sudan, Nigeria e una ragazza marocchina), sono stati rilasciati, dopo aver pagato un riscatto, verso la fine di dicembre 2018 e imbarcati su un piccolo battello in legno, la notte tra il 29 e il 30 dicembre, da un trafficante libico di nome Haisem. La mattina successiva lo stesso Haisem ha assicurato che la navigazione procedevas regolarmente, aggiungendo poi che l’intero gruppo era arrivato a Malta. In realtà a Malta non risulta nessuno sbarco ricollegabile a questi 24 ragazzi, così come non sembra credibile che siano stati intercettati e riportati in Libia perché in questo caso – come fanno notare alcuni dei familiari stessi – qualcuno di loro, dopo tanto tempo, avrebbe trovato il modo di inviare notizie. Senza esito anche i tentativi di avere ulteriori informazioni da Haisem, il cui cellulare, dopo alcuni giorni di continue chiamate, è risultato irraggiungibile. L’ultima conferma che, a distanza di 36 giorni dalla partenza, ai familiari non è arrivata alcuna notizia, si è avuta la sera di domenica 3 febbraio 2019 sulla base di alcune comunicazioni giunte al Coordinamento Eritrea Democratica.

(Fonte: testimonianze raccolte dal Coordinamento Eritrea Democratica)

Bosnia (Kladusa), 3 febbraio 2019

Un profugo algerino di 33 anni è stato travolto e ucciso in Bosnia, non lontano dal confine con la Croazia. Il giovane era da mesi ospite del campo di Miral, una struttura ricavata in un ex magazzino industriale che ospita circa 600 persone, nei pressi di Kladusa, un grosso centro di frontiera, diventato uno dei principali punti di transito dei migranti che tentano di entrare nell’Unione Europea seguendo la via Balcanica. Un’auto lo ha investito, la sera del 3 febbraio, lungo una strada adiacente al campo. L’incidente non ha avuto testimoni. Il conducente della vettura ha proseguito la corsa senza preoccupasi dei soccorsi e sul posto non c’era nessuno che potesse prestare aiuto e dare l’allarme. Il corpo ormai quasi esanime è stato scoperto solo più tardi, quando il giovane era ormai morente. Secondo alcuni suoi amici, neanche il servizio di sicurezza del campo si sarebbe preoccupato di organizzare i soccorsi e di chiamare un’ambulanza.

(Fonte: sito web Are You Syrious)

Bosnia (Sarajevo), 5 febbraio 2019

Un profugo è stato trovato morto all’interno di un palazzo abbandonato, alla periferia di Sarajevo. Nella stessa stanza dell’edificio c’era un altro giovane, presumibnimente un compagno della vittima, rinvenuto ferito ed esanime. Si tratta di un episodio che presenta numerosi punti oscuri. Forse la morte è dovuta al freddo e allo sfinimento, ma sul corpo sembra ci fossero anche segni di lesioni. Così come presentava ferite e lesioni l’altro giovane trovato nel palazzo. La polizia, che ha aperto un’inchiesta, non ha fornito particolari o chiarimenti: si è limitata a confermare che si tratta di due migranti, senza specificarne neanche il paese d’origine.

(Fonte: sito web Are You Syrious)

Grecia (Lesbo), 5-6 febbraio 2019

Un giovane migrante proveniente dal Camerun è stato trovato morto nella tenda dove alloggiava, a Lesbo, nel campo di transito di Moria. Ad accorgersi che era ormai privo di vita sono stati due amici. Secondo gli esami medici, ad ucciderlo sarebbe stato il freddo intenso. “Durante la notte – ha rilevato un volontario di una Ong – le temperature a Lesbo subiscono un forte abbassamento: resistere nelle tende è pressoché impossibile”. Anche il governatore della regione delle Isole Egee settentrionali ha accusato il Governo di Atene di aver abbandonato al freddo i rifugiati di Lesbo, Chios e Samo. “Questa gente – ha detto – è costretta a vivere in sottili tende di tela. Non è ancora caduta la neve sui campi di accoglienza, ma il freddo è particolarmente intenso”.

(Fonti: Ekathimerini, Lesbos Hashtag, siti web di Stefan Simanowitz e Bruno Tersago

Marocco (Tangeri), 6 febbraio 2019

Almeno tre morti nelle acque dello Stretto di Gibilterra, al largo di Tangeri, nel naufragio di un gommone con 45 migranti a bordo. Partito dal Marocco, il battello si è trovato in difficoltà dopo poche miglia. La richiesta di aiuto è stata intercettata nelle prime ore del mattino, quando il natante stava ormai affondando, dalla Ong Caminando Fronteras, che ha allertato la Guardia Costiera di Tangeri e il Salvamento Maritimo spagnolo. Individuato il relitto anche con l’aiuto di un elicottero partito dalla Spagna, Helimer 2015, le motovedette marocchine hanno recuperato 42 naufraghi e un corpo senza vita. Nelle ore successive sono stati trovati anche i cadaveri dei due migranti che risultavano dispersi. Parecchi dei superstiti erano in gravi condizioni per sintomi di ipotermia e annegamento a causa del tempo trascorso in acqua. Per tre in particolare – una bambina di tre anni, una donna e un uomo – si è reso necessario il ricovero nell’ospedale di Tangeri.

(Fonte: El Diario, siti web Helena Maleno e Caminando Fronteras)     

Italia-Francia (Colle del Monginevro), 6-7 febbraio 2019

Un giovane migrante è morto assiderato nel tentativo di passare di notte, eludendo la polizia di frontiera, il confine tra Italia e Francia. Originario del Togo, aveva 29 anni. Arrivato nell’alto Piemonte probabilmente da diversi giorni, la sera  del 6 febbraio si è incamminato, probabilmente partendo da Claviere, lungo dei sentieri alpini e poi la strada statale 94, che sale sino al Colle del Monginevro. La fatica, il freddo e la neve ne hanno stroncato le forze. In preda a una grave crisi di ipotermia, deve aver perso i sensi. Il suo corpo è stato notato da un camionista verso le 3 del mattino dal margine della carreggiata, in località “La Vachette”, già in territorio francese, a circa 4 chilometri da Briacon, nell’Alta Savoia. Un’equipe medica del servizio Smur di pronto soccorso e i vigili del fuoco, constatato che era ancora in vita, lo hanno trasporto all’ospedale di Briancon nella speranza di poterlo rianimare, ma è morto poco dopo il ricovero. La Procura di Gap ha aperto un’inchiesta per omcidio colposo, affidando le indagini alla gendarmeria di Saim Chaffrey e di Briancon e disponendo anche l’autopsia per stabilire le cause esatte della morte.

(Fonte: Corriere della Sera, Il Giornale, La Stampa, Repubblica, Vector News)

 Libia (Gharyan), 7 febbraio 2019

Un profugo eritreo di 25 anni è morto di tubercolosi nel centro di detenzionme di Al Hamra, a Gharyan, circa 80 chilomettri a sud di Tripoli. Il giovane, che si è ammalato all’interno del campo a causa delle pessime condizioni igieniche e di trattamento, era stato registrato come richiedente asilo e inserito in un programma di relocation dalla Commissione dell’Unhcr: la tbc lo ha ucciso prima che arrivasse il suo turno di essere evacuato. Secondo le informazioni comunicate da alcuni compagni della vittima a Sally Hayden, giornalista del Guardian, e ripresa anche dalla Ong Are You Syrious, la salma, anziché essere trasportata all’obitorio o seppellita, è rimasta chiusa per giorni in un magazzino del centro di detenzione, in attesa dell’intervento dell’Unhcr oppure dell’Oim o della Mezzaluna Rossa. Il colonnello Al Ruba, comandante del campo, ha comunicato all’Unhcr e alla Mezzaluna Rossa numerosi altri malati di tbc, di cui due molto gravi, tra i prigionieri.

(Fonti: sito web Sally Hayden e bollettino informazioni Are You Syrious)      

Algeria-Spagna (Cap Aiguille, Orano), 8 febbraio 2019      

Due morti e tre dispersi nel naufragio di una barca carica di migranti a nord di Cap Aiguille, appena fuori dalle acque territoriali dell’Algeria. Il battello era salpato dalla zona di Orano con 18 persone a bordo, la maggior parte giovani subsahariani ma anche diversi algerini, facendo rotta verso la Spagna. A circa 13 miglia dalla costa ha cominciatio ad imbarcare acqua, affondando rapidamente. Quando una motovedetta della Guardia Costiera, partita da Orano, è giunta sul posto per i soccorsi, ha individuato e tratto in salvo 13 naufraghi (11 subsaharuiani e 2 algerini) ed ha poi recuperato in mare i corpi senza vita di due giovani. Senza risultato le ricerche dei tre dispersi. Sempre venerdì 8 febbraio, nelle prime ore del mattino, un’altra barca con 23 migranti a bordo è stata intercettata dalla Guardia Costiera poco dopo che era partita da Orano e costretta a rientrare in porto.

(Fonte: Liberte Algerie, Le Journal d’Oran)

Marocco (Tangeri), 11 febbraio 2019

Tre migranti morti nel naufragio di un battello pneumatico nelle acque marocchine. Il natante, un gommone di piccole dimensioni, era partito da Tangeri puntando verso la Spagna. A bordo erano in 12. Dopo poche miglia, al largo della spiaggia di Achakkar, nei pressi di Tangeri, si è trovato in difficoltà e si è rovesciato, forse a causa di un colpo di mare o del sovrappeso che ne ha compromesso la stabilità e la manovrabilità. Tre dei migranti sono scomparsi in mare prima che arrivassero i soccorsi. Gli altri nove, ricondotti  in Marocco, sono stati arrestati dalla gendarmeria e rinchiusi in un centro di detenzione statale, in attesa dell’espulsione verso i paesi d’origine.

(Fonte: rapporto della Ong Alarm Phone)

Grecia (Lesbo), 12 febbraio 2019

Una ragazzina di 15 anni è annegata nel naufragio di una barca carica di migranti nelle acque dell’isola di Lesbo. Il battello era partito poche ore prima, la notte tra lunedì 11 e marrtedì 12 febbraio, da una spiaggia della penisola anatolica. A bordo c’erano 52 richiedenti asilo, in maggioranza iracheni e afghani, tra cui la ragazza e i suoi genitori. La tragedia si è verificata quando Lesbo era ormai a pochi metri: a causa del vento e del mare molto mosso, la barca è finita contro una scogliera e si è rovesciata. Molti dei migranti a bordo hanno raggiunto gli scogli e si sono arrampicati sul costome di roccia della riva, dando l’allarme. Sul posto sono arrivate due motovedette della Guardia Costiera greca che hanno recuperato i naufraghi. I genitori ed altri superstiti hanno subito segnalato che mancava la ragazzina, trascinata lontano dalle onde e dalla corrente. Le ricerche si sono protratte per l’intera giornata, fino al tramonto, anche con un elicottero, ma della quindicenne non è stata trovata traccia. I 51 superstiti sono stati alloggiati nel campo profughi di Moria. Alcuni presentavano forti sintomi di ipotermia.

(Fonti: Ekathimerini, The National Herald, Associated Press)

Algeria-Marocco (Oujda), 14 febbraio 2019

Nove migranti sono morti assiderati nel rentativo di passare il confine fortificato tra l’Algeria e il Marocco, nei primi 14 giorni di febbraio, in circostanze e tempi diversi, nella zona della città frontaliera di Oujda, investita da tempeste di neve e inondazioni. “Chi cerca di attraversare la frontiera in questo tratto – ha scritto il bollettino online della Ong Are You Syrious, che ha dato la notizia insieme ad Alarm Phone – deve non solo superare un’alta barriera ma, prima ancora, un profondo fossato colmo d’acqua che durante l’inverno diventa una trappola mortale”. Ed è stata proprio questa “trappola”, insieme al freddo intenso e al maltempo, ad uccidere quei 9 migranti. Sei sono stati trovati ormai senza vita sul versante marocchino del confine: sono un giovane maliano, due bengalesi, un ivoriamno e due camerunensi. I loro corpi sono stati composti presso l’obitorio di Oujda. Gli altri tre, non  identificati, li ha recuperati la polizia algerina. Sempre sul versante marocchino, altri tre migranti semi assiderati sono stati individuati e soccorsi in extremis: particolarmente grave una giovane donna camerunense, ricoverata all’ospedale di Oujda con entrambe le braccia congelate.

(Fonte: sito web Are You Syrios e Alarm Phone)

Libia (spiaggia di Al Thalatheen, Sirte), 14 febbraio 2019

I cadaveri di tre migranti subsahariani sono stati recuperati nella zona di Al Thalatheen, una spiaggia a ovest di Sirte, in Libia. L’allarme è stato dato da alcuni abitanti del posto i quali, notati i tre corpi senza vita sulla battigia o a breve distanza dalla riva, hanno avvertito la polizia. Il recupero è stato effettuato da una squadra della Mezzaluna Rossa con l’aiuto della Guardia Costiera. Nello stesso tratto del golfo della Sirte, tra il 3 e il 15 gennaio, su un arco di circa 60 chilometri, sono affiorate le salme di 25 migranti, ma non sembra che i due casi siano collegabili tra di loro. E’ verosimile che questi tre cadaveri provengano da un naufragio avvenuto qualche giorno prima del ritrovamento ma rimasto sconosciuto. Se questa ipotesi ha fondamento, sembra scontato che le vittime possano essere molte di più

(Fonte: The Address Libya)   

Spagna (Ceuta), 14 febbraio 2019

Un migrante marocchino di appena 15 anni è rimasto schiaccciato dal camion sotto al quale si era nascosto nel tentativo di imbarcarsi, nel porto di Ceuta, su un ferry diretto ad Algeciras, in Spagna. Si chiamava Ilias E. O. Arrivato a Ceuta da Martil, una città costiera della regione di Tangeri, nel dicembre 2018, il ragazzino è stato ospite per alcune settimane del Centro per rifugiati minorenni ma lo ha lasciato, a quanto dicono i compagni, per sottrarsi alle angherie di altri giovani profughi di diversa nazionalità. Da allora ha vissuto in strada, accampato alle soglie del porto insieme ad altri migranti, in attesa dell’occasione buona per trovare un imbarco per la Penisola Iberica. Nella mattinata di giovedì 14 lui e tre amici hanno cercato di avvicinarsi all’area di servizio del porto, ma la polizia li ha sorpresi e allontanati. Mentre i compagni hanno desistito, lui ha detto che avrebbe voluto ancora tentare la sorte. Rimasto da solo, è riuscito a raggiungere l’area di sosta riservata ai mezzi in attesa dell’imbarco e si è nascosto sotto un tir. Dopo un po’ l’automeezzo si è mosso, avvicinandosi al ferry per Algeciras: stava per salire sulla nave quando  il ragazzo deve aver perso la presa ed è scivolato sotto le ruote posteriori, che lo hanno investito in pieno, uccidendolo all’istante.

(Fonte: El Faro de Ceuta, El Pueblo de Ceuta)

Bosnia (Bihac, campo di Bira), metà febbraio 2019

Un profugo minorenne muore di polmonite nel campo di Bira, a Bihac, la località frontaliera che, diventata uno dei punti principali di transito verso la Croazia sulla via Balcanica, ospita mediamente non meno di 2.000 migranti, quasi sempre in sistemazioni di fortuna. La notizia è stata riferita da alcuni volontari alla Ong Are You Syrious, che l’ha pubblicata nel notiziario settimanale dell’undici marzo. Non è stato specificato il giorno esatto della morte ma, stando alla ricostruzione dei fatti, deve risalire alla metà di febbraio circa. Il ragazzo, arrivato da tempo a Bihac, aveva trovato rifugio in uno dei campi di Bira aperti sotto l’egida dell’Unhcr. In attesa di trovare l’occasione per passare il confine, eludendo la sorveglianza della polizia croata, si è ammalato a causa del freddo e dei disagi: sembrava una semplice influenza ma si è rivelata invece una polmonite che lo ha ucciso in pochi giorni, “anche a causa – sostiene Are You Syrious – della mancanza di adeguate cure mediche”. “A Bira, aggiunge la Ong, vivono circa 2.000 persone, incluse famiglie con i bambini, minori non accompagnati, soggetti deboli e vulnerabili. La mancanza di un’assistenza adeguata sta spingendo molti ad accettare la proposta di rimpatrio volontario fatta dall’Oim oppure a mettere a rischio la propria vita affrontando ore di cammino nella neve e al freddo per tentare di entrare in Croazia”.

(Fonti: notiziario web Are You Syrious, Balcan Insight)

Spagna (Tarifa), 21 febbraio 2019

Il corpo senza vita di  un giovane migrante subsahariano è stato trovato su un canotto pneumatico spiaggiato nella zona di Punta del Guadalmesi, nei pressi di Tarifa, nella provincia di Cadice. Il primo ad avvistare il batello con il cadavere è stato uno sconosciuto, che ha telefonato al Servizio Emergenza 112 dell’Andalusia, dando l’allarme. Una pattuglia della Guardia Civil ha poi trovato il natante sulla spiaggia di Torre Vigia, alla foce del fiume Guadalmesi. E’ probabile che sia arrivato prima dell’alba: i migranti che erano a bordo, verosimilmente qualche decina, si sono subito dileguati. Il giovane trovato senza vita deve essere morto durante la traversata ed i compagni lo hanno abbandonato  sulla barca subito dopo lo sbarco. La salma è stata recuperata e trasferita all’obitorio di Tarifa da una squadra dell’Impresa pubblica di emergenza sanitaria (Epes).

(Fonte: Europa Press, Europa Sur, La Voz de Cadiz, Sito Web Helena Maleno)

Libia (Campo di Al Zintan), 28 febbraio 2019

Un giovane profugo eritreo è morto di malattia e sfinimento nel centro di detenzione di Al Zitan, circa 160 chilometri a sud ovest di Tripoli, sul massiccio di Jabal al Gharbi. La notizia è stata comunicata via twitter da uno dei soi compagni alla giornalista irlandese Sally Hayden, che la ha rilanciata sul suo sito web. E’ presumibile che il ragazzo, come numerosi altri ad Al Zintan, fosse affetto da tempo da una grave infezione polmonare, forse tbc. Stando alle informazioni trapelate negli ultimi mesi, è il nono migrante detenuto a morire in questo modo ad Al Zintan a partire dal settembre 2019. Sally Hayden afferma di essersi messa in contatto con l’equipe medica internazionale incaricata di prendersi cura dei detenuti di Al Zintan, per avere più particolari sul caso, ma non avrebbe avuto risposte.

(Fonte: sito web Sally Hayden)

Marocco (Tangeri), 28 febbraio 2019

Due morti e 4 dispersi in un naufragio al largo di Tangeri: sono tutti i migranti che erano a bordo di un piccolo gommone salpato all’alba per cercare di raggiungere le coste spagnole, al di là dello Stretto di Gibilterra. La tragedia è avvenuta poco dopo la partenza: il battello, forse a causa di un colpo di mare, si è rovesciato e i sei migranti sono scomparsi in mare prima dell’arrivo dei soccorsi. Nelle ore successive sono stati recuperati due corpi senza vita: quello di una ragazza originaria della Guinea e quello di un giovane camerunense, Mboma Alefta, di 25 anni. Gli altri quattro risultano dispersi.

(Fonte: rapporto Alarm Phone)

Spagna-Marocco (Ceuta), 3 marzo 2019

Il cadavere di un migrante è stato recuperate da una unità navale della Guardia Civil nella baia di Ceuta, a poche decine di metri dalla riva. Le condizioni della salma, in avanzato stato di decomposizione, non hanno consentito di stabilire se appartenga a un giovane subsahariano o a un maghrebino. Secondo la polizia, però, non ci sono dubbi che si tratti di un migrante: “Lo conferma – ha detto un funzionario – il fatto che quel giovane indossava indumenti doppi (due giubbotti, due camicie o t-shirt, ecc.: ndr) come fanno sempre i migranti quando, specie in questa stagione, devono affrontare un viaggio clandestino in mare”. Deve trattarsi, dunque, della vittima di un tentativo fallito di attraversare le acque dello Stretto di Gibilterra del quale non si è saputo nulla, ma sicuramente avvenuto diversi giorni prima del rinvenimento del cadavere che, a giudicare dallo stato di conservazione, è stato in acqua molto a lungo. Nelle tasche degli indumenti non sono stati trovati documenti ma è stato recuperato un telefono cellulare, attraverso la cui scheda si spera di poter acquisire informazioni per l’identificazione e la provenienza del ragazzo. Non è da escludere che ci siano altre vittime.

(Fonte: El Faro de Ceuta)

Grecia (Samo), 6-7 marzo 2019

Due gemellini di 4 anni e il loro papà sono morti in seguito al naufragio di una piccola barca carica di profughi affondata al largo dell’isola di Samo, nell’Egeo orientale. Il battello è partito la sera di mercoledì 5 febbraio dalla costa della provincia turca di Aydin, da un punto che dista poche miglia da Samo. A bordo erano in 12, fra cui tre bambini. Il naufragio è avvenuto durante la notte. Imprecisate le cause, tanto più che il mare era calmo e le condizioni meteo generali abbastanza buone: forse una manovra azzardata o forse il sovrappeso rispetto alla portata dell’imbarcazionene. Sta di fatto che prima dell’alba alla Guardia Costiera greca è arrivata una richiesta di soccorso che segnalava una barca in procinto di naufragare nelle acque a est dell’isola. Mobilitati i guardacoste con l’ausilio di un elicottero, alle prime luci i soccorritori hanno recuperato in mare 11 naufraghi mentre uno risultava disperso. Due dei tre bambini, i gemellini, sono apparsi subito in gravi condizioni per sintomi da annegamento e ipotermia e sono morti poco dopo, prima che la motovedetta che li aveva presi a bordo raggiungesse il porto. Nelle ore successive è stato recuperato il corpo senza vita del padre dei due piccoli, che era, appunto, il migrante disperso. Una settimana dopo la polizia greca ha arrestato uno dei naufraghi, con l’accusa di essere lo scafista del battello affondato.

(Fonte: Associated Press, The Natonal Herald, Agenzia Ana Mpa, Ekathimerini edizioni del 7 e del 12 marzo, Tg-3 Rai delle ore 14,20).

Serbia (Sid, distretto di Sirmia), 8 marzo 2019

Un profugo algerino di trent’anni è rimasto ucciso nel tentativo di nascondersi su un treno diretto in Croazia dalla stazione di Sid, la città frontaliera della Voivodina, distretto di Sirmia, in Serbia, diventata uno dei punti di transito più battuti dai migranti che puntano verso l’Unine Europea passando dalla via balcanica, in partioclare la variante che sale dalla Grecia verso l’Albania, il Mongenegro e infine, appunto, la Serbia sino al confine croato. Non sono chiare le circostanze della tragedia. Sembra comunque che il treno fosse già in movimento. Il giovane sarebbe caduto mentre cercava di aggrapparsi per salire e nascondersi su uno dei vagoni fino oltrefrontiera: rimasto gravemente ferito, è morto dopo circa due ore. Secondo il sito web Info Park Belgrado – che per primo ha dato la notizia, poi ripresa dalla Ong Are You Syrious – i soccorsi sarebbero stati tardivi e le cure inadeguate rispetto all’urgenza e alla gravità del caso.

(Fonte: sito web Are You Syrious)

Serbia (confine bosniaco sulla Drina), 8-10 marzo 2019

Un migrante narocchino è annegato nella Drina mentre tentava di attraversare il confine tra la Serbia e la Bosnia. Il suo corpo senza vita è stato recuperato solo dopo tre giorni. La vicenda è stata ricostruita grazie alla testimonianza di un compagno. Dei due giovani, che erano in contatto con la Ong serba No Name Kitchen, si erano perse le tracce dal 7 marzo. Come ha riferito il compagno della vittima, il giorno 8 hanno raggiunto il confine settentrionale della Serbia, intenzionati ad entrare nell’Unione Europea attraverso la Croazia e a proseguire poi il cammino verso il Nord Europa. Bloccati dalla polizia di frontiera croata e costretti a rientrare in Serbia, hanno deciso di ritentare la sorte dalla Bosnia, raggiungendo così la linea di frontiera serbo-bosniaca segnata dal fiume Drina. La tragedia è avvenuta durante il tentativo di attraversare il fiume. Trascinato via dalla corrente, il giovane marocchino è presto scomparso alla vista e poco dopo è annegato. Il suo corpo è riaffiorato ed è stato recuperato dalla polizia solo la mattina di domenica 10 marzo.

(Fonte: sito web Are You Syrious, Balcan Insight) 

Libia (campo di Gharyan), 10 marzo 2019

Quattro profughi eritrei sono morti nel centro di detenzione di Gharyan, uccisi da una grave forma di infezione polmonare, verosimilmente Tbc, aggravata dal forte stato di malnutrizione e debilitazione. La notizia è arrivata al Coordinamento Eritrea Democratica di Bologna il giorno 10, ma i decessi si sono verificati nell’arco delle tre settimane precedenti. Tutte le vittime erano molto giovani: Isak Gebrezgabier, 22 anni; Mebrhit Destà, 25 anni; Sam Negasi e Yahal Ibrahim, entrambi ventenni. Facevano parte di un gruppo di profughi, tra cui diversi malati, trasferiti due mesi prima a Gharyan dal campo di Al Zintane, dove dal settembre 2018 in poi ci sono state numerosi morti per Tbc. Non è escluso che un focolaio di infezione si sia sviluppato di conseguenza anche a Gharyan, dove peraltro altri due eritrei risultano morti di infezione polmonare nell’ottobre 2018. I compagni hanno riferito che nel campo non c’è alcun servizio medico di assistenza adeguato e che i quattro ragazzi morti sono stati abbandonati a se stessi anche dopo che si sono aggravati.

(Fonte: testimonianze raccolte dal Coordinamento Eritrea e riferite alla Cpi). 

Grecia (Lesbo), 10-11 marzo 2019  

Il corpo di una bambina dell’età presumibile di 4-6 anni e quello di una donna sono affiorati nella mattinata di domenica 10 marzo nelle acque di Lesbo. Secondo i giornali locali si tratta di migranti rimaste vittime di un naufragio nell’Egeo, tra l’isola e le vicine coste turche. A giudicare dall’avanzato stato di decomposizione, entrambe le salme, recuperate dalla Guardia Costiera, erano in mare da diversi giorni, forse addirittura dalla seconda metà del mese di febbraio. I ritrovamenti sono avvenuti in posti e circostanze diverse. Il cadavere della bambina, quello in condizioni peggiori, privo anche della testa, è stato avvistato nel primo mattino mentre flottava a pochi metri dalla riva, di fronte alla grande spiaggia sabbiosa di Vatera. Il corpo della donna è stato trovato alcune ore più tardi, più al largo, incagliato in una scogliera. La Guardia Costiera non ha fornito alcuna informazione sulla possibile provenienza dei due cadaveri.

(Fonte: Associated Press, Ekathimerini, Infomigrants, sito web Lesvos hashtag)   

Libia (campo di Al Zintane), 11 marzo 2019

Un altro profugo è morto di malattia, verosimilmente una infezione polmonare, forse Tbc, nel centro di detenzione di Al Zintane. Si chiamava Sle Welderfiel: eritreo, 23 anni, era prigioniero ad Al Zintane da mesi. Secondo le testimonianze dei compagni, è la decima vittima per questo genere di malattie dal settembre del 2018. La notizia è stata riferita ad Abraham Tesfai, del Coordinamento Eritrea di Bologna, l’undici marzo, ma il decesso dovrebbe risalire a due o tre giorni prima. Come nei casi precedenti, è stata ribadita la denuncia che nel campo, nonostante i ripetuti casi di morte per patologie polmonari, manca un adeguato servizio di assistenza medica e che i malati vengono praticamente abbandonati a se stessi.

(Fonte: testimonianze raccolte dal Coordinamento Eritrea e riferite alla Cpi).

Marocco-Spagna (Mare di Alboran), 13-14 marzo 2019

Quaratacinque migranti sono annegati nel naufragio di un grosso gommone nel Mare di Alboran, tra la costa marocchina e l’Andalusia. Solo 22 i superstiti. Il battello era salpato dalla costa di Tangeri, all’altezza di Nador, la mattina del 13 marzo. Si pensava inizialmente che a bordo ci fossero 58 persone: solo dopo la tragedia si è scoperto, dalle testimonianze dei sopravvissuti, che erano partiti in 67, tutti subsahariani, tra cui 12 donne, due delle quali incinte di cinque e sette mesi. L’allarme è scattato nel primo pomeriggio, quando gli operaori della Ong Caminando Fronteras hanno intercettato un  disperata richiesta di aiuto nella quale si diceva che il motore era  in panne mentre una delle camere pneumatiche si stava sgonfiando rapidamnete per un’avaria e il battello era in procinto di affondare. “Nella telefonata – hanno riferito i portavoce della Ong – si udivano le urla di terrore delle persone che stavano per finire in acqua”.  L’Sos è stato girato immediatamente alla Marina Imperiale marocchina e al Salvamento Maritimo spagnolo. Le ricerche sono state coordinate dalla Guardia Costiera di Tangeri, che ha mobilitato diverse motovedette, ma per tutto il pomeriggio e la serata di mercoledì 13 non è stata torvata traccia del gommone in difficoltà. Soltanto tra la tarda mattinata e il primo pomeriggio di giovedì 14 finalmente è stato avvistato il relitto, con alcuni naufraghi aggrappati o che cercavano di tenersi a galla nelle vicinanze. I soccorritori hanno recuperato in tutto 22 superstiti e un corpo senza vita. Scomparsi gli altri 44 che erano a bordo. Le Ong hanno messo sotto accusa l’organizzazione dei soccorsi: “Le operazioni di ricerca e recupero – ha denunciato Helena Maleno – devono essere appoggiate anche da dispositivi aerei e continuare durante la notte. Queste tragedie sono evitabili solo se i diversi Stati collaborano tra di loro”.

(Fonti: El Diario, siti web Caminando Fronteras, Helena Maleno, Francisco J. Clemente)

Libia (tra Nesma e Tripoli), 14-15 mazo 2019

Una ragazza eritrea è stata uccisa per aver tentato di opporsi al sequestro e allo stupro. Si chiamava Slas: aveva solo 20 anni.  E’ accaduto la notte tra il 14 e il 15 marzo ma la notizia è arrivata in Italia circa due settimane dopo. L’hanno riferita quattro compagni della vittima – tre ragazzi (Aleksander Alem, Samuel Tesfai, Yonas Tesfai) e una giovane donna con i suoi tre bambini piccoli – costretti ad assistere impotenti all’omicidio. I cinque profughi e i èpiccoli, tutti eritrei, erano stati rilasciati poche ore prima dalla prigione dei tafficanti, a Nesma (220 chilometri a sud di Tripoli), dove hanno trascorso gli ultimi mesi. Lo stesso capo dei trafficanti, Welid, anch’egli eritreo, li ha consegnati a un autista perché li conducesse, dietro pagamento, a Tripoli, dove dicevano di avere un amico che avrebbe potuto aiutarli. Partiti verso il tramonto, poco dopo il “tassista” ha deciso di fermarsi in una località sconosciuta ai cinque, per passare la notte in un magazzino abbandonato. E’ lì che si è consumato il crimine. Verso le due di notte hanno fatto irruzione due libici, armati ma non in divisa, che hanno subito puntato verso le due donne, tentando di trascinarle via. In particolare hanno messo le mani addosso a Slas, facendo intendere che volevano approfittarne. Lei si è opposta con tutte le sue forze: uno dei due aggressori le ha puntato allora la pistola sul viso ed ha fatto fuoco, uccidendola sotto gli occhi dei compagni, terrorizzati e tenuti a bada sotto la minaccia delle armi. Subito dopo i due sono fuggiti. L’autista non ha reagito e non ha chiamato la polizia. La mattina dopo ha fatto salire in macchina i tre ragazzi e la giovane donna e li ha condotti a Tripoli, abbandonando nel magazzino il corpo senza vita di Slas. Appena al sicuro, i quattro profughi hanno raccontato tutto all’amico eritreo di Tripoli e poi alle autorità libiche del campo di Gasr Bin Gashir, ma non hanno saputo indicare la località dove è avvenuto il crimine. E stato poi il migrante residente a Tripoli a comunicare la notizia in Italia al Coordinamneto Eritrea Democratica.

(Fonte: Testimonianze raccolte dal Coordinamento Eritrea)

Marocco-Spagna (Stretto di Gibilterra), 16-18 marzo 2019

Tre migranti morti su un gommone rimasto alla deriva per quasi due giorni nelle acque dello Stretto di Gibilterra. Il battello era partito la notte tra il 16 e il 17 marzo dalla costa marocchina, nella zona di Tangeri, puntando verso il golfo di Cadice, in Andalusia. L’allarme è scattato la mattina di domenica 17, quando una richiesta di soccorso è stata intercettata dalla Ong Caminando Fronteras. “Hanno detto che a bordo erano circa 55 e che la barca era in panne, quasi in procinto di affondare. In sottofondo, al telefono, si sentivano pianti e grida di disperazione”, ha riferito nella sua pagina web Helena Maleno, portavoce della Ong. Le ricerche si sono protratte per l’intera giornata di domenica, senza alcun esito, tanto che Helena Maleno ha rilanciato nel pomeriggio la segnalazione dell’emergenza. Poi, la mattina di lunedì 18, il gommone è stato individuato da una unità di soccorso della Guardia Costiera marocchina. Si è scoperto allora che a bordo, al momento della partenza, erano in 56 ma che, durante la notte, tre del gruppo erano morti, presumibilmente per ipotermia e sfinimento. I 53 superstiti, tutti molto provati per i due giorni trascorsi in mare aperto, sono stati sbarcati a Tangeri.

(Fonte: siti web Caminando Fronteras e Helena Maleno)

Libia-Italia (Sabratha), 19 marzo 2019

Almeno 30, tra morti e dispersi, nel naufragio di un barcone in legno di fronte alle coste libiche, all’altezza di Sabratha. Solo 15/16 i superstiti. Tra le vittime c’è anche  una donna incinta con il suo primo figlio, un bimbo di pochi anni. La notizia della tragedia è emersa soprattutto grazie a una missione medica dell’Oim, che ha preso contatto e assitito i sopravvissuti informando poi il portavoce italiano dell’organizzazione, Flavio Di Giacomo. Stando alle poche informazioni emerse, il battello era salpato dalla zona di Zuwara, circa 50 chilometri a ovest di Tripoli, con almeno 44 giovani subsahariani a bordo. Secondo Alarm Phone, l’organizzazione che riceve e rilancia le richieste di aiuto in mare dei migranti, il naufragio sarebbe avvenuto poco dopo la partenza, all’altezza di Sabratha, la città portuale 30 chilometri a ovest di Zuwara. La barca, forse per un’avaria al motore, sembra sia diventata ingovernabile ed è finita contro una scogliera. Quando sono arrivati i soccorsi, decine di naufraghi erano ormai socmparsi in mare. Secondo quanto ha riferito Flavio Di Giacomo, 15 (ma altre fonti dicono 16)sarebbero stati portati in un ospedale libico. Molti – hanno specificato i medici dell’Oim – presentano ferite e fratture, ma non è chiaro se in conseguenza del naufragio contro gli scogli o per i trattamenti subiti nei centri di detenzione prima della partenza. La conferma che a bordo eranoalmeno in 44 è venuta da Medici Senza Frontiere, che lo ha appreso da fonti locali. Secondo il quotidiano Libya Observer, però, a bordo erano in circa 50. Il portavoce della Marina di Tripoli, Ayoub Amr Ghasem, ha poi parlato di 16/17 superstiti, precisando però che i profughi a bordo erano almeno in 47. Le vittime, dunque, sarebbero almeno 30, forse addirittura 31. La Guardia Costiera libica ha dichiarato di aver recuperato in mare dieci cadaveri.

(Fonti: Il Tirreno, La Stampa, La Gazzetta del Sud, Il Giornale di Sicilia, Rai News 24, Tg Rai delle 14,15, Tg La 7 delle ore 13,30, Libya Observer, Address Libya, Libyan Express, Abc News, Reuters, Ansa Med)

Spagna-Marocco (Melilla), 20 marzo 2019

Il corpo senza vita di un giovane migrante di origine subsahariana è stato avvistato in mare, nell’enclave spagnola di Melilla. Tenuto a galla da un giubbotto salvagente, flottava a breve distanza dal confine con il Marocco, all’altezza della scogliera di Aguadù, dove è stato recuperato da una squadra del servizio subacqueo della Guardia Civil. Se ne ignora la provenienza. A giudicare dallo stato di conservazione, doveva essere in acqua già da qualche giorno. La magistratura ha comunque disposto un’autopsia per stabilire l’epoca e le cause della morte. Negli abiti non sono stati trovati documenti o altri elementi utili all’identificazione.“Il giubbotto che indossava – ha specificato la polizia – è del tipo comunememnte usato dai migranti che tentano la traversata dello Stretto su barche di fortuna. Ora stiamo indagando per cercare di stabilire su quale imbarcazione si trovava e magari con chi, oltre che le circostanze di un eventuale naufragio”. Non è esclusa alcuna ipotesi, inclusa quella che l’uomo abbia tentato di raggiungere via mare l’enclave spagnola dal Marocco.

(Fonte: El Faro de Melilla)

Libia (campo di Al Zintan), 20 marzo 2019

Sono saliti a 12, due in più di quanto segnalato all’inizio di marzo, i profughi morti per malattia, sfinimento e maltrattamenti nel centro di detenzione di Al Zintan. La notizia è stata riferita, insieme all’identità delle vittime, al Coordinamento Eriterea di Bologna. Esclusi due trentenni e un ventisettenne, si tratta di ragazzi estremamente giovani, di età compresa tra i 20 e i 25 anni. Tutte persone, dunque, nel pieno delle forze ma che verosimilmente si sono ammalate nel campo, dove – come hanno denunciato a più riprese i compagni – sarebbero state in pratica abbandonate a se stesse, senza alcuna assistenza e meno che mai cure medico-sanitarie adeguate e regolari. Di seguito i loro nomi, l’età e, dove possibile, la città di provenienza: Andom Girmai, 27 anni; Munir Jemal, 22 anni, di Asmara; Yosief Tesfamariam, 22 anni, di Molki; Dejen Gebretinsae, 20 asnni, di Serha; Habtom Kidane, 32 anni, di Mendefera; Yonas Gebrekurustos, 33 anni, di Kebabi, regione di Molki; Abdela Afa, 27 anni, di Tesseney; Sele Welderfiel, 23 anni, di Adi Quala (Adi Kual); Yahya Ibrahim, 20 anni, di Gahtelai; Sham Negasi, 20 anni, di Asmara; Mebrhit Desta, 25 anni, della regione di Debub; Isak Gerezgiher, 22 anni.

(Fonte: testimonianze raccolte dal Cooridnamento Eritrea Democratca)

Spagna-Marocco (Melilla), 22 marzo 2019

Il corpo senza vita di una giovane donna di origine subsahariana è affiorato nelle acque di Melilla, di fronte alla spiaggia di Horcas Coloradas. L’allarme è scattato verso le 8,30 quando sono arrivate al comando di polizia le segnalazioni di alcuni privati. Poco dopo sono iniziate le operazioni di recupero del cadavere da parte di una squadra del Servizio Marittimo Subacqueo della Guardia Civil. Se ne ignora la provenienza e non si sa nulla delle circostanze della morte della ragazza. La spiaggia di Horcas Coloradas è a breve distanza dalla scogliera di Aguadù, dove due giorni prima, il 20 marzo, è stato trovato il corpo senza vita di un giovane migrante, sempre subsahariano, tenuto a galla da un giubbotto di salvataggio. C’è da credere allora che si tratti dello stesso episodio: forse un naufragio rimasto sconosciuto avvenuto nella zona o un tentativo di sbarco clandestino da un natante giunto dal Marocco finito in tragedia. Non è escluso che ci siano altre vittime.

(Fonte: El Faro de Melilla)

Turchia-Grecia (Ayvacik-Lesbo) 26 marzo 2019

Tre donne e un bambino sono annegati nel naufragio di una barca carica di migranti nell’Egeo. Il battello era partito prima dell’alba dalla costa della provincia di Ayvacik, nella Penisola Anatolica, puntando verso la vicina isola greca di Lesbo. A bordo erano in 15, profughi in fuga dall’Iran e dall’Afghanistan. L’allarme è scattato quando l’imbarcazione stava già affondando, in acque turche. Da Ayvacik sono partite alcune unità della Guardia Costiera, coadiuvate da un elicottero per le ricerche, ma quando i soccorritori sono giunti sul posto la tragedia si era già consumata. Le ricerche sono continuate in tutta la zona fino a quando stati recuperati quattro cadaveri e 11 naufraghi ancora in vita, aggrappati a dei rottami o tenuti a galla da giubbotti di salvataggio. Le motovedette sono rientrate in porto, sbarcando i superstiti sul litorale di Ayvacik da cui erano salpati, solo quando i superstiti hanno confermato che al momento della partenza erano 15 in tutto e non c’erano dunque dei compagni dispersi.

(Fonte: Anadolu Agency, Hurriyet Daily News, Associated Press)

Spagna-Marocco (Ceuta-Tetuan), 26 marzo 2019

I corpi senza vita di due migranti subsahariani sono stati portati dal mare in tempesta uno sul litorale dell’enclave spagnola di Ceuta e l’altro poco distante, al di là della frontiera, nel territorio della città marocchina di Tetuan. La salma affiorata a Ceuta è stato avvistato nella risacca,  all’altezza della scogliera di Tarajal, da un giovane di origine marocchina, di nome Chakir, che, pensando si trattasse di un uomo in procinto di annegare, si è gettato in acqua per aiutarlo. Solo quando lo ha raggiunto si è accorto che si trattava di un cadavere che, a giudicare dallo stato di conservazione, doveva essere in mare da almeno una settimana. Non sono stati trovati elementi utili all’identificazione. L’unico indizio è che l’uomo indossava un giubbotto salvagente di colore rosso e un paio di pinne, come accade spesso per i migranti che tentano di entrare in territorio spagnolo via mare. Secondo alcuni marocchini che raggiungono Ceuta tutti i giorni con carichi di merce da vendere, poco più di una settimana prima del ritrovamento sarebbe arrivata nell’enclave spagnola una barca con diversi occupanti che si sono dati alla fuga poco dopo essere stati fatti sbarcare. Non è escluso che l’uomo trovato senza vita facesse parte di questo gruppo: potrebbe essere annegato prima di toccare terra. L’altro corpo era stato trovato e recuperato poche ore prima dalla Protezione Civile e dalla Gendarmeria Reale marocchine sulla spiaggia di Azla, nel municipio di Tetuan. Era in mare da molto meno tempo dell’altro, forse uno o due giorni al massimo ed è da pensare dunque che non ci siano collegamenti tra i due episodi. Restano ignote la provenianza di questa salma e le circostanze della morte. Nell’ipotesi di un naufragio rimasto ssconosciuto, è verosimile che ci siano altre vittime.

(Fonte: El Faro de Ceuta, siti web Helena Maleno e Karim Prim)  

Libia (Sabratha), 27 marzo 2019

Quarantuno migranti risultano dispersi dopo che si è persa ogni traccia del loro gommone, al largo di Sabratha, circa 70 chilometri a ovest di Tripoli. L’allarme è stato lanciato alle 19,23 dal Centro di Coordinamento Marittimo di Malta: “Avvistato un gommone con probabilmente 41 persone a bordo partito da Sabratha. Le imbarcazioni in zona facciano attenzione e in caso di avvistamneto contattino il Jrcc libico”, diceva il messaggio di aiuto maltese, subito ritrasmesso dalla Guardia Costiera italiana e intercettato anche dalla nave Mare Jonio, della Ong Mediterranea, sotto sequestro nel porto di Lampedusa. La Valletta non ha diramato altre informazioni, ma l’indicazione così precisa dei migranti a bordo, 41, “potrebbe significare – ha considerato il quotidiano Avvenire – che chi ha compiuto l’avvistamento (probabilmente un aereo militare) li ha potuti contare”. Nelle ore e nei giorni successivi nessun mercantile di passaggio ha segnalato la presenza del natante e la Guardia Costiera libica non risulta che sia intervenuta, né che abbia fornito notizie o chiarimenti. Due giorni dopo il primo allarme, il portavoce dell’Oorganizzazione internazionale pe ri migranti (Oim), Flavio Di Giacomo, ha confermato l’emergenza e la mancanza di soccorsi: “I 41 migranti che hanno lasciato Sabratha non  sono stati salvati dalla Guardia Costiera libica e non ci sono informazioni su operazioni di salvataggio effettuate altrove”. Anche il giorno 26, nessuna notizia del gommone scomparso. L’indomani, il 27 marzo, la Guardia Costiera libica ha comunicato di aver recuperato in mare 117 migranti al largo di Homs, oltre 200 chilometri a est di Sabratha, ma evidentemente si tratta di un’operazione che non ha nulla a che fare con i 41 dispersi. Nei giorni successivi non si sono avute notizie di altri interventi di salvataggio nelle acque Sar libiche. Di sicuro non è stato predisposto alcun piano di ricerche.

(Fonte: Avvenire, Tpt News, Il Foglio, sito web Mediterranea)

Grecia (Chios), 28 marzo 2019

Due profughi dispersi in mare dopo che il gommone su cui stavano per approdare sull’isola di Chios si è schiantato contro una scogliera. Il battello era partito prima dell’alba dalla costa di Cesme, distretto occidentale della provincia di Smirne, sulla costa turca, puntando sulla vicina isola greca. A bordo c’erano 38 migranti, fuggiti da Iraq, Afghanistan e Siria. La tragedia si è verificata quando la traversata era quasi al termine. Anziché approdare su una spiaggia o in una rada sicura, il canotto, forse a causa delle condizioni del mare o dell’imperizia del pilota, è finito contro un tratto roccioso della costa. Otto dei naufraghi sono riusciti a raggiungere comunque la riva e a dare l’allarme. Una unità della Guardia Costiera greca ne ha recuperati altri 23 che si erano rifugiati sugli scogli e 5 ancora in acqua, aggrappati al relitto del canotto. I superstiti hanno subito segnalato che, a quel punto, mancavano due dei loro compagni. Le ricerche sono proseguite per tutta la giornata, lungo un vasto  tratto della costa orientale dell’isola, con motovedette e gommoni d’altura della Guardia Costiera e dell’agenzia Frontex, ma dei due dispersi non è stata trovata traccia. Per alcuni dei naufraghi è stato necessario il ricovero in ospedale.

(Fonte: Associated Press, Ekathimerini)

Turchia (Ankara), 28-29 marzo 2019

Cinque giovani profughi afghani sono morti ad Ankara nell’incendio dell’edificio abbandonato dove avevano trovato rifugio. Altri 11 sono rimasti feriti o intossicati dal fumo. Arrivati nella capitale turca da qualche mese, sia le cinque vittime che i feriti si erano adattati a fare i raccoglitori di carta ed altro materiale di risulta da riciclare: appena 50 lire turche (8,16 euro) per 14-15 ore di lavoro. Un lavoro che, per quanto mal pagato, molti profughi accettano per sopravvivere e cercare di mettere insieme il denaro per proseguire il viaggio verso l’Europa, vivendo in capannoni, alloggi di fortuna e palazzi in disuso come quello in cui si è sviluppato l’incendio. “Erano rifugiati, povera gente costretta a fuggire dall’Afghanistan a causa della guerra, che da noi si adatta a vivere come può, magari in attesa di potersene andare”, ha riferito ai cronisti dell’agenzia Reuters Burak Burhan Biyikli, un residente del posto che conosceva alcune delle vittime. I cartoni e l’altro materiale raccolti durante il giorno venivano ammassati nello stesso edificio abbandonato dove i profughi avevano trovato rifugio. L’incendio è divampato, durante la notte tra il 28 e il 29 marzo, probabilmente proprio da quel materiale estremamente infiammabile e si è sviluppato rapidamente, non dando il tempo di fuggire a quei cinque giovani, sorpresi nel sonno. Questa dinamica è stata poi confernata anche dal governatore di Ankara, Vasip Sahin. Non è il primo incidente mortale di questo genere. In un incendio analogo sviluppatosi nel mese di gennaio 2019, ci sono stati 5 morti e 8 feriti. In questo caso tutte le vittime erano siriane, anch’essi profughi che verosimilmente avevano accettato in gran parte quel lavoro precario di raccoglitori per recuperare il denaro con cui proseguire la fuga. Nei primi tre mesi dell’anno, dunque, sono 10 le vittime ad Akara tra questi profughi-raccoglitori.

(Fonti: Reuters, Europe dall’agenzia Xinhua, sito web Are You Syrious, Daily Sabah)     

Croazia (Otocac, Plitvicha Park), 31 marzo – 1 aprile 2019

Un migrante algerino è morto precipitando in un crepaccio nel bosco di Plitvicha, in Croazia, mentre fuggiva nel timore di essere bloccato dalla polizia. Si chiamava Oussama ed aveva 27 anni. Il giovane era insieme a nove compagni, tutti algerini, che erano entrati clandestinamente in Croazia passando il confine, nella notte tra il 31 marzo e il primo aprile, lungo sentieri che attraversano il bosco, circa 20 chilometri a est della città di Otocac. Verso le tre hanno scorto in lontananza la luce di un faro che sembrava avvicinarsi. Temendo che si trattasse di una pattuglia della polizia di frontiera, sono fuggiti sparpagliandosi nella foresta. Dopo pochi minuti Oussama è finito nel crapaccio di una profonda cavità, di cui evidentemente, nella concitazione della fuga, non si era accorto. I compagni lo hanno sentito gridare e qualcuno è tornato indietro nel buio ma non ne ha trovato traccia. Due di loro hanno proseguito il cammino sino a un villaggio distante circa 14 chilometri e l’indomani, verso mezzogiorno, hanno spiegato l’accaduto a una donna croata, la quale ha subito avvisato la polizia. Sono state organizzate delle ricerche e circa 9 ore più tardi il corpo senza vita di Oussama è stato individuato e recuperato in fondo al crepaccio. Contemporaneamente la polizia ha bloccato tutti e 9 i migranti algerini, conducendoli nel centro di detenzione di Trilj, dove sono rimasti per oltre dieci giorni. Il 12 aprile sono stati condotti al confine e rimandati in Bosnia, all’altezza della città di Bihac. Durante la permanenza al campo i nove algerini dicono di aver subito gravi violenze da parte della polizia croata: “Ci hanno sequestrato e distrutto i cellulari e ci hanno rinchiusi in un garage buio, sporco e pieno di escrementi. Le scorte di viveri che avevamo con noi ci sono state tolte e siamo rimasti per oltre due giorni senza mangiare. Il cibo che alla fine hanno cominciato a darci durante la detenzione era scarso e pessimo. Alla fine ci hanno processato e costretto a firmare delle carte scritte in croato che nessuno ci ha tradotto. Subito dopo ci hanno espulso verso la Bosnia”. Una volta giunti a Bihac hanno denunciato la morte del compagno.

(Fonte: rapporto e sito web di Are You Syrious)

Marocco-Spagna (Stretto di Gibilterra), 1 aprile 2019     

Un giovane migrante subsahariano, soccorso su un gommone alla deriva nello Stretto di Gibilterra, è morto poco dopo essere stato trasportato a Tarifa, in Andalusia, stroncato da un collasso cardiopolmonare dovuto a un forte stato di ipotermia.  Il ragazzo era partito su un canotto pneumatico, la notte del 31 marzo, dalla costa di Tangeri, diretto verso il golfo di Cadice, insieme a 12 compagni, tutti subsahariani come lui. Le difficili condizioni meteomarine e le correnti hanno reso difficile la navigazione. Nelle prime ore di lunedì primo aprile il battello, in ebvidente difficoltà, è stato avvistato da un veliero privato, che ha allertato la centrale del Salvamento Maritimo. La Salvamer Arcturus ha pattugliato la zona con la collaborazione di una motovedetta della Guardia Civil, ma il natante è stato individuato e raggiunto solo verso sera. Tutti i migranti a bordo erano molto provati dalle tante ore trascorse in mare, ma in particolare appariva grave, quasi privo di conoscenza, uno dei più giovani. Gli uomini del Salvamento Maritimo hanno cercato di riportarlo in sé, trasferendolo poi d’urgenza a Tarifa, il porto più vicino: durante tutti i 45 minuti della rotta hanno continuato a praticargli terapie di rianimazione, ma il ragazzo è morto pochi minuti dopo essere stato sbarcato. I suoi compagni sono stati invece condotti ad Algeciras.

(Fonte: Europa Press, La Voz de Cadiz)

Marocco (Nador), 2 aprile 2019

Il cadavere di un migrante è rimasto impigliato nello “strascico” di un peschereccio marocchino, al largo di Nador. L’equipaggio, quando si è accorto del corpo tirando a bordo le reti, ha subito fatto rotta verso il porto di Alhoceima, dove ha avvertito la polizia. La salma era in acqua da molti giorni: a causa dello stato di decomposizione molto avanzato non è stato possibile reperire elementi utili per l’identificazione o per stabilirne almeno la provenienza.

(Fonte: Sito web Association Marocaine des Droits Humains e Alarm Phone)

Libia (campo di Gasr Bin Gashir, Tripoli), 4-5 aprile

Un bimbo di appena un mese, originario del Darfur, è morto di malattia e d’inedia nel campo di Gasr Bin Gashir, dove era rinchiuso insieme alla madre. Situata a meno di 30 chilometri dal centro di Tripoli, la struttura, dove sono detenuti oltre 600 migranti di varia nazionalità, si è trovata al centro degli scontri tra le milizie fedeli al governo di Fayez Serraj e le truppe del generale Haftar all’offensiva per conquistare la capitale. “Si odono distintamente i colpi di armi pesanti e il campo è sorvolato spesso da aerei da guerra. Si combatte nelle vicinanze. Alle sofferenze, alle torture, alla mancanza di assistenza e cure mediche, si è aggiunta la mancanza totale di cibo. Ha riferito via twitter alla giornalista irlandese Sally Hayden uno dei detenuti il 5 aprile, aggiungendo che proprio a causa di queste condizioni  il giorno prima era morto il piccolo sudanese. A 48 ore dal decesso non era stato ancora possibile seppellire il corpicino a causa dei gravi pericoli dovuti ai combattimenti in tutta la zona. Quasi tutte le guardie sono fuggite, abbandonando a se stessi i migranti.

(Fonte: siti web di Sally Hayden e e di Andrea Gagne, The Times of Israel, pagina facebook di Are You Syrious)

Grecia (Rodi), 6-7 aprile 2019

I corpi senza vita di tre uomini, completamente vestiti, sono stati portati dal mare su due spiagge dell’isola di Rodi tra sabato 6 e domenica 7 aprile. Il primo cadavere è affiorato sabato pomeriggio di fronte ad Afantou Beach, sul versante orientale dell’isola: avvistato da alcuni passanti, è stato recuperato prima di sera dalla Guardia Costiera. La seconda salma si è spiaggiata la domenica mattina nella stessa zona, ma verso Glystra. Poche ore dopo, infine, è stato scoperto il terzo corpo: le onde lo avevano spinto a Faliraki Beach, non lontano da Afantou Beach. Negli abiti delle tre vittime, composte presso il locale obitorio per l’autopsia, non sono stati trovati documenti né altri elementi utili all’identificazione, ma secondo la Guardia Costiera e la stampa locale si tratta di migranti annegati mentre tentavano di raggiungere Rodi dalla Turchia, in seguito a un naufragio di cui non si è saputo nulla fino a quando il mare non ha restituito quei tre corpi. C’è da ritenere, dunque, che le vittime siano in realtà più numerose perché anche sulle barche di profughi più piccole provenienti dalla penisola anatolica generalmente vengono caricate non meno di 10-15 persone.

(Fonte: Associated Press, News 1130, Daily Mail, The National Herald, Agenzia Ana Mpa, Ekathimerini).

Libia (Mediterraneo, tra Libia e Tunisia), 10 aprille 2019

Otto migranti risultano dispersi dopo essere caduti da una vecchia barca da pesca in legno alla deriva nel Mediterraneo, in acque internazionali, tra la Libia e la Tunisia. L’emergenza è stata segnalata verso le sei del mattino dalla Ong Alarm Phone, che ha intercettato la richiesta di aiuto lanciata da un altro dei migranti a bordo con un cellulare. Nella telefonata si diceva che la barca, partita da un punto della costa libica, a ovest di Tripoli, non lontano dalla frontiera tunisina, stava imbarcando acqua e aveva perso il motore, sicché risultava in totale balia delle correnti. Si precisava inoltre, a testimonianza dell’estremo pericolo, che al momento del contatto con Alarm Phone già 8 persone erano cadute fuoribordo, sparendo in breve tra le onde e che sul natante erano rimasti in venti, tra cui diversi bambini. “In sottofondo – hanno riferito gli operatori di Alarm Phone – si sentivano in effetti pianti e voci infantili”. La richiesta di aiuto è stata immediatamente rilanciata alla Guardia Costiera italiana, che a sua volta ha interessato la marina libica. Da Tripoli è stata fatta partire una unità di soccorso, mentre la barca veniva avvistata anche dall’aereo da ricognizione Moonbird, che collabora con la Ong tedesca Sea Watch. Nel corso della giornata i contatti diretti si sono fatti più difficili perché le batterie del cellulare dei migranti si stavano scaricando. Per ore si è temuto il peggio. Solo verso sera è arrivata la comunicazione che la barca era stata raggiunta da una motovedetta libica e i venti migranti portati a Tripoli. Contro la loro volontà: nei loro messaggi tutti e venti avevano implorato di non essere respinti in Libia: “Se non arriviamo in Italia e ci riportano indietro moriremo tutti”. Nessuna traccia degli 8 dispersi. Non risulta nemmno, anzi, che siano stati cercati.

(Fonte: Sito web Alarm Phone, Repubblica, Il Secolo d’Italia, Sky Tg24, Rai News, Agenzia Ansa)

Libia (Mediterraneo al largo di Sabratha), 10 aprile 2019

Dispersi 50 migranti su un gommone di cui si è persa ogni traccia dalle 22 di lunedì primo aprile, dieci giorni prima. Il battello era al largo di Sabratha, in acque internazionali ma nella zona Sar libica, quando Alarm Phone ne ha intercettato la richiesta di soccorso. La segnalazione, corredata della posizione nautica Gps, è stata immediatamente girata al Mrcc di Roma, la centrale di coordinamneto della Guardia Costiera, che a sua volta ha allertato la Guardia Costiera libica. Con Tripoli anche Alarm Phone ha cercato più volte di mettersi in contatto, senza ricevere risposte. Non risulta che la Marina libica abbia fatto scattare un piano di ricerca. Di certo alle 22, quando Alarm Phone ha stabilito il secondo e ultimo contatto con il battello, non era in corso alcuna missione di recupero. Il Mrcc ha ribadito che la competenza era della Libia ma dalla Libia, per quanto è dato sapere, non è stata fatta partire neanche una motovedetta. L’unica a impegnarsi nelle ricerche è stata la nave soccorso Alan Kurdi, della Ong tedesca Sea Eye: intercettato il dispaccio Sos, ha fatto subito rotta verso la zona dell’emergenza, che ha pattugliato per tutta la notte tra il 2 e il 3 aprile e l’intera mattinata successiva, fino a quando è stata costretta ad allontanarsi per recuperare un altro gommone con 64 profughi a bordo in procinto di affondare. Da allora nessuno ha più cercato il gommone scomparso. Alarm Phone ha continuato a monitorare la situazione, diramando via via le informazioni e le richieste di soccorso nei giorni successivi. A dieci giorni di distanza dal primo Sos, quel gommone non risulta che sia stato intercettato da qualche nave di passaggio né che sia riapprodato sulle coste africane, magari sospinto dalle correnti. Dopo tanto tempo tutto lascia pensare che si sia compiuta l’ennesima tragedia del Mediterraneo, con 50 vittime.

(Fonti: siti web Alarm Phone e Sea Eye, Agenzia Ansa, La Stampa, Repubblica, Il Fatto Quotidiano, Avvenire, Quotidiano Net)  

Libia (campo di Abu Salim), 11 aprile 2019

Un profugo eritreo di appena 17 anni si è suicidato, ingerendo delle sostanze tossiche, nel centro di detenzione annesso al carcere di massima sicurezza di Abu Salim, nella periferia sud di Tripoli. Si chiamava Meron. La notizia è stata comunicata al Coordinamento Eritrea Democratica e alla giornalista irlandese Sally Hayden da alcuni compagni del ragazzo, che lo hanno trovato ormai senza vita la mattina dell’undici aprile. Il campo e il carcere di Abu Salim sono a pochi chilometri dal fronte dei combattimenti che hanno investito Tripoli tra le truppe del generale Haftar e quelle fedeli al governo Serraj: Gasr Bin Gashir e Tajoura, teatro degli scontri più sanguinosi, sono a meno di 20 chilometri in linea d’aria; Ain Zara ad appena 10. Ciò ha reso ancora più dure le già difficili condizioni di detenzione. “Qui al campo – hanno detto i compagni di Meron – la gente sta perdendo ormai ogni speranza. Forse proprio questa disperazione, l’idea che non ci fosse più via d’uscita, unita alle sofferenze subite in tutti i mesi di prigionia, hanno spinto il nostro amico, a farla finita. Era un ragazzo dolce, che amava la musica e la danza, ma le torture subite dai trafficanti e la lunga reclusione qui ad Abu Selim lo avevano precipitato in un profondo stato di stress e depressione”.

(Fonte: sito web Sally Hayden, testimonianza raccolta dal Cooridnamento Eritrea, The Irish Time)

Grecia (Karlovasi, Samo), 13 aprile 2019

Trovato poche decine di metri al largo dell’isola di Samo il corpo senza vita di una giovane migrante. La salma flottava non lontano dalla spiaggia del villaggio di Karlovasi: ad avvistarla è stato un pescatore, che la ha recuperata e portata a terra, avvertendo poi la polizia. A quanto si è potuto stabilire, la ragazza era caduta in mare, a poca distanza dalla riva, la notte precedente, da un battello arrivato dalla Turchia con 51 profughi a bordo. Nel buio se ne erano perse subito le tracce. I compagni sono stati trasferiti la mattina stessa a Kos, insieme ad altri 41 profughi sbarcati a Samo nelle ore successive.

(Fonte: rapporto settimanale e sito web Are You Syrious

Libia (Sabha), 17 aprile 2019

Un profugo eritreo, Mengstab Tesfa, di 38 anni, è morto di malattia e sfinimento nel centro di detenzione di Sabha. Il decesso è avvenuto il 17 aprile, ma la notizia è trapelata solo circa un mese dopo, attraverso comunicazioni telefoniche pervenute da alcuni compagni della vittima al Coordinamento Eritrea Democratica. Bloccato e condotto nel campo di Sabha, nel sud della Libia, poco dopo aver varcato il confine con il Sudan, è rimasto prigioniero per mesi. Durante la detenzione si è ammalato e – secondo quanto è stato riferito – è progressivamente peggiorato a causa della mancanza di assistenza e cure mediche adeguate e per le condiizoni generali di trattamento nel campo.

(Fonte: testimonianza raccolta dal Coordinamneto Eritrea Democratica)

Libia (Qasr Bin Gashir), 23-24 aprile 2019

Sei giovani profughi eritrei “scomparsi” e una ventina feriti in una sparatoria all’interno del centro di detenzione di Qasr Bin Gashir, finito al centro dei combattimenti tra le milizie del generale Haftar e quelle fedeli al governo di Tripoli. Secondo i compagni, almeno 3 dei sei giovani di cui si è persa traccia, sono morti: 2 quasi subito e poi un terzo. Secondo alcuni giornali locali, tuttavia – come riferisce Open Line – le vittime sarebbero sei. Le autorità libiche non hanno fornito notizie. Il gruppo di profughi che ha segnalatao la scomparsa dei sei compagni ne ha anche riferito i nomi all’Unhcr (Tedros Domoz, Iseyas Simon, Sami Goitom, Tahir Abdu, TekleHayle, Sid Salh) attraverso il Coordinamento Eritrea, sollecitando ricerche presso gli ospedali di Tripoli ed altri campi di detenzione. L’Unhcr, a cui è stato fornito un numero telefonico di riferimento per eventuali ispettori Onu, si è impegnata a condurre degli accertamenti ma dopo oltre un mese e mezzo non sono arrivate informazioni più precise. Fin dall’inizio, però, si è parlato di morti e di feriti anche molto gravi. A fare fuoco sono stati militari che combattono per Haftar. I fatti sono stati ricostruiti grazie alle testimonianze rese a vari giornalisti occidentali e operatori umanitari da parte di alcuni superstiti e di un paio di giovani che sono riusciti a fuggire all’inizio della sparatoria. Nel campo, al momento dell’irruzione dei miliziani, c’erano circa 800 detenuti. “Stavamo pregando tutti insieme, quando quegli uomini armati sono entrati, chiedendo i nostri cellulari. Noi abbiamo rifiutato e quelli hanno iniziato a sparare”, hanno raccontato a Giulia Tranchina, legale londinese specializzata in diritto d’asilo, che era in contatto con i prigionieri. La stessa versione è stata fornita alla giornalista irlandese Sally Hayden e ai cronisti di Open Line. Come confermano numerose foto trasmesse con i cellulari, sono stati colpiti più di venti prigionieri. Alcuni in modo molto grave. Due, in paticolare, sarebbero morti poco dopo e un terzo più tardi. “I più gravi – hanno raccontato i compagni – sono stati portati via. Ci hanno detto in un ospedale, ma almneo 3 erano morenti se non già morti. E quelli meno gravi sembra che non siano neanche stati ricoverati ma trasferiti in un altro campo. Di sei dei più gravi, in particolare, non  si è saputo più nulla”.

(Fonti: Repubblica, Open Line, Webwire, Al Jazeera, Times of Malta, Agenzia Ansa, rapporto Coordinamento Eritrea Democratca all’Unhcr, siti web Sally Hayden e Mediterranea)  

Tunisia (Medenine), 26 aprile 2019

Un profugo eritreo fuggito da un campo di detenzione in Libia è morto di malattia e sfinimento nel centro di accoglienza di Medenine, in Tunisia. Secondo quanto hanno riferito i compagni, il giovane, già molto provato, malato e bisognose di cure, al suo arrivo in Tunisia, a Medenine, non avrebbe trovato l’assistenza medica adeguata, tanto che le sue condizioni si sarebbero rapidamente aggravate. Dopo la sua morte i compagni hanno organizzato una manifestazione di protesta per contestare la situazione del centro di accoglienza di Medenine che, concepito per 85 rifugiati, ne ospita in realtà, più di 200. I gravi disagi dovuti al sovraffollamento, alle carenze e all’incertezza del futuro per i profughi di Medenine sono confermati da diverse inchieste giornalistiche. “L’assistenza inadeguata, la frustrazione, la mancanza di prospettive di relocation in un altro paese stanno spingendo (diversi rifugiati) al suicidio”, ha scritto Sara Creta su Al Jazeera, riferendosi ai casi di due minorenni salvati in extremis.

(Fonte: Alarm Phone, Freedom of Movement).

Marocco (Berkane), 27 aprile 2019

Diciannove migranti sono rimasti uccisi e 17 feriti nel retro di un camion finito fuori strada durante il viaggio verso la costa marocchina. L’incidente è avvenuto nelle prime ore del 27 aprile nei pressi di Berkane, lungo una strada secondaria che conduce da Saida a Nador, il porto dove presumibilmente era previsto l’imbarco verso l’Andalusia. L’autocarro, con il piano di carico totalmente chiuso, apparterebbe a una organizzazione di trafficanti che ha già organizzato “spedizioni” di questo genere, scegliendo di volta in volta le strade più appartate per sfuggire ai controlli della polizia. A bordo avevano preso posto 59 migranti (di cui 10 donne), quasi tutti di origine subsahariana. Mancavano ormai poche decine di chilometri alla costa quando il camion, a causa della forte velocità, ha sbandato, rovesciandosi in un canale. Ammassati sul piano di carico sigillato dall’esterno, i migranti non hanno avuto scampo. L’autista si è dato subito alla fuga, ma prima ha aperto il portellone posteriore. I primi soccorsi sono stati prestati da alcuni abitanti della zona e da automobilisti di passaggio. Dai rottami sono stati tirati fuori 16 cadaveri e altri 3 giovani sono morti poco dopo, facendo salire il conto delle vittime a 19, come ha riferito l’Associazione Marocchina per i Diritti Umani. “Un bilancio terribile – ha rilevato Hassan Ammari, attivista della Ong Alarm Phone in una intervista a Liberation – ma che avrebbe potuto essere ancora più pesante se il camionista non avesse sbloccato lo sportello del piano di carico, consentendo ai migranti di uscire”, prima che l’autocarro rovesciato fosse in gran parte sommerso dall’acqua del canale.

(Fonti: Huffpost Maroc, El Universal, Sito Web Helena Maleno, Liberation)

 Spagna (Ceuta), 29 aprile 2019

Un migrante marocchino di 19 anni, A. S., ucciso a pugnalate nei pressi del porto di Ceuta. Secondo quanto ha potuto accertare la Guardia Civil, il giovane sarebbe stato aggredito, insieme ad alcuni compagni, tutti marocchini, da un gruppo di migranti algerini. Lo scontro sarebbe maturato nel clima di rivalità tra le comunità di profughi marocchini e algerini presenti a Ceuta per il controllo delle priorità nelle vie di fuga clandestine dall’enclave spagnola verso le coste dell’Andalusia. Uno scontro analogo, sia pure con conseguenze meno gravi, si è avuto verso la fine del mese di febbraio.

(Fonte: El Faro de Ceuta, Huffpost Maroc)

Turchia (Mugla), 2 maggio 2019

Un profugo siriano di 37 anni è annegato nel naufragio del piccolo battello con cui stava cercando di raggiungere le isole greche dalla Turchia insieme a 12 compagni in fuga da Siria, Iraq e Afghanistan. La barca, salpata all’alba dalla costa della provincia di Mugla, nel sud ovest della costa anatolica, è affondata dopo poche miglia, mentre era ancora nelle acque territoriali turche. Una motovedetta della Guardia Costiera ha recuperato i dodici naufraghi trovati nei pressi del relitto. I superstiti hanno subito segnalato che uno di loro risultava disperso. Le ricerche condotte dalla marina turca non hanno dato esito.

(Fonte: Anadolu Agency)

Marocco-Spagna (Stretto di Gibilterra), 2 maggio 2019

Nove migranti morti nel naufragio di tre barche nello Stretto di Gibilterra tra la seconda metà di aprile e l’inizio di maggio. La notizia è stata diffusa dalla Ong Caminando Fronteras dopo l’ultimo dei tre naufragi, quello di una barca con 12 persone a bordo avvenuto il 2 maggio. Partito dalla costa atlantica marocchina la notte tra il 30 aprile e il primo maggio, il battello è rimasto alla deriva per un guasto al motore per quasi due giorni, senza ricevere soccorsi, nonostante l’allarme lanciato a più riprese da Caminando Fronteras. Ad intercettarlo è stato un peschereccio marocchino  nella tarda mattinata del 2 maggio, trovando però soltanto 8 naufraghi ancora in vita, anche se molto provati per un forte stato di ipotermia. Gli altri quattro erano scomparsi in mare nelle ore precedenti. Tutti i superstiti sono stati trasferiti a Rabat. Nessun corpo è stato recuperato.

Le altre 5 vittime. Gli altri 2 naufragi si sono verificati l’uno maggio e il 22 aprile in acque territoriali marocchine. La Ong Caminando Fronteras ha dichiarato di averne ritardato la comunicazione in attesa di conferme dal Marocco. Nel primo caso si tratta di una barca che si è rovesciata in prossimità di capo Espartel, a pochi chilometri da Tangeri. Si ignora quanti migranti fossero a bordo. La Marina marocchina ha recuperato il cadavere di una donna e tratto in salvo 8 naufraghi. Non si esclude, anzi secondo Caminando Fronteras è probabile, che ci siano anche numerosi dispersi. L’ultima tragedia riguarda una barca affondata al largo della città marocchina di Fnideq (Castillejos per la Spagna), a breve distanza da Ceuta, nella regione di Tangeri-Tetuan-Alhucemas. A bordo c’erano 13 persone. La Marina marocchina ha tratto in salvo 9 naufraghi. Non è stata trovata traccia degli altri e nessun corpo è stato recuperato.

(Fonte: El Diario, siti web Helena Maleno, Caminando Fronteras e Desalambere)

Spagna (Ceuta), 2 maggio 2019

Disperso a Ceuta un subsahariano diciannovenne, Mohammed Mourtala. I familiari non ne hanno notizia da mesi ma hanno lanciato un appello per le ricerche solo all’inizio di maggio, attraverso le Ong Caminando Fronteras e Manos Solidarias. Il ragazzo risulta arrivato nell’enclave spagnola il 22 agosto 2018, in occasione dell’assalto in massa alle barriere frontaliere da parte di centinaia di migranti. Si sa per certo che si era ferito gravemente in conseguenza del salto dei reticolati alti 6 metri e muniti di lame affilate. “I suoi compagni dicono di averlo visto per l’ultima volta quando era in ospedale a Ceuta”, ha riferito l’attivista per i diritti umani Helena Maleno. Da allora nessuno ha avuto più sue notizie e non ci sono stati contatti con i familiari. Non è escluso che il ragazzo sia fuggito dall’ospedale per riprendere il tentativo di raggiungere l’Europa, ma la mancanza di qualsiasi tipo di comunicazione con la famiglia e i compagni con i quali era entrato a Ceuta lascia temere il peggio.

(Fonte: El Faro de Ceuta, sito web Helena Maleno)

Marocco (Tetuan), 3 maggio 2019

Il cadavere di una donna di origine subsahariana affiora sulla spiaggia di Azla, nei pressi della città marocchina di Tetuan, non lontano dall’enclave spagnola di Ceuta. Non si è riusciti a identificarla: secondo i medici aveva circa 35 anni. La morte è dovuta ad annegamento. Se ne ignora la provenienza. L’ipotesi più accreditata è che sia la vittima di un naufragio o di un tentativo non riuscito di raggiungere via mare il territorio spagnolo di Ceuta.

Fonte: El Faro de Ceuta, rapporto Alarm Phone)

Turchia (Baskale, provincia di Van), 3 maggio 2019

Sei profughi sono morti congelati poco dopo aver attraversatao la frotniera tra l’Iran e la Turchia nel distretto di Baskale, provincia di Van, Anatolia Orientale. Tutti uomini, i loro corpi senza vita sono stati trovati casualmente in punti diversi della line adi confine. L’ipotesi più accreduitata è che la tragedia si sia compiuta diverse settimane prima del ritrovamento e che le salme siano rimaste sotto la neve fino a che l’inizio del disgelo le ha portate in superficie. La prima salma è stata trovata vicino al villaggio rurale di Gelenler da un contadino, che ha subito informato la gendarmeria. Le ricerche successive condotte dagli agenti hanno portato alla scoperta degli altri cinque corpi, situati in punti diversi lungo lo Sultancayr, un riscello che scorre a breve distanza dalla frontiera. E’ probabile che i sei profughi fossero in gruppo e che abbiano varcato insieme il confine in pieno inverno ma che poi, di notte, qualcuno sia rimasto indietro e si siano persi di vista ma nessuno, nel buio e con temperature molto al di sotto lo zero, abbia avuto la forza di continuare, morendo per assideramento. La neve ha poi nascosto la tragedia sino alla primavera. Si ignora la nazionalità delle vittime o comunque la polizia non l’ha comunicata.

(Fonte: Hurriyet Daily News, Anadolu Agency).

Turchia (Ayvalik), 3 maggio 2019

Nove morti e 3 dispersi (per un totale di 12 vittime) nel naufragio di un piccolo battello carico di profughi al largo delle coste di Ayvalik, provincia di Balikesir, nel nord ovest della Turchia. A bordo erano in 17. La tragedia si è consumata poco dopo la partenza, in acque turche, a ovest dell’isolotto disabitato di Ciplak, forse a causa del sovraccarico o del mare agitato. La Guardia Costiera è intervenuta con quattro mezzi navali e un elicotttero, ma quando i primi soccorsi sono arrivbati sul posto erano ancora in vita soltanto 5 naufraghi. Le ricerche successive hanno portato al recupero di nove corpi (5 bambini e 4 donne) mentre non si è trovata traccia degli altri tre.

(Fonte: Il Fatto Quotidiano, Repubblica, Associated Press, Anadolu Agency, Middle East Monitor)   

Marocco-Spagna (stretto di Gibilterra), 3-4 maggio 2019

Nove morti e tre soli superstiti nel naufragio di una barca rimasta alla deriva per due giorni nello Stretto di Gibilterra. Il battello era salpato dal porto di Tangeri la notte tra il primo e il due maggio, con a bordo 12 migranti senegalesi, tutti provenienti dallo stesso villaggio. Dopo poche ore il motore è andato in avaria. La richiesta di aiuto lanciata con un telefono satellitare è stata intercettata dalla Ong Alarm Phone, che ha allertato sia il Salvamento Maritimo spagnolo che la Marina imperiale marocchina, indicando anche la posizione Gps del natante. Da Tangeri è partita una motovedetta supportata da un elicottero iberico, ma del natante, ormai semi affondato, non è stata trovata traccia fino al 3 maggio quando, avvistato dall’elicotttero, è stato raggiunto da una unità della Guardia Costiera marocchina, che ha trovato però solo 3 naufraghi ancora in vita. Nessuna traccia degli altri 9. Nonostante le ricerche, non è stato avvistata neanche una sola delll salme dei migrati scomparsi. I sopravvissuti sono stati trasferiti all’ospedale di Tangeri per una grave forma di ipotermia. Raggiunto telefonicamente da un operatore di Alarm Phone, uno dei superstiti ha ricostruito nei particolari la tragedia, specificando che i 12 migranti, amici e cresciuti nello stesso villaggio, avevano deciso insieme di lasciare il Senegal per tentare di raggiungere l’Europa e insieme hanno fatto tutto il viaggio, fino all’imbarco a Tangeri e al naufragio.

(Fonti: Associated Press, Huffpost Maroc, sito web Alarm Phone)

Spagna (Lanzarote, Canarie), 7-8 maggio 2019

Un migrante marocchino è annegato a poche decine di metri dal litorale di Lanzarote, nell’arcipelago delle Canarie. Il giovane era arrivato nella zona nord dell’isola su una piccola barca in legno, insieme ad undici compagni. Quando sono stati in vista di una spiaggia, lui e pochi altri del gruppo si sono gettati in mare pensando probabilmente di affrettare lo sbarco, ma l’acqua era ancora profonda ed è subito scomparso alla vista dei compagni i quali, una volta a riva, intercettati dalla polizia, hanno subito avvertito che uno di loro non era appprodato. Le ricerche si sono protratte senza esito per tutta la notte. La mattina successiva, verso le 8,15, una pattuglia della polizia di frontiera ha trovato il cadavere incastrato in una scogliera frangiflutti, a circa cento metri di distanza dal punto dello sbarco.

(Fonte: El Duiario Canarias)

Spagna (Stretto, Tarifa-Algeciras), 4 maggio 2019

Il cadavere di una donna subsahariana è stato avvistato da un peschereccio spagnolo la mattina del 4 maggio nelle acque dello Stretto di Gibilterra. L’equipaggio ha subito allertato la base del Salvamento Maritimo di Tarifa, che ha dirottato nel punto segnalato la salvamar Denebola per il recupero, effettuato in collaborazione con la Guardia Civil.  La stessa Denebola ha poi sbarcato la salma nel porto di Algeciras. Se ne ignora la provenienza. Stando allo stato di conservazione, sembra che non fosse in acqua da molto tempo. L’esamemedico ha stabilitoo che lamorte è stata provocata da un forte stato di ipotermia. Inizialmente non sono emersi elementi per l’identificazione. Alcuni giorni dopo, su segnalazione del fratello, si è scoperto che si trattava di una giovane senegalese.

(Fonte: Europa Sur, Atresmedia, La Voz de Cadiz)

Spagna (Cadice), 8 maggio 2019

Due morti (una donna e un minorenne) nel ribaltamento di una barca di migranti che stava per attraccare sul litorale di Cadice. Il battello, partito dalla costa marocchina più di un giorno prima, nonostante il mare molto agitato era riuscito a raggiungere l’Andalusia, attraversando lo Stretto di Gibilterra, con a bordo 24 migranti subsahariani. Mancavano ormai poche decine di metri alla spiaggia de Conil, in locallità Castilnovo, alle porte di Cadice, quando un’onda lo ha rovesciato, scaraventando tutti in acqua. La donna e il ragazzo, appena sedicenne, sono subito scomparsi. Alla scena hanno assitito dalla riva diverse persone, che hanno allertato il Salvamento Maritimo, il cui servizio di avvistamento peraltro aveva già intercettato l’imbarcazione. I soccorsi sono arrivati in pochi minuti, traendo in salvo 22 naufraghi. Poco dopo è stato recuperato il corpo senza vita della donna, mentre per quasi due giorni non si è trovata traccia dell’altra vittima. Il corpo è poi affiorato quasi 48 ore dopo, poco distante, all’altezza della spiaggia del Palmar. La polizia ha arrestato tre dei superstiti sospettando che siano gli scafisti o loro complici.

(Fonte: El Diario, Huffpost Marocco, El Confidencial, Publico, Europa Press, 20 Minutos, La Voz de Cadiz)

Tunisia (Sfax), 9-10 maggio

Circa 70 morti, di fronte alle coste tunisine, nel naufragio di un gommone carico di migranti patito dalla Libia. Salpato dalla costa di Zuwara, a 60 chilometri dalla frontiera tunisina, puntando verso Lampedusa, il natante aveva a bordo oltre 80 persone. La tragedia si è consumata 40 miglia al largo del porto di Sfax, quando alcune delle camere stagne hanno cominciato a sgonfiarsi e il canotto ha preso a imbarcare acqua. Poco dopo anche il motore è andato in avaria e il natante è andato alla deriva, in balia del mare. Il primo allarme è arrivato da alcune barche di pescatori, che hanno organizzato i primi soccorsi e avvertito il comando della Marina tunisina. Gli stessi pescatori sono riusciti a recuperare 16 naufraghi, mettendoli in salvo e sbarcandoli poi nel porto di Zarzis. Quasi contemporaneamente l’emergenza è stata segnalata anche da Alarm Phone. Poco dopo sono arrivate alcune unità della Guardia Costiera di Sfax, ma la strage si era ormai compiuta. I superstiti hanno riferito che mancavano una settantina di compagni. Il portavoce della Marina tunisina ha poi confermato questo pesante bilancio di morte. Soltanto tre i corpi recuperati nelle ore successive. Due giorni dopo, il 12 maggio, nelle stresse acque, 35 miglia a nord di Sfax, si è sfiorata una tragedia analoga: la Guardia Costiera tunisina ha salvato in extremis 46 migranti, in gran parte subsahariani (tra cui 20 donne) su un gommone in procinto di affondare.

(Fonti: La Stampa, Il Secolo XIX, Il fatto Quotidiano, Agenzia Ansa, Repubblica, Address Libya)

Libia (Abu Salim, Tripoli), 14 maggio 2019

Un profugo eritreo, Kidane Gebreselasie, è morto di malattia e sfinimento nel centro di detenzione di Abu Salim, nella zona sud di Tripoli. Catturato poco dopo essere entrato in Libia dal Sudan, il giovane è rimasto prigioniero per mesi di una banda di trafficanti. Una volta liberato, lo ha bloccato la polizia ed è finito ad Abu Salim. Quando è arrivato al campo era già molto provato, sia per le condizioni di trattamento subite che per una malattia, probabilmente una infezione polmonare sfociata in Tbc. Avrebbe avuto bisogno di un’assistenza continua ma, secondo quanto hanno riferito alcuni compagni in una serie di messaggi telefonici inviati al Coordinamento Eritrea Democratica, nonostante fosse palese il progressivo aggravarsi del suo stato, non avrebbe ricevuto cure mediche adeguate. Per di più, la già pesante situazione all’interno del campo si sarebbe aggravata dopo che l’intero distretto di Abu Salim, dalla metà di aprile in poi, si è trovato al centro dei combattimenti seguiti all’attacco sferrato a Tripoli dalle milizie del generale Haftar. In queste condizioni il fisico del giovane, debilitato anche dalle dure condizioni di vita nel campo, non ha retto alla malattia..

(Fonte: sito web della giornalista irlandese Sally Hayden e testimonianza raccolta da Abraham Tesfai, del Coordinamento Eritrea)

Libia (Al Zintan), 14-15 maggio 2019

Un profugo eritreo di 21 anni è morto nel centro di detenzione di Al Zintan. Si chiamava Haben Dirar: veniva dalla regione meridionale di Debub, distretto di Kudo Be’ur. Ad ucciderlo è stata una grave forma di Tbc: secondo la giornalista irlandese Sally Hayden, sarebbe il ventesimo migrante morto ad Al Zintan, dal mese di settembre 2018, per questa malattia, che sembra aver assunto un carattere epidemico. Studente, Haben, quando è fuggito dall’Eritrea, frequentava il terzo anno delle scuole superiori. Ad Al Zintan era stato trasferito da alcuni mesi e secondo diversi amici avrebbe contratto la malattia proprio all’interno del centro di detenzione, dove i prigionieri lamentano da mesi che, a parte le dure condizioni di vita generali, manca quasi del tutto una adeguata assistenza medica e sanitaria. Ai compagni Haben diceva sempre che il suo più grande desiderio era quello di raggiungere un posto sicuro dove poter riprendere a studiare.

(Fonte: Sito web Sally Hayden) 

Turchia (confine con l’Iran e provincia di Edirne), 15 maggio 2019

Almeno 34 migranti sono morti assiderati in Turchia, dal primo gennaio a metà maggio, nel tentativo di attraversare il paese per raggiungere uno degli Stati dell’Unione Europea. Lo riferisce un rapporto di polizia pubblicato alla fine dell’inverno e ripreso da Anadolu Agency il 15 maggio. Quasi tutti provenivano da Afghanistan, Pakistan, Iraq e Siria. La maggior parte, 32, hanno perso la vita nella provincia orientale di Van e in altre zone al confine con l’Iran, lungo la via di fuga che arriva dall’Asia Centrale: tra questi, anche i 6 i cui cadaveri, rimasti per settimane sepolti dalla neve, sono stati trovati il 3 maggio nei pressi del villaggio di Baskale dopo il disgelo (nota del 3 maggio 2018 più sopra: ndr). Gli altri 2 sono morti nella fascia occidentale della provincia di Edirne. La nota di Anadolu Agency (come presumibilmente il rapporto di polizia) non specifica nel dettaglio né le località precise, né le circostanbze della morte e dei ritrovamenti delle salme.

(Fonte: Anadolu Agency)

Spagna (Gran Canaria), 16 maggio 2019

Una donna e un bambino di un anno morti e un’altra donna dispersa nel tentativo di un gruppo di profughi di sbarcare da una battello giunto dal Marocco all’altezza della costa di Arguineguin, nel sud-est dell’isola di Gran Canaria. Il natante è arrivato poco dopo la mezzanotte del 15 maggio. Mancavano ancora decine di metri alla riva quando alcuni dei 22 migranti che erano a  bordo (quasi tutti subsahariani) hanno cominciato a calarsi in acqua per raggiungere la spiaggia. Tra questi, una donna con stretto in braccio il suo piccolo che – come ha poi riferito lei stessa – le è scivolato dalle mani, sparendo tra le onde. Quasi contemporaneamente sono state trascinate via dalla corrente altre due donne: nel buio sono scomparse alla vista dei compagni in pochi secondi. Appena arrivati a terrra, soccorsi dalla Croce Rossa e dalla polizia, la donna che aveva perso il figlioletto e altri susperstiti hanno subito segnalato quando era accaduto pochi minuti prima. Sono subito scattate ricerche in mare da parte dei mezzi del Salvamento Maritimo e della Guardia Civil, ma dei dispersi non si è trovata traccia. Solo poco prima del tramonto del giorno 16 la salvamar Menkalinan ha individuato il corpo di una delle donne. La salma del bambino è stata recuperata nel primo pomeriggio di venerdì 17 maggio. La barca, rimasta alla deriva, è stata ritrovata dalla polizia a notevole distanza, all’altezza del litorale di Pasito Blanco.

(Fonti: El Diario, El Pais, Canarias 7, siti web Caminando Fronteras ed Helena Maleno)

Turchia (Tusba, provincia di Van), 16 maggio 2019

Cinque morti e 37 feriti su un camion carico di profughi finito fuori strada. I profughi, una cinquantina, quasi tutti provenienti dall’Afghanistan e dal Pakistan, entrati clandestinamente dalla frontiera con l’Iran, sono stati nascosi da una organizzazione di trafficanti in una località isolata sulla costa del lago Van fino a quando, spostati nel distretto di Ercis, sempre nella provincia di Van, è stata organizzata la “spedizione” verso la Turchia occidentale e il confine greco, su un autocarro completamente chiuso, nella tarda serata del 15. Lasciata Ercis in piena notte, il camion ha imboccato la superstrada diretta a ovest. Nei pressi di Tusba, a causa probabilmente della forte velocità, l’autista ha perso il controllo e l’autocarro, dopo una brusca sbandata, si è capottato in un terrapieno oltre la carreggiata. Il conducente,  un giovane turco, si è messo in salvo saltando dal finestrino. I migranti stipati sul piano di carico non hanno avuto scampo: quando la polizia ha aperto il portellone, sono stati trovati 5 morti e ben 37 feriti, di cui alcuni in condizioni molto gravi.

(Fonte: Hurriyet Daily News, Anadolu Agency)

Marocco-Spagna (isola di Perejil), 17 maggio 2019

Un giovane migrante originario della Costa d’Avorio è scomparso cadendo in mare da una piccola barca a remi che cercava di attraccare all’isolotto di Perejil, situato a meno di 300 metri dalla costa marocchina ma posto sotto la sovranità dell’enclave spagnola di Ceuta, distante circa 6 chilometri. Il battello era partito dal litorale di Tangeri con 9 persone a bordo: 5 originarie della Guinea, 3 della Costa d’Avorio e una del Burkina Faso. Tra loro, una donna con il suo bimbo piccolo. Le condizioni meteomarine non erano favorevoli: le onde, le correnti e il forte vento hanno reso difficile la navigazione e soprattutto l’attracco all’isola. L’allarme è scattato poco dopo le 4 del mattino, quando i migranti sono riusciti a mettersi in contatto con Helena Maleno, attivista della Ong Caminando Fronteras, che ha allertato il Salvamento Maritimo spagnolo e la Marina marocchina. Sono stati i migranti stessi a riferire alla Ong di non avere più notizie di un loro compagno, caduto in mare a breve distanza dall’isola. Sul posto si è portata la salvamar Atria, ma quando è arrivata i migranti erano già riusciti a sbarcare.

(Fonte: El Faro de Ceuta, sito web Helena Maleno e Caminando Fronteras)

Marocco-Spagna (Stretto di Gibilterra), 21 maggio 2019

Un migrante originario del Cameroun è annegato nel naufragio della barca con la quale stava cercando di raggiungere la Spagna dal Marocco insieme a 7 compagni. Il battello era partito la notte tra il 20 e il 21 maggio da Achakar Beach, nei pressi di Tangeri, ma dopo poche miglia di navigazione ha perso la rotta ed è andato alla deriva. La richiesta di aiuto è stata intercettata verso le 11 del mattino dalla Ong Alarm Phone, che ha allertato sia la Marina marocchina che il Salvamento Maritimo spagnolo. Tre ore più tardi anche Alarm Phone ha perso ogni contatto e la barca ha continuato ad andare alla deriva, senza essere stata localizzata. Soltanto in serata, quando era ormai semi affondata, è stata avvistata da una unità della Guardia Costiera di Tangeri, che ha preso a bordo i naufraghi. La Marina marocchina si è tuttavia limitata a comunicare ad Alarm Phone solo l’avvenuto recupero e, dunque il cessato allarme, senza specificare che c’era una vittima. Soltanto quando gli operatori della Ong sono riusciti a comunicare direttamente con i superstiti si è scoperto che uno del gruppo era annegato.

(Fonte: sito web e rapporto settimanale 20-26 maggio di Alarm Phone)

Marocco-Spagna (Stretto di Gibilterra), 22 maggio 2019

Tre donne di origine subsahariana sono annegate nel naufragio di una barca carica di migranti rimasta alla deriva per due giorni, senza soccorsi, nelle acque dello Stretto di Gibilterra. Una delle vittime era in avanzato stato di gravidanza. Il battello era partito verso le 4 del mattino di lunedì 20 maggio, con 72 migranti a bordo, dalla zona di Larache, sulla costa atlantica del Marocco, per cercare di raggiungere la costa di Cadice, in Andalusia. Dopo poche ore di navigazione – ha riferito una superstite – hanno perso la rotta e sono stati costretti a chiedere aiuto. L’allarme è stato raccolto, nella tarda mattinata, dalla Ong Caminando Fronteras, che ha allertato sia la Marina iperiale marocchina che il Salvamento Maritimo Spagnolo. Le ricerche non hanno dato esito sia nella giornata di lunedì che in quella di martedì. Nel frattempo il natante è affondato e tre donne sono state trascinate via dalle onde. Solo la mattina di mercoledì 22 maggio una unità marocchina ha avvistato i 69 naufraghi ancora in vita, aggrappati o intorno al relitto, prendendoli a bordo e trasferendoli a Tangeri. Per alcuni è stato necessario il ricovero in ospedale. Le salme delle tre vittime non sono state ritrovate.

(Fonte: El Diario, Europa Press, siti web Helena Maleno e Caminando Fronteras) 

Libia-Italia (Mediterraneo centrale), 23 maggio 2019

Almeno un morto nel naufragio di un gommone con 90 migranti a bordo lasciato alla deriva senza soccorsi per un’intera giornata. La morte del giovane, di origine subsahariana, è documentata da una ripresa video aerea effettuata dall’equipaggio di uno dei piccoli velivoli da ricerca e soccorso della Ong Sea Watch. Il battello, salpato stracarico dalla Libia la notte tra il 22 e  il 23 maggio, si è trovato in difficoltà quando era in acque internazionali, anche se incluse nella zona Sar di Tripoli: il motore era in avaria ma, soprattutto, una delle camere stagne tubolari ha cominciato ad afflosciarsi, facendo imbarcare acqua allo scafo. Già dalle 10 Sea Watch, allertata da Moonbird, uno dei suoi aerei da ricognizione che sorvolava la zona, ha lanciato l’allarme alla Guardia Costiera libica, senza ricevere risposta per oltre due ore, fino a che, alle 12,22 ha deciso di inviare via mail le coordinate del battello a Tripoli. Nel frattempo con il gommone è entrata in contatto anche la Ong Alarm Phone, che a sua volta ha trasmesso alla centrale romana della Guardia Costiera la posizione dell’emergenza. Stando a quanto risulta alle due Ong, a circa 25 miglia di distanza (meno di due ore di navigazione) c’era la nave Bettica (sigla: P492) della Marina militare italiana che però, stando a quanto riferito da Moonbird, dopo un iniziale cambiamento della rotta, è tornata su quella iniziale, dando a vedere che non sarebbe intervenuta per i soccorsi. A quel punto Sea Watch ha fatto alzare in volo il secondo dei suoi aerei, il Colibri dei francesi Pilotes Volontaires, che sorvolando la zona, alle 13,30, ha lanciato un Sos di estremo pericolo, segnalando come il gommone stesse ormai per affondare: non era ancora colato a picco solo perché a bordo stavano sorreggendo la parte sgonfia con una cima per non imbarcare acqua ancora più rapidamente. C’era, insomma, un naufragio in corso. Molti migranti erano già caduti in mare. E’ in questa fase che, nel contesto della documentazione video generale, è stato filmato il tragico annegamento di uno dei naufraghi: si vede chiaramente una persona con una camicia bianca che, dopo aver annaspato un po’ per tenersi a galla, scompare sott’acqua e non riesce a riemergere. Sempre in questa fase la nave Bettica ha risposto alla richiesta di aiuto del Colibri, ma è stato un attimo: la comunicazione si è interrotta subito. La stessa Bettica (che intanto si era allontanata e si trovava ormai a 35 miglia di distanza) si è rifatta viva alle 13,55, esattamente 52 minuti più tardi, ma soltanto per dire che l’operazione di salvataggio sarebbe stata condotta dalla nave Fezzan, una delle motovedette che l’Italia ha donato alla Libia, mentre per parte italiana si era levato in volo un elicottero. I soccorsi si sono conclusi tra le 17 e le 18. Ma, se avesse invertito la rotta, la Bettica sarebbe potuta arrivare sul posto molto prima e sembra scontato – in base alle segnalazioni delle due Ong – che in ogni caso il gommone è rimasto abbandonato a se stesso per quasi l’intera giornata, dal mattino alla prima serata. E non si sa quanti naufraghi siano stati effettivamente salvati e dove siano stati portati, una volta fatti sbarcare in Libia. La Marina italiana, interpelllata da Repubblica, non ha voluto rilasciare commenti, rimandando al tweet diffuso alle 17,32 del 23 maggio: “Avvistato natante in difficoltà da Ong Colibri. Nave Bettica a 80 km invia proprio elicottero in zona per supporto. Con elicottero in zona ha constatato avvenuto recupero migranti da motovedetta libica in zona Sar libica”. Ottanta chilometri equivalgono a circa 44 miglia: grossomodo la distanza segnalata da Sea Watch alle 13,55, quando la Bettica aveva ripreso la rotta originaria dopo il breve cambiamento seguito al primo allarme. Il che sembra confermare che in effetti la nave italiana, nella fase iniziale della vicenda, si sarebbe trovata a poco più di 25 miglia dal gommone che stava affondando.

(Fonte: siti web Sea Watch e Alarm Phone, Repubblica, Avvenire, Tg La7 giorno delle ore 13,30)

Marocco (Stretto di Gibiterra), 28 maggio 2019

Una giovane migrante proveniente dalla Costa d’Avorio è morta nel tentativo di raggiungere la Spagna dal Marocco. Era, con 11 compagni, a bordo di un piccolo battello pneumatico partito dalla costa di Tangeri. Dopo poche miglia il natante si è trovato in difficoltà. La richiesta di aiuto è stata accolta dalla Marina marocchina ma quando una motovedetta ha raggiunto il relitto la donna era ormai annegata. Gli altri undici naufraghi sono stati ricondotti in Marocco. La polizia ha trasferito la salma della vittima all’obitorio dell’ospedale di Tangeri, avviando le ricerche per poterla identificare.

(Fonte: rapporto Alarm Phone del 26 giugno 2019)  

Marocco-Spagna (Strettto di Gibilterra), 29-30 maggio 2019

Due giovani migranti subsahariani sono annegati nell’Atlantico in seguito al naufragio del piccolo canotto pneumatico sul quale stavano cercando di raggiungere la Spagna insieme a 5 compagni. Erano originari uno del Senegal e l’altro della Guinea Conakry. Il battello era partito la mattina di mercoledì 29 maggio dalla zona di Cabo Espartel, non lontano da Tangeri, facendo rotta verso il Golfo di Cadice, ma è riuscito a percorrere solo poche decine di miglia. L’allarme è scattato verso sera, quando un familiare di uno dei giovani che erano a bordo, avendo perso ogni contatto con il natante, ha chiesto aiuto, da Rabat, alla Ong Caminando Fronteras, che a sua volta ha allertato sia la Marina imperiale marocchina che il Salvamento Maritimo Spagnolo. Le ricerche, coordinate da Tangeri, si sono protratte per tutta la notte e fino al mattino di giovedì 30 maggio, quando quello che restava del battello è stato intercettato da una nave mercantile, messa sull’avviso dalla centrale operativa marocchina. Aggrappati al relitto c’erano, però, solo 5 dei 7 migranti partiti il giorno prima: gli altri due – come hanno riferito i compagni – erano scomparsi in mare, trascinati via dalle onde e dalla corrente. I superstiti (provenienti da Costa d’Avorio, Mali e Guinea Conakry) sono stati sbarcati a Malaga, tutti molto provati ma non in pericolo di vita.

(Fonte: El Diario, Microsoft News, siti web Helena Maleno e Caminando Fronteras)

Libia-Italia (Mediterraneo Centrale), 29-30 maggio 2019

Almeno un morto su un gommone abbandonato alla deriva per 36 ore, con circa 100 migranti a bordo, al largo della Libia, nonostante non lontano incrociasse una nave militare italiana. Il battello era partito dalla Libia la notte tra il 28 e il 29 maggio. Già nelle prime ore del mattino, quando era ormai in acque internazionali, è stato avvistato, in evidente difficoltà, da Moonbird, il piccolo aereo da ricognizione della Ong Sea Watch, che ha dato l’allarme. Una richiesta di soccorso è stata lanciata quasi contemporaneamente dalla Ong Alarm Phone. A poche decine di miglia di distanza, ha segnalato sempre Moonbird, c’era il pattugliatore Cigala Fulgosi (sigla P490) della Marina italiana. Sono state immediatamente avvertite, inoltre, sia la centrale operativa della Guardia Costiera di Roma che quella di Tripoli. L’intera giornata, però, è trascorsa senza traccia di adeguate operazioni di ricerca e soccorso, come avrebbe imposto la situazione d’emergenza segnalata. Nonostante i sempre più concitati Sos lanciati da Alarm Phone, questo sostanziale stato d’inerzia si è protratto fino alla mattina del giorno 30, quando, intorno alle 6,30, i migranti a bordo del gommone, esausti e in preda al panico, hanno segnalato ad Alarm Phone di aver visto un elicottero. Circa due ore dopo, sempre ad Alarm Phone, gli stessi migranti hanno riferito che si intravedeva a distanza una nave ma anche che durante la notte era morta una bambina di 5 anni. Mezz’ora più tardi si è avuta conferma che le operazioni di soccorso erano state assunte dal Cigala Fulgosi, presente in zona già dal giorno prima. L’equipaggio del pattugliatore ha recuperato circa 100 naufraghi – migranti provenienti da Libia, Cameroun, Somalia, Costa d’Avorio, Nigeria e Mali, tra cui 17 donne e 23 bambini – specificando che sul relitto non era stato trovato alcun cadavere e smentendo, dunque, la notizia che ci fosse almeno una vittima. Alla nave è stato ordinato di far rotta su Genova, dove è arrivata la mattina di domenica 2 giugno. Subito dopo lo sbarco alcuni dei migranti hanno ribadito al dotto Paolo Cremonesi, direttore del pronto soccorso dell’ospedale Galliera, coordinatore dell’assistenza medica, che sul gommone “qualcuno era morto” durante le lunghe ore trascorse alla deriva. Non sono filtrate altre notizie, ma c’è da credere che ci sia almeno una vittima, la bambina indicata ad Alarm Phone la mattina del giorno 30 e il cui cadavere si sarebbe perso in mare. La Marina italiana ha giustificato la decisione di intervenire solo 24 ore dopo il primo allarme sostenendo che, secondo le informazioni ricevute, sul posto si stava dirigendo una motovedetta libica, la quale, però, sarebbe stata poi bloccata da un guasto. Se è così, resta comunque da chiedersi come mai si è saputo con tanto ritardo che la Guardia Costiera di Tripoli non era in grado di fare nulla.

(Fonti: Repubblica, Agenzia Ansa, La Sicilia, Il Fatto Quotidiano, Tg La 7, siti web Alarm Phone e Sea Watch)

Libia (Garabulli), 2 giugno 2019

Due morti e circa 25 dispersi (per un totale di 27 vittime) nel naufragio di un gommone carico di migranti al largo della Libia. Il battello era partito all’alba di domenica 2 giugno dal litorale di Garabulli, circa 50 chilometri a est di Tripoli. A bordo erano in più di 95, incluse numerose donne e diversi bambini. Nella tarda mattinata, ormai ad una ventina di miglia al largo, deve esserci stata un’avaria alle camere tubolari pneumatiche, che ha provocato il ribaltamento dello scafo, scaraventando tutti gli occupanti in mare. L’allarme sarebbe stato dato da alcuni pescatori. Le operazioni di soccorso, condotte dalla Guardia Costiera libica, hanno consentito di salvare 73 naufraghi (40 uomini, 25 donne e 8 bambini) e di recuperare i cadaveri di una donna e di un bimbo piccolo. Dispersi tutti gli altri. “Quando è stato raggiunto – ha riferito il generale Ayoub Qassim, portavoce della Marina libica – il natante aveva perso il motore e i migranti superstiti sono stati trovati quasi tutti aggrappari al relitto”. Le ricerche sono proseguite senza esito fino al tramonto. I superstiti sono stati trasferiti in un centro di detenzione: vengono da Sudan, Kenya, Costa d’Avorio e Nigeria.

(Fonte: Reuters, Associated Press, Libya Observer, Repubblica, Il Fatto Quotidiano, Ansa, La Stampa, Il Messaggero, siti web Oim, Unhcr, Guardia Costiera libica)

Libia (Zawiya), 3-4 giugno 2019

Un giovane profugo sudanese è stato ucciso dalla polizia durante un tentativo di fuga dal centro di detenzione di Zawiya. Almeno altri 3 migranti sarebbero stati feriti. Della sparatoria ha parlato per prima la giornalista irlandese Sally Hayden nel suo sito web, senza poter chiarire se c’erano state vittime o feriti, ma specificando che le guardie avevano fatto fuoco per bloccare un gruppo di migranti che stavano cercando di scappare. Come prova della notizia Sally Hayden ha diffuso anche la registrazione di numerosi colpi d’arma da fuoco fattagli pervenire da alcuni detenuti. Nei giorni successivi si è arrivati a una ricostruzione più dettagliata dei fatti, con la notizia che uno dei fuggiaschi era morto, grazie alla testimonianza resa per telefono al Coordinamneto Eritrea Democratica da parte di alcuni profughi che non avevano partecipato alla fuga. I protagonisti del tentativo di lasciare il campo sono stati migranti arrivati da poco a Zawiya, dopo essere stati intercettati in mare e ricondotti in Libia dalla Guardia Costiera di Tripoli. Sembra che inizialmente abbiano colto di sorpresa le guardie le quali, però, come è già accaduto in circostanze analoghe, non hanno esitato a far uso delle armi, colpendo più di qualcuno dei fuggiaschi. Il più grave è risultato un giovane sudanese, che è morto poco dopo. “Le condizioni di detenzione a Zawiya sono terribili – hanno specificato i profughi contattati dal Coordinamento Eritrea – Anche per questo probabilmente quei nostri compagni hanno cercato di scappare. E dopo il loro tentativo ora le cose sono anche peggiorate, perché le guardie hanno assunto un atteggiamneto ancora più duro”.

(Fonte: Sito web Sally Hayden, testimonianza raccolta dal Cooridnamneto Eritrea) 

Grecia (Lesbo), 11 giugno 2019

Sette profughi annegati in un naufragio nell’Egeo al largo di Lesbo. Sono 2 bambine, 4 donne e un uomo. Facevano parte di un gruppo di 64 persone che intendevano chiedere asilo in Grecia. Il battello era partito dalla penisola anatolica durante la notte tra il dieci e l’undici giugno, eludendo la sorveglianza della polizia turca. Era già in vista dell’isola greca di Lesbo quando si è rovesciato ed ha cominciato ad affondare, scaraventando tutti gli occupanti in acqua. L’allarme e la richiesta di aiuto sono arrivati al comando della Guardia Costiera greca intorno alle 7 del mattino. Sul posto si sono portate cinque unità di soccorso, che hanno tratto in salvo 57 naufraghi e i corpi esanimi dei sette che erano annegati. Le ricerche si sono interrotte in mattinata solo quando, in base alle dichiarazioni dei supertsiti, si è avuta la certezza che non c’erano altre persone disperse. Tutti i profughi tratti in salvo sono stati sbarcati a Lesbo. Alcuni apparivano molto provati, ma non si sono rese necessarie cure mediche paticolari.

(Fonte: Associated Press, Ekathimnerini, sito web Alarm Phone, Tg3 edizione delle 14,15, Agenzia Ansa)

Marocco-Spagna (mare di Alboran), 12-14 giugno 2019

Quattro dispersi e tre morti dopo lo sbarco ad Almeria in un gruppo di 53 migranti rimasti in balia del mare per oltre 48 ore su un gommone partito la notte tra domenica 9 e lunedì 10 giugno dalla costa marocchina, puntando verso l’Andalusia. A bordo c’erano, tra gli altri, quattro donne e un bambino. Dopo alcune ore i familiari di alcuni dei migranti, che seguivano la navigazione dal Marocco con un cellulare, hanno ricevuto la comunicazione che il battello era in forti difficoltà e aveva perso la rotta. L’allarme è arrivato nella mattinata di lunedì 10 alla Ong Caminando Fronteras, che ha allertato la Marina imperiale marocchina e il Salvamento Maritimo spagnolo. Le ricerche sono scattate intonro alle undici, nel mare di Alboran, con unità sia marocchine che spagnole, ma del canotto non è stata trovata traccia né lunedì né martedì. Nella mattinata di mercoledì 12, in una nuova comunicazione ai familiari, i migranti hanno riferito che la situazione era ormai disperata: “Abbiamo perso tre compagni. Siamo al limite delle forze…”. L’odissea si è protratta ancora per alcune ore, sino alle 18 circa, quando il gommone è stato avvistato e raggiunto dal pattugliatore d’altura Clara Campoamor, del Salvamento Maritimo, 22 miglia a sud est di Motril. Nel frattempo un altro dei migranti era scomparso in mare, portando a 4 il totale dei dispersi. I 49 superstiti sono stati presi a bordo del pattugliatore e per cinque di loro è stato necessario il trasferimento immediato in elicottero all’ospedale universitario di Almeria. Uno, il più grave, in stato di incoscienza da ore quando è stato preso a bordo del Clara Campoamor,  è morto pochi istanti dopo essere arrivato all’eliporto di Almeria, dove erano in attesa le ambulanze. Dei quattro compagni, due sono morti fra il 13 e il 14 giugno all’ospedale universitario e uno è stato trasferito all’ospedale di Granada. Gli altri 44 sono stati sbarcati a Motril in serata.

(Fonti: siti web Helena Maleno e Caminando Fronteras, Europa Press, El Diario, El Diario de Almeira)

Turchia-Grecia (Bodrum), 17 giugno 2019

Almeno 12 morti profughi nel aufragio di una barca nell’Egeo, al largo delle coste della Turchia. Trentuno i supersiti. Il battello era partitoa dalla zona di Bodrum, provincia di Modlu, diretta verso l’issola greca di Kos, con oltre 40 persone a bordo. Era ancora nelle acque territoriali turche quando si è capolto ed è affondato rapidamente. Per le operazioni di soccorso la Guardia Costiera turca ha inviato sul posto due unità, una squadra di sommozzatori e un elicottero. Inizialmente si è parlaro di 31 profughi tratti in salvo e di nove dispersi, ma il bilancio si è rivelato più grave: nel relitto sono stati via via recuperati 12 corpi senza vita. Non si esclude che possa esserci anche qualche disperso. I 31 migranti  tratti in salvo sono stati sbarcati a Bodrum.

(Fonte: Associated Press, Ekathimerini, Hurriyet Daily News)   

Niger (Assamakka, confine algerino), 18 giugno 2019

Quattro migranti sono morti dopo essere stati espulsi dall’Algeria ed abbandonati in pieno Sahara, al di là della frontiera, dalla polizia algerina. I loro corpi sono stati scoperti a una cinquantina di chilometri da Assamakka, la piccola città della regione di Agadez, che dista circa 15 chilometri dalla linea di confine ed è l’unico punto ufficiale di passaggio tra il Niger e l’Algeria. “Tutto lascia credere – ha riferito ad Alarm Phone Sahara Mohamed Souleymane, del servizio d’emergenza e soccorso di Assamakka, che faceva parte della pattuglia che ha trovato le salme – che quei quattro, costretti a lasciare l’Algeria, hanno camminato a lungo, sbarazzandosi via via di tutto quello che avevano. Evidentemente si erano perduti: hanno marciato fino a che, estenuati dalla fatica e dal caldo, non ce l’hanno fatta più e sono morti”. I corpi sono stati seppelliti sul posto. Non sono stati trovati elementi utili a identificarli o a stabilirne almeno la nazionalità. Il giorno prima del ritrovamento (avvenuto il 18 giugno) erano arrivati ad Assamakka, dopo una marcias estenuante, circa 170 migranti di varia nazionalità, espulsi dalla polizia algerina nel deserto senza acqua, senza viveri e senza un solo cellulare per chiedere aiuto. Non è escluso che le quattro vittime facessero parte di questo gruppo: potrebbero essersi perduti dopo essersi allonanati dagli altri. Questa tesi troverebbe conferma nel ritrovamento di una giovane nigeriana che aveva perso contatto dagli altri 170. E’ stato sempre Mohamed Souleymane a parlarne: quella ragazza era ormai allo stremo ma ancora viva, anche se i medici temono che possa subire delle gravi conseguenze permanenti, sia fisiche che psichiche, per le sofferenze patite.

(Fonte: Rapporto mensile di luglio di Alarm Phone Sahara).    

Marocco-Spagna (Mare di Alboran), 18-19 giugno 2019  

Almeno 22 vittime nel naufragio di un gommone carico di migranti nel mare di Alboran, tra il Marocco e la Spagna. Il battello era partito nelle prime ore del mattino di martedì 18 dalla costa di Nador, tra Tensaman e l’isolotto di Alhuchemas, non lontano dalla enclave spagnola di Melilla. A bordo erano in 49, tra cui diverse donne e una bambina di undici anni. L’allarme è scattato nel tardo pomeriggio, quando alcuni familiari hanno avvertito la Ong Caminando Fronteras di aver perso ogni contatto. Helena Maleno ha diramato la segnalazione sia alla Marina marocchina che al Salvamento Maritimo spagnolo, che ha mobilitato un aereo militare e uno di Frontex. A quanto pare, però, srebbe mancato un efficace coordinamento dei soccorsi. “Il Salvamento Maritimo ha riferito che stava conducendo ricerche soltanto nella zona di sua competenza”, ha dichiarato Helena Maleno. Il Salvamento, per parte sua, ha dichiarato che il Marocco avrebbe rifiutato la sua collaborazione. Sta di fatto che del gommone in difficoltà non è stata trovata traccia per oltre una giornata. L’avvistamento si è avuto solo nel pomeriggio di mercoledì 19, al largo di Cabo de Gata, in acque marocchine, da parte del Vronskiy, un ferry di linea diretto a Motril, che è subito intervenuto per il salvataggio. A quel punto, però, sul natante ormai semi affondato erano rimaste solo 27 persone: gli altri 22 migranti – hanno riferito i compagni – si erano persi in mare nelle ore precedenti, vinti dallo sfinimento e dalla sete. Tra i 27 superstiti ci sono 24 uomini, due donne e la bambina. Per sei di loro è stato necessario il trasferimento immediato in ospedale ad Almeria con un elicottero inviato dal servizio di Salvamento. “Se le ricerche fossero state estese subito alla zona marocchina – ha commentato Helena Maleno – si sarebbero salvate molte più persone. Le nuove politiche di contrasto all’immigrazione impediscono di mobilitare tutti i mezzi necessari per garantire il diritto alla vita”.

(Fonte: Siti web Helena Maleno e Caminando Fronteras, El Diario, Europa Press)

Turchia (Meric, provincia di Edirne), 26 giugno 2019

Tre morti e circa 30 feriti, di cui alcuni in gravi condizioni, in un pullmino stracarico di profughi finito in piena velocità contro un muro nel tentativo di sfuggire alla polizia. Il van, proveniente dall’est, dopo aver superato il Bosforo nella notte, nelle primissime ore di mercoledì 26, aveva raggiunto la provincia di Edirne, nella Turchia europea, puntando verso il confine con la Grecia. Era quasi arrivato alla frontiera quando, nel centro di Meric, è incappato in un posto di controllo della polizia. L’autista, dopo aver inizialmente rallentato, ha cercato di saltare il blocco, accelerando di colpo. Inseguito da più autopattuglie, non ha fatto molta strada: dopo poche centinaia di metri ha perso il controllo della guida ed è finito fuori strada, schiantandosi in piena velocità contro il muro di un edificio. Per i profughi ammassati nel retro l’impatto è stato fatale: dieci sono morti sul colpo o pochi minuti dopo, tutti gli altri, circa una trentina, hanno riportato varie ferite. La maggior parte è stata trasportata al pronto soccorso di Meric o all’ospedale di Edirne.

(Fonte: Associated Press, Anadolu Agency, Hurriyet Daily News).

Marocco-Canarie (Oceano Atlantico), 20-27 giugno 2019

Trentatre vittime in due naufragi nel giro di una settimana, tra il 20 e il 27 giugno, sulla rotta per le Canarie dalle coste dell’ex Sahara Spagnolo, in Marocco, poco a nord della Mauritania. Della duplice tragedia si è avuta notizia in occasione del secondo naufragio – una barca partita da Sidi Ifni – avvenuto nelle prime ore del mattino di giovedì 27, con sei vittime. Quello precedente – una barca salpata da Dajla (Dakhla) – con un totale di 27 vittime tra morti e dispersi, si è verificato invece tra il 20 e il 21 giugno.

Sidi Ifni (6 morti). Il battello ha preso il mare dalla spiaggia di Sidi Ifni la notte tra il 26 e il 27 giugno, puntando verso l’arcipelago delle Canarie, distante in linea d’aria più di 400 chilometri. A bordo c’erano una trentina di migranti. Non ha fatto molta strada: secondo quanto ha riferito il sito web dell’Associazione Marocchina per i Diritti Umani, sarebbe affondato “per una manovra arrischiata”. La maggioranza dei naufraghi è stata salvata, ma quando sono arrivati i soccorsi sei di loro erano già annegati: sono due donne, un bimbo di pochi mesi e tre uomini. Dieci dei superstiti presentavano varie ferite e un forte stato di iporermia, tanto da dover essere ricoverati in ospedale. Gli altri 14, una volta a terra, sono stati trasferiti in un centro di detenzione.

Dajla (5 morti e 22 dispersi). Dajla (Dakhla) è molto più a sud di Sidi Ifni e, dunque, la distanza dalle Canarie ancora maggiore: oltre 700 chilometri in linea d’aria. La barca, un natante da pesca in legno, aveva a bordo 39 persone (tra cui diverse donne e minorenni): subsahariani, marocchini e saharawi. Il naufragio è avvenuto dopo parecchie miglia di navigazione, ma a non grande distanza dalla riva. L’allarme è scattato quando le salme di alcune delle vittime hanno cominciato a spiaggiarsi lungo la costa. Complessivamente, tra venerdì 21 e domenica 23 giugno, sono stati recuperati 5 corpi mentre 12 dei migranti si sono salvati grazie ai soccorsi organizzati dai familiari. Inizialmente si parlava di 11 dispersi ma, in base alle testimonianze dei superstiti sul numero delle persone che erano a bordo, il bilancio è salito a 22 dispersi, per un totale di 27 vittime. Sempre i superstiti hanno riferito che lo scafista, che aveva un giubbotto di salvataggio, li ha abbandonati poco prima del naufragio, gettandosi in mare e allontanandosi verso la costa. Tra le vittime – riferiscono notizie di stampa – c’è anche Said Lili, un rapper saharawi molto conosciuto dopo essere stato il protagonista del documentario “Life is Waiting”, della cineasta Iara Lee.

(Fonte: El Diario, Cadena Ser, La Vanguardia, El Faro de Ceuta, sito web Helena Maleno e Caminando Fronteras)

Kenya-Inghilterra (Londra), 30 giugno 2019

Il corpo di un giovane africano precipita da un aereo in fase di atterraggio all’aeroporto internazionale, finendo nel piccolo giardino di una casa privata, in Offerton Road, alla periferia sud di Londra. Appare subito chiaro che deve trattarsi di un migrante che si era nascosto a bordo di un aereo, verosimilmente nel vano del carrello. L’autopsia accerta che il ragazzo è morto assiderato durante il volo: quando il carrello è stato abbassato, il corpo ormai senza vita è caduto nel vuoto, poco prima dell’aeroporto. L’indagine non stabilisce altro. Neanche l’identità o il paese di provenienza, né i motivi per cui quel giovane ha tentato quell’avventura che gli è costata la vita. A ricostruire la storia di quel giovane è un’inchiesta della redazione di Sky News: si tratta di un diciannovenne kenyano, Paul Manyasi, che viveva nei sobborghi di Nairobi e lavorava alle dipendenze della Colnet Limited Kenya, una ditta di pulizie che opera all’interno dell’aeroporto Jomo Kenyatta della capitale. E’ presumibile che, approfittando anche del “passi” rilasciato dalla ditta, abbia raggiunto in qualche modo le piste, eludendo la sorveglianza e nascondendosi nel vano del carrello non molto prima che l’aereo per Londra decollasse, nel tentativo di arrivare nel Regno Unito. Durante il volo la temperatura bassissima dell’alta quota lo ha ucciso. L’inchiesta è stata pubblicata da Sky News la mattina del 12 novembre 2019.

(Fonte: Sky News, siti web di Will Ross e Martin Plaut)

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